Corte di Cassazione Civile sez. II 10/5/2010 n. 11266

Redazione 10/05/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
F.M. impugna la sentenza del Giudice di Pace di Genova n. 5075 del 2005, depositata il 21 novembre 2005 e non notificata, che respingeva la sua opposizione a verbale di accertamento n. (omissis) con il quale la Polizia municipale del Comune di Genova gli aveva contestato la violazione all’art. 173 C.d.S., commi 2 e 3, per aver circolato alla guida del proprio veicolo facendo uso di telefono cellulare non a viva voce e non dotato di auricolare.

Come motivo di opposizione aveva dedotto lo stato di necessità derivante dall’esigenza di informare immediatamente il proprio padre, gravemente ammalato e che si trovava a casa, di prepararsi per essere accompagnato dal figlio presso una struttura sanitaria per effettuare degli esami diagnostici urgenti.

Il Giudice di Pace respingeva l’opposizione ritenendo non sussistente lo stato di necessità secondo la giurisprudenza prevalente. Impugna tale decisione il ricorrente articolando un unico motivo di ricorso con il quale lamenta: "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, nonchè travisamento del fatto e/o falsa applicazione della L. n. 689 del 1981, art. 4 e degli artt. 54 e 59 c.p.". In particolare osserva il ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata «non consente di comprendere nè quali circostanze fattuali siano state poste a fondamento della decisione, nè quale sia stato il ragionamento seguito dal giudice al fine di escludere la sussistenza dello stato di necessità". Il giudice nella sua motivazione pur riconoscendo la necessità da parte dell’odierno ricorrente di avvertire immediatamente il padre per consentirne l’accompagnamento urgente presso la struttura sanitaria per effettuare gli esami strumentali necessari, non aveva valutato "il profilo strettamente connesso all’urgenza di giungere presso l’istituto al fine di non vanificare l’opportunità che si era presentata con conseguente grave pericolo per la salute del congiunto". Il Giudice di Pace non aveva considerato l’urgenza degli accertamenti clinici da espletare "difficilmente praticabili in altre circostanze di tempo e luogo, soprattutto a causa del deperimento organico e sofferenza psichica" del proprio padre.

Resiste con controricorso l’amministrazione intimata. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Attivatasi procedura ex art. 375 c.p.c. il Procuratore ******** invia requisitoria scritta nella quale conclude con richiesta di rigetto del ricorso.

Tale richiesta può essere accolta. Il ricorso è infondato e va respinto. Del tutto correttamente i Giudice di Pace non ha ritenuto applicabile al caso di specie l’esimente dello stato di necessità, che è stata invocata ma non provata e che comunque, cosi come dedotta, non risultava integrare alcuna delle cause di esclusione della responsabilità indicate dalla L. n. 689 del 1981, art. 4.

Al riguardo questa Corte ha ripetutamente affermato che, ai fini dell’accertamento della sussistenza o meno delle cause d’esclusione della responsabilità in tema di sanzioni amministrative, previste dalla L. n. 689 del 1981, art. 4 in mancanza d’ulteriori precisazioni, occorre fare riferimento alle disposizioni che disciplinano i medesimi istituti nel diritto penale e segnatamente, per quanto concerne lo stato di necessità, all’art. 54 c.p. (Cass. 1985 n. 5710; 1989 n. 3961; 1993 n. 5866 in motivazione; 1999 n. 4710; 2000 n. 9254; 2003 n. 3254, 2004 n. 5877); si è, altresì, ritenuto che sia idonea ad escludere la responsabilità anche la supposizione erronea degli elementi concretizzanti lo stato di necessità, e cioè di una situazione concreta che, ove esistente realmente, integrerebbe il modello legale dello stato di necessità, in quanto la L. n. 689 del 1981, art. 3, comma 2 esclude la responsabilità quando la violazione è commessa per errore sul fatto, ipotesi questa nella quale rientra anche il semplice erroneo convincimento della sussistenza d’una causa di giustificazione, il cui onere probatorio, tuttavia, grava su colui che invochi l’errore (Cass. 1985 n. 4710; 1993 n. 5866; 1999 n. 4710, la quale fa discendere l’ammissibilità, anche in tema d’illecito amministrativo, delle esimenti putative dall’art. 59 c.p., a norma del quale "se l’agente ritiene per errore che esistano circostanze di esclusione della pena, queste sono sempre valutate a favore di lui").

Puntualizzando, peraltro, in sede penale, che, ove l’imputato deduca una determinata situazione di fatto a sostegno dell’operatività di un’esimente reale o putativa, è su di lui che incombe l’onere di provarne la sussistenza, non essendo sufficiente una mera asserzione sfornita di qualsiasi sussidio probatorio, e l’allegazione da parte dell’imputato dell’erronea supposizione della sussistenza dello stato di necessità deve basarsi, non già su un mero criterio soggettivo, riferito al solo stato d’animo dell’agente, bensì su dati di fatto concreti, i quali siano tali da giustificare l’erroneo convincimento in capo all’imputato di trovarsi in tale stato (Cass. Pen. 2003 n. 28325).

In particolare, la situazione di pericolo, quando si riconnette all’alimentazione, alle cure mediche, ai medicinali, ecc, deve avere un carattere d’indilazionabilità e cogenza tali da non lasciare all’agente alternativa diversa dalla violazione della legge, in quanto la moderna organizzazione sociale, venendo incontro con i mezzi più disparati a coloro che possono trovarsi in pericolo di vita, per il non soddisfacimento dei predetti bisogni, ha modo di evitare altrimenti il possibile, irreparabile danno alla persona (Cass. Pen. 16.4.87 n. 4818). Ne consegue che non può essere ritenuto sussistente lo stato di necessità, come scriminante dell’illecito, quando sussista la possibilità d’ovviare altrimenti al pericolo, onde, in tema di uso del telefono cellulare senza auricolare o viva voce durante la guida – per chiamare un medico in soccorso di un ammalato o, come nella specie, per organizzare il trasporto del malato ad un centro di cura – deve ritenersi che il conducente non possa invocare l’esimente ove non sia dimostrata l’impossibilità (e non la semplice difficoltà o scomodità) di ricorrere a mezzi leciti alternativi per provvedere all’opera di soccorso, quale il fermarsi a lato della strada per i pochi minuti necessari alla comunicazione; ciò che, nella specie, non poteva comportare, obiettivamente, alcun considerevole ritardo con effetti quoad vitam nei confronti del malato.

Il giudice a quo si è correttamente attenuto a tali principi, in quanto ha escluso che ricorresse, nella specie, la necessità di salvare sè o altri dal pericolo attuale ed immediato di un danno grave alla persona con l’unico mezzo della commissione dell’illecito ed ha evidenziato come lo stato di necessità postuli che il pericolo sia presente quando il soggetto agisce ed, inoltre, sia imminente il danno che ne possa derivare, non potendosi configurare l’esimente in questione in relazione ad un danno futuro, tanto più quando, come nel caso in esame attinente al trasporto d’un ammalato ad un centro di terapia, il pericolo quoad vitam nel ritardo, pur ammesso che fosse stato dimostrato, possa essere ovviato con soluzioni lecite alternative a quella che comporta, invece, la commissione dell’infrazione sanzionata dalla legge. Le spese seguono la soccombenza.

P.Q.M.
LA CORTE Rigetta il ricorso. Condanna la parte ricorrente alle spese di giudizio, liquidate in complessivi 400,00 Euro per onorari e 200,00 per spese, oltre accessori di legge.

Redazione