Corte di Cassazione Civile sez. II 1/2/2010 n. 2320

Redazione 01/02/10
Scarica PDF Stampa
Svolgimento del processo
Con ricorso del 2003, l’avv. S.G. adiva, ex L. n. 794 del 1942, il tribunale di Bari e, premesso di aver rappresentato la Federcommercio di Bari e la FED. AR. COM. in tre distinti procedimenti, e che in data 24.7.2002 aveva rinunciato al mandato, chiedeva che gli fossero liquidati gli onorari spettatigli per la complessa ed articolata attività prestata, oltre accessori, detratto l’acconto già versatogli, con condanna degli Enti predetti, nonchè a titolo solidale, di F.L. e di C.E. al pagamento di quanto dovutogli.

Si costituivano tutti i convenuti, i quali instavano per la declaratoria di difetto di legittimazione passiva in capo al F. ed al C., lamentavano l’inadempimento del legale all’impegno assunto con il predetto F. in ordine all’applicazione dei soli minimi tariffari, contestavano la determinazione del valore delle controversie e l’applicazione delle pretese maggiorazioni ex art. 5 della tariffa.

Con ordinanza in data 17.10/11.11.2003, l’adito tribunale dichiarava inammissibile la domanda nei confronti delle persone fisiche e liquidava in favore del ricorrente la somma di 44.008,80 Euro, oltre IVA, GAP, e spese generali, con gli interessi dalla messa in mora, da cui andava detratto racconto di 14.315,54 Euro e regolava le spese. Osservava il tribunale che la questione del difetto di procura in relazione alla posizione del F. e del C. era irrilevante, atteso che nello speciale procedimento instaurato era ammessa anche la difesa personale, e che, ancora, la domanda proposta nei confronti dei predetti in proprio era inammissibile, atteso che costoro non erano clienti del legale.

Veniva respinta la richiesta di prova per testi avanzata dai convenuti, in ragione della speditezza cui è improntato il procedimento de quo ed anche in quanto l’applicazione dei minimi tariffari (su cui verteva la detta prova) appariva verosimile, in ragione della tutela di interessi non meramente privatistici, mentre la qualità e la quantità delle prestazioni professionali non consentiva l’applicazione dei massimi nè il raddoppio delle tariffe, nè le maggiorazioni operate ex art. 5 Tariffe forensi, trattandosi di procedimenti che non presentavano profili di complessità e di tre procedimenti omologhi, se non uguali.

Per la cassazione di tale sentenza ricorre lo S., sulla base di sette motivi; resistono con unico controricorso la Feedercommercio di Bari, la FED. AR. COM. Il F. ed il C..

Motivi della decisione
Prima di dire dei motivi di ricorso, come ha esattamente rilevato il Procuratore generale in udienza, va esaminata a questione relativa all’ammissibilità del ricorso per cassazione proposto dall’avvocato S..

Emerge in tutta evidenza dalla semplice lettura del ricorso in esame, che i primi quattro motivi sono improntati a discutere la posizione del F. e del C., che il ricorrente indica come propri clienti e dei quali aveva chiesto (ed insiste in questa a sede per ottenere una pronuncia che tanto gli consenta) la condanna solidale al pagamento degli onorari che richiedeva.

Non può essere assolutamente pretermesso e pertanto, nel silenzio delle parti sul punto, deve essere rilevato ex officio, che tali questioni chiaramente tendenti a far accertare al giudice la posizione soggettiva di persone che, come non è contestato, non gli avevano conferito mandato, ma nei confronti delle quali si invoca la solidarietà nel pagamento di onorari scaturiti dichiaratamente da una attività giudiziale del legale, non possono essere ritenute comprese nella procedura speciale di cui alla L. n. 794 del 1942, che è praticabile esclusivamente quando non sia contestato il rapporto professionale tra avvocato e cliente ed è in discussione solamente il quantum degli onorari spettanti.

In un procedimento quindi improntato ad estrema snellezza e semplicità, tanto che in nome di tali caratteristiche, lo stesso Tribunale, nell’ordinanza impugnata, dopo aver ricordato che in tale sede era ammessa la difesa personale, ha escluso che fosse ammissibile una prova per testi, anche se poi ha ritenuto la circostanza che si voleva provare in tal modo, emergente comunque dagli atti, non può quindi trovare sede legittima una controversia tra soggetti non legati da mandato professionale, e la conseguente tematica afferente non alla misura degli onorari da corrispondersi, ma all’identificazione dei soggetti tenuti al pagamento degli stessi, così ponendo una questione che travalica i limiti del procedimento stesso.

Ha dunque errato il tribunale nel decidere tale controversia con la procedura di cui alla ricordata legge, ma la materia del contendere era tale che non poteva sfuggire al ricorrente che la impugnazione da proporsi era l’appello, atteso che si controverteva su profili che esulavano dall’ambito di applicazione della L. n. 794 del 1942, e che dovevano quindi essere esaminati e discussi dal tribunale secondo il rito ordinario, cosa questa che avrebbe comportato che la pronuncia avrebbe dovuto essere impugnata con l’appello.

E ciò a maggior ragione in quanto gli stessi motivi di ricorso riproponevano la questione della legittimazione passiva delle persone fisiche evocate in giudizio, con riferimento ad argomentazioni che senza possibilità di equivoco erano volte a ottenere un accertamento sulla qualità di clienti dei predetti soggetti, così evidenziando che era in contestazione proprio l’esistenza di un rapporto professionale tra il legale e costoro che incontestatamente non avevano conferito mandato all’avvocato S..

Il mezzo di impugnazione deve riflettere la situazione processuale nella sua effettiva essenza, a prescindere dalla valutazione che ne abbia dato il giudice (v. Cass. 21.1.2009, n 1548).

In base alle considerazioni che precedono e quindi della palese inapplicabilità nella specie della procedura di cui alla L. n. 794 del 1942, l’impugnazione doveva essere proposta con l’appello; il ricorso per cassazione è pertanto inammissibile.

Le spese seguono la soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.
la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese, che liquida in 4.200,00 Euro, (quattromiladuecento) di cui 4.000,00 Euro (quattromila), per onorari, oltre agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 9 dicembre 2009.

Redazione