Corte di Cassazione Civile sez. I 9/11/2004 n. 21360

Redazione 09/11/04
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

………………… proponeva opposizione dinanzi al Giudice di pace di Foligno avvero l’ordinanza-ingiunzione del Prefetto di Perugia in data 5 novembre 2000 con la quale gli era stato intimato il pagamento della sanzione amministrativa di lire 1.221.600 per violazione dei limiti di velocità, come da verbale della polizia stradale di Perugia dell’1 settembre 2000, deducendo l’insussistenza del fatto contestato e l’inadeguatezza dell’apparecchio misuratore telelaser utilizzato.
Con sentenza del 15-19 giugno 2001 il Giudice di pace rigettava l’opposizione, osservando che le deduzioni del ricorrente circa l’inaffidabilità dell’apparecchio misuratore non apparivano sorrette da alcun elemento di riscontro e che il puntamento a mezzo di tale strumento della vettura da lui condotta risultava fino a querela di falso dal verbale di contestazione.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione il ………. deducendo due motivi. Resiste con controricorso il Prefetto di Perugia.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione e falsa applicazione dell’art. 142, comma 6, del d.lgs. 285/1992 e dell’art. 345, comma 1, del d.P.R. 495/1992, si deduce che il tipo di apparecchio utilizzato, telelaser Lti 20-20, è assolutamente inadeguato a fornire la prova certa del fatto contestato, in quanto stabilisce la velocità di marcia del veicolo investito dal suo raggio, ma non è in grado di identificare, per l’assenza di rilevatori fotografici, l’autovettura della quale misura la velocità, e pertanto è da ritenere non conforme alla disposizione regolamentare richiamata, che postula che la velocità di un determinato veicolo sia fissata in modo chiaro ed accertabile. Si prospetta quindi l’illegittimità del decreto ministeriale di omologazione di tale strumento e se ne sollecita la disapplicazione.
Con il secondo motivo, denunciando omissione, insufficienza e contraddittorietà di motivazione, si deduce che la sentenza impugnata ha omesso di prendere in esame il motivo di opposizione con il quale si era dedotto che la velocità contestata non era compatibile con le capacità tecniche del mezzo condotto dal ………… ed ha fornito una motivazione del tutto carente nel disattendere le argomentazioni dirette a dimostrare l’errore commesso nel riferire quella velocità a detto veicolo.
I due motivi di ricorso, da esaminare congiuntamente per la loro connessione logica, sono infondati.
Questa Suprema Corte ha già avuto occasione di affermare nella recente sentenza 5873/2004 (in relazione a violazione commessa, come quella di specie, precedentemente all’entrata in vigore della l. 168/2002, di conversione del d.l. 121/2002) che ai fini dell’applicazione di sanzioni amministrative per eccesso di velocità deve ritenersi legittima la misurazione effettuata mediante apparecchio telelaser omologato, secondo il disposto dell’art. 142, comma 6, del c.d.s.
Come si è rilevato in detta decisione, la norma primaria fissa il principio che le risultanze di apparecchiature debitamente omologate costituiscono fonti di prova per la determinazione dell’osservanza dei limiti di velocità, mentre la disposizione regolamentare di cui all’art. 345, cui la prima fa rinvio (conformemente alla norma generale di rinvio di cui all’art. 45, n. 6), richiede che le apparecchiature elettroniche di controllo della velocità, per poter essere omologate, siano tali da fissare la velocità del veicolo in un determinato momento in modo chiaro ed accertabile, siano inoltre gestite direttamente dagli organi di polizia stradale di cui all’art. 12 del c.d.s. e siano nella disponibilità di detti organi. Né l’una né l’altra di tali disposizioni richiede pertanto che esse siano munite di dispositivi che forniscano una documentazione fotografica dell’accertamento dell’infrazione, così da identificare in via automatica e senza l’intervento dell’uomo il veicolo cui l’accertamento stesso si riferisce.
Il tenore della norma regolamentare, che rapporta direttamente l’esigenza di modalità chiare ed accertabili al dato della velocità, rende invece evidente che i requisiti necessari per l’omologazione dell’apparecchiatura attengono alla sua capacità di rilevazione, in termini di certezza e verificabilità, della velocità del veicolo sottoposto a controllo, mentre resta affidato alla diretta percezione degli agenti, così come generalmente avviene nell’accertamento delle violazioni del c.d.s., il compito di riferire la velocità apparsa sul display e successivamente riprodotta nell’apposito tagliando ad un determinato mezzo.
Né potrebbe in contrario ritenersi che detto art. 345, nel prescrivere che l’accertamento avvenga tutelando la riservatezza dell’utente, postuli l’indispensabilità della documentazione fotografica: ed invero dalla prescrizione posta a garanzia della privacy, certamente riferibile alle situazioni in cui la violazione abbia un riscontro fotografico, non appare consentito desumere, nel quadro normativo di riferimento sopra delineato, che l’unica modalità di rilevazione consentita sia quella fornita dalla documentazione visiva dell’infrazione.
È infine appena il caso di ricordare che nel giudizio di opposizione ad ordinanza-ingiunzione il verbale di accertamento fa piena prova, fino a querela di falso, dei fatti attestati dal pubblico ufficiale come avvenuti in sua presenza, descritti senza margini di apprezzamento, o da lui compiuti, nonché della provenienza del verbale stesso dal pubblico ufficiale, in forza dell’efficacia probatoria privilegiata dell’atto pubblico, ai sensi dell’art. 2700 c.c., mentre sono prive di efficacia probatoria le valutazioni soggettive del verbalizzante. Ne consegue che l’accertamento della violazione delle norme relative alla velocità deve ritenersi provato sulla base della verbalizzazione dei rilievi delle apparecchiatura omologate, facendo peraltro prova il verbale sino a querela di falso dell’effettuazione dei rilievi stessi, mentre le risultanze di questi costituiscono fonti di prova suscettibile di prova contraria, che può essere fornita dall’opponente con la dimostrazione del difetto di funzionamento del dispositivo, sulla base di concrete circostanze di fatto (v. sul punto Cass., 12324/1999; 8469/1998; 7667/1997).
In applicazione di tali principi appare evidente l’infondatezza dei motivi di censura sopra sintetizzati, in quanto diretti a prospettare la radicale inidoneità dello strumento utilizzato ovvero, sotto altro profilo, a contrastare l’efficacia probatoria delle attestazioni contenute nel verbale degli agenti operanti.
Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese di questo giudizio di cassazione, nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate in euro 400 per onorario, oltre le spese prenotate a debito, nonché le spese generali e gli accessori come per legge.

Redazione