Corte di Cassazione Civile sez. II 11/6/2009 n. 13626; Pres. Rovelli L.A.

Redazione 11/06/09
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione 21/12/83 B.A. convenne davanti al Tribunale di Taranto il Condominio di (omissis) sito sull’omonima città e deducendo di essere condomina del suddetto condominio in quanto proprietaria di un locale terraneo sito al n. (omissis), esteso all’interno oltre la proiezione verticale dell’edificio, nonchè dell’area di copertura del locale, per la parte che all’interno fuori esce dal perimetro del fabbricato, alla quale si accede dalla chiostrina condominiale e scala in ferro attraverso l’androne del portone civico n. (omissis): di avere, quindi, diritto di accesso alla propria proprietà esclusiva attraverso le aree comuni diritto che le veniva contestato dal condominio, il cui amministratore rifiutava di consegnarle le chiavi del portone n. (omissis) e della chiostrina, assumendo che esse dovessero rimanere nelle mani del portiere e sotto la sua sorveglianza; chiese che il condominio fosse condannato a consegnarle le chiavi di cui sopra, con vittoria di spese legali.

Il condominio costituitosi si opponeva alla domanda deducendo di non aver mai negato all’attrice l’accesso alla sua proprietà esclusiva ribadendo, tuttavia, che le chiavi dovevano rimanere nelle mani del portiere sotto la cui sorveglianza rientravano le cose comuni.

Chiedeva, pertanto, il rigetto della domanda.

Espletata l’istruttoria, con interrogatorio formale della B. e C.T.U., il GOA del Tribunale di Taranto, con sentenza 10/4/200 respingeva la domanda attrice.

Su impugnazione della stessa, la corte di appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, con sentenza 30/4/2004, in totale riforma condannava il condominio a consegnare alla B. le chiavi del portane e della chiostrina, nonchè al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.

Afferma la corte d’appello: che l’atto di acquisto della B. non impone alcuna servitù a carico del condominio quanto all’accesso della B. al lastrico solare di sua proprietà esclusiva: nè è stato mai dedotto che una tale servitù sia stata imposta successivamente; che la B., in quanto condomina, ha diritto sia alle chiavi del portone che a quelle della chiostrina il cui accesso non può essere regolamentato dal solo amministratore, visto che la proprietà esclusiva della B. è raggiungibile solo attraverso i locali (chiostrina – scala – androne) già previsti nel suo titolo d’acquisto e che limitazioni all’accesso potrebbero venire dal regolamento condominiale (che nella specie, non le contiene) il quale, non può in alcun modo menomare i diritti di ciascun condomino quali risultino dagli atti di acquisto e dalle convenzioni; che, pertanto, del tutto ingiustificato è il comportamento dell’amministratore.

Avverso tale sentenza ricorre in Cassazione il condominio; resiste con controricorso la B..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Deduce il ricorrente a motivi di impugnazione:

1) la violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1027, 1065 e 1362 cod. civ.; l’omissione e/o insufficienza e contraddittoria della motivazione su un punto decisivo della controversia, art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5:

– per avere la corte d’appello erroneamente affermato che, nell’atto di vendita del locale terraneo alla B., atto Not. ******** del (omissis), non è menzionata alcuna forma di servitù in favore della B. per l’accesso al terrazzo di copertura del locale, di proprietà esclusiva della stessa, ed a carico del condominio;

NONOSTANTE): A) proprio l’atto di acquisto del locale contenga la costituzione di una servitù di passaggio per accedere a quel terrazzo, stabilendo che l’accesso deve avvenire dalla chiostrina condominiale e scala in ferro attraverso l’androne del portone civico (omissis); B) la configurabilità della servitù a carico di un fondo di proprietà comune ed a vantaggio di un fondo, di proprietà esclusiva di uno dei partecipanti alla comunione, sia possibile verificandosi, come nella specie, quando il condomino usi la cosa comune (chiostrina) in modo diverso da quello consentito dalla sua specifica destinazione (consentire l’accesso alla centrale termica, al serbatoio dell’acqua potabile ecc); C) nulla specificando l’atto costitutivo in ordine all’esercizio della servitù ed al possesso delle chiavi, l’esercizio vada disciplinato ai sensi dell’art. 1065 c.c., con la conseguenza che l’esigenza della B., di accedere al fondo dominante essendo discontinua e saltuaria può essere soddisfatta senza bisogno che essa possieda per sè le chiavi dell’androne e della chiostrina;

2) la violazione e falsa applicazione dell’art. 1130 c.c., n. 2, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3:

– per avere la corte d’appello erroneamente affermato che era del tutto ingiustificato il comportamento dell’amministratore che non aveva fornito alla B. le chiavi dell’androne e della chiostrina, NONOSTANTE l’amministratore sia legittimato, senza necessità di specifica delibera assembleare, a disciplinare l’uso delle cose comuni, implicando ciò che, in mancanza di diverse disposizioni dell’assemblea o del regolamento condominiale, egli è pienamente legittimato a detenere le chiavi in oggetto; nè la B. ha provato che, l’assemblea avesse deliberato di limitare quel potere.

Il ricorso è infondato.

Quanto al primo motivo, la corte di appello ha categoricamente escluso che con l’atto di acquisto (Not. ******** del (omissis)) della proprietà del locale terraneo della B. sia stata costituita una servitù di passaggio a carico di beni di proprietà comune condominiale, in particolare dell’androne della chiostrina e della scala in ferro attraverso i quali si accede alla terrazza di proprietà esclusiva della B..

Il condominio contesta, deducendo la violazione dell’art. 1362 cod. civ., l’interpretazione data dalla corte d’appello al suddetto atto di acquisto, senza però spiegare quali sarebbero i criteri ermeneutici violati dal momento che il contenuto letterale dell’atto de quo, come dice la corte territoriale, non menziona alcuna forma di servitù in favore della B. per accedere al terrazzo di sua proprietà mentre enuncia la servitù di luci e veduta del condominio a carico della stessa terrazza di proprietà esclusiva della resistente.

Ne consegue che correttamente, in quell’atto non è stata ravvisata la volontà di voler imporre una servitù di passaggio a carico di parti comuni dell’edificio sulla base della semplice indicazione della via di accesso alla terrazza della B., indicazione che mette in evidenza come l’accesso de quo sia praticabile attraverso l’uso di beni di proprietà comune di cui la B. ha diritto di usufruire come condomina ai sensi dell’art. 1102 cod. civ., poichè il passaggio attraverso di essi non altera nè la loro destinazione nè menoma l’uso degli altri aventi diritto.

Il motivo di ricorso va, pertanto, respinto.

Del tutto infondato è il secondo motivo di ricorso in quanto il potere dell’amministratore di disciplinare l’uso delle cose comuni, di cui all’art. 1130 c.c., comma 1, n. 2, è finalizzato ad assicurare il pari uso di tutti i condomini e non può certo estendersi fino a negare ad uno di essi ciò che è consentito a tutti gli altri, qual è, nella specie il passaggio. Ove ciò avvenisse si verrebbe a menomare il diritto che alla B. deriva dal suo titolo di acquisto in contrasto con il disposto dell’art. 1138 c.c., comma 3.

Il ricorso va, pertanto, respinto.

Segue alla soccombenza, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della controparte nella misura che si liquida in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso;

condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio in favore della B., spese liquidate in Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per spese vive.

Redazione