Corte di Cassazione Civile sez. II 14/10/2008 n. 25134; Pres. Schettino O.

Redazione 14/10/08
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 28 luglio 2003, il Tribunale di Salerno, Sez. staccata di Montecorvino Rovella, accoglieva l’opposizione proposta da V.A. avverso l’ordinanza ingiunzione del Ministero Tesoro emessa il 23 ottobre 1997, relativa a violazione della L. n. 197 del 1991, art. 5, per omessa segnalazione di operazioni bancarie per l’ammontare di oltre L. tre miliardi.

Il tribunale riteneva che l’obbligo di dare notizia delle infrazioni gravasse sull’azienda di credito e non sul cassiere, come implicitamente confermato dalla linea difensiva assunta dalla Banca chiamata in causa, che non aveva sostenuto di aver incaricato il V. degli adempimenti di cui all’art. 1, comma 1 e ss..

Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione, notificato il 22 settembre 2004, affidandosi a un motivo articolato su due profili. Il V. e la Cassa Rurale ed artigiana di (omissis) sono rimasti intimati.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Lamentando violazione e falsa applicazione della L. n. 197 del 1991, art. 5, n. 2, e vizio di motivazione, il Ministero deduce che il funzionario opponente era responsabile dell’omessa segnalazione di operazioni vietate, in forza del disposto dell’art. 5, n. 2, il quale prevede che i funzionari delle amministrazioni pubbliche e gli intermediari di cui all’art. 4, della normativa sono destinatari dell’obbligo per le infrazioni di cui abbiano notizia in relazione ai compiti di servizio e nei limiti delle proprie attribuzioni. Il cassiere V. sarebbe stato soggetto dotato di ampia autonomia funzionale, quale preposto all’agenzia. Secondo il Ministero la disposizione avrebbe di mira chi per motivi di servizio assume diretta conoscenza delle notizie rilevanti, quali, nella specie, il trasferimento di "numerosissimi titoli di valore superiore ai venti milioni di lire" pur in presenza di clausole di non trasferibilità.

Il ricorso è infondato.

La disposizione di cui alla L. n. 197 del 1991, art 5, comma 2, stabilisce che "i funzionari delle amministrazioni pubbliche, i pubblici ufficiali e gli intermediari abilitati ai sensi dell’art. 4, che, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni, hanno notizie delle infrazioni di cui all’art. 1, commi 1, 2 e 2 bis, ne riferiscono entro trenta giorni al Ministro del tesoro per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dalla L. 24 novembre 1981, n. 689, art. 14. In caso di infrazioni riguardanti assegni bancari, assegni circolari o titoli similari, le segnalazioni devono essere effettuate dall’azienda di credito che li accetta in versamento e da quella che ne effettua l’estinzione.

Il tenore letterale della disposizione è chiaro nell’individuare al comma 1, tre categorie di soggetti – funzionari pubblici, pubblici ufficiali e intermediari abilitati – che presentano caratteristiche ben diverse tra loro. Le prime due categorie sono caratterizzate dalla particolare relazione che soggetti singoli hanno con la pubblica amministrazione, mentre la terza concerne istituzioni finanziarie (gli intermediari abilitati), impersonalmente considerate. L’ultima parte del comma 2, estende l’obbligo di segnalazione alle banche che accettano in versamento o estinguono assegni bancari con i quali sia stata commessa la violazione di cui all’art. 1, la quale pone limitazioni nell’uso del contante e dei titoli al portatore.

La tesi di parte ricorrente, che vorrebbe ricomprendere tra i soggetti tenuti alla segnalazione sia le banche che i loro dipendenti, non risulta fondata su alcun argomento letterale o sistematico. E’ infatti agevole cogliere il contrasto, inequivocabilmente significativo della volontà del legislatore, tra il testo dell’art. 5, e la previsione di cui all’art. 3, che individua "il responsabile della dipendenza, dell’ufficio o di altro punto operativo", quale soggetto destinatario di un comportamento doveroso in funzione della segnalazione.

A mente di detta norma, nell’ipotesi di operazioni finanziarie di cui si ha ragione di sospettare che siano attuate con il danaro, i beni o le utilità che possano provenire dai delitti previsti dagli artt. 648 bis e 648 ter c.p., i dipendenti muniti di responsabilità dell’agenzia hanno l’obbligo di segnalare senza ritardo ogni operazione che per caratteristiche, entità, natura, o per qualsivoglia altra circostanza conosciuta a ragione delle funzioni esercitate, risulti sospetta.

E’ dunque evidente come nell’ipotesi grave di operazioni che possono celare, sulla base di una serie di elementi che la legge stesse indica, operazioni connesse a fatti delittosi, il legislatore ha inteso impegnare il funzionario dipendente dell’istituto di credito o dell’intermediario a un’attività di collaborazione nella segnalazione. Non altrettanto ha ritenuto di fare nelle ipotesi, molto meno lievi, di trasgressioni alla normativa sulle operazioni finanziarie anomale, che non siano però sospette di coprire gli illeciti penali considerati nell’art. 3. Che tale sia stato l’intento del legislatore non risulta solo dalla diversa considerazione accordata nei due casi alla figura del funzionario bancario, ma anche dalla limitazione della responsabilità della segnalazione al dirigente del punto operativo o dell’ufficio, senza estensione a tutti i dipendenti venuti a conoscenza dell’operazione stessa.

Coerente con tale scelta è anche la stessa incombenza richiesta a costoro. Ai responsabili del punto operativo o dell’ufficio non è imposto l’obbligo di informare direttamente il Ministero, ma soltanto di segnalare l’operazione al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato. Sarà quest’ultimo, come prescritto dalla L. n. 197 del 1991, art. 3, comma 2, applicabile ratione temporis alla specie, a segnalare le operazioni di trasferimento al titolare dell’attività o al legale rappresentante o a un suo delegato il quale "esamina le segnalazioni pervenutegli e, qualora le ritenga fondate tenendo conto dell’insieme degli elementi a sua disposizione, anche desumibili dall’archivio di cui all’art. 2, comma 1, le trasmette senza ritardo, ove possibile prima di eseguire l’operazione, anche in via informatica e telematica, all’Ufficio italiano dei cambi", che effettua i necessari approfondimenti sulle segnalazioni.

Invano parte ricorrente sostiene che la concentrazione delle notizie sarebbe prevista solo in caso di segnalazioni a sfondo penale per consentire un filtro qualificato delle segnalazioni, mentre le violazioni finanziarie di immediato riscontro potrebbero essere inoltrate direttamente. Questa lettura, che misconosce la complessità delle questioni sollevate dalla dottrina circa l’obbligo di riferire nella normativa antiriciclaggio anche con riferimento alle infrazioni di cui all’art. 1, non è plausibile. Essa si scontra sia con l’assenza di ogni riferimento normativo circa una relazione diretta tra dipendenti bancari e uffici ministeriali, sia con la stessa logica con cui è costruito il sistema. Il legislatore ha voluto che le istituzioni finanziarie fossero impegnate direttamente nel compito de quo, mentre ove l’onere principale fosse ricaduto sui dipendenti sarebbe stato inevitabile un effetto deresponsabilizzante, che la solidale responsabilità per le sanzioni non avrebbe fugato del tutto. La linea prescelta obbliga infatti le istituzioni a una attenta predisposizione di moduli organizzativi per il rilevamento e la segnalazione delle operazioni sospette, con il risultato di prevenire (e non soltanto punire) le omesse segnalazioni.

Con riguardo poi alle violazioni più gravi, l’art. 3, per rafforzare il meccanismo punisce tutte le omesse segnalazioni (art. 5, comma 5), che, si può convenire con la dottrina, sono sia quelle interne di cui all’art. 3, comma 1, sia quelle esterne di cui al comma 2.

Pertanto la differente ratio che presidia le due ipotesi di segnalazione, la scelta nell’individuazione dei soggetti onerati e la limitata ampiezza degli oneri su di essi incombenti, che non mettono direttamente a contatto il funzionario bancario con il Ministero sorreggono l’interpretazione data dal Giudice di merito, che ha correttamente escluso la esistenza di una violazione della disposizione di cui all’art. 1, comma 1, da parte del funzionario.

Questi peraltro si era difeso dando atto di aver sempre regolarmente compilato un registro interno ad uso della Banca, finalizzato ad annotare le operazioni oltre i L. 20 milioni, all’evidente scopo di consentire agli amministratori di adempiere all’obbligo che il tenore letterale della norma pone a carico dell’istituto.

Segue da quanto esposto il rigetto del ricorso, senza alcuna statuizione sulle spese, in mancanza di attività difensiva degli intimati.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Redazione