Corte di Cassazione Civile sez. I 30/3/2009 n. 7614; Pres. Luccioli M.G.

Redazione 30/03/09
Scarica PDF Stampa
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

V.E. chiedeva al Tribunale di Pordenone pronunzia di cessazione degli effetti civili del matrimonio da lei contratto con B.G., con concessione di un assegno divorzile di Euro 2.065,83, mensili.

B.G. non si opponeva alla richiesta di declaratoria di cessazione degli effetti civili del matrimonio ma contestava la domanda di liquidazione dell’assegno divorzile, assumendo che non ne ricorrevano le condizioni di legge.

Il Tribunale adito con sentenza in data 10.8.2004 dichiarava cessati gli effetti civili del matrimonio concordatario celebrato fra le parti e condannava B.G. a corrispondere all’ex moglie un assegno divorzile per un importo di Euro 1.500,00, al mese.

Avverso la decisione del Tribunale di Pordenone proponeva appello B.G. assumendo che non ricorrevano i presupposti per la concessione all’ex moglie di un assegno divorzile posto che la stessa non si trovava in stato di bisogno, il loro tenore di vita, durante la convivenza, era stato bassissimo per scelta condivisa dei coniugi, la V. non aveva dimostrato di avere cercato un nuovo posto di lavoro, irrilevante era la circostanza relativa alla sua necessità di mantenere una figlia, essendo stata la bambina concepita con altro uomo, il matrimonio delle parti era durato solo due anni.

La Corte di appello di Venezia accoglieva per quanto di ragione il gravame riducendo l’ammontare dell’assegno divorzile ad Euro 1.100,00, al mese.

Per la cassazione della sentenza della Corte d’appello propone ricorso, fondato su due motivi, illustrati con memoria, B. G..

Resiste con controricorso V.E..

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo mezzo di cassazione B.G. lamenta insuficienza e contraddittorietà della motivazione circa un punto decisivo della controversia nonchè violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., e art. 2697 c.c..

Assume il ricorrente che la Corte d’appello ha errato nel ritenere che spettasse ad esso ricorrente fornire la prova che la V., dopo il suo licenziamento, avesse continuato a lavorare o fosse in grado di svolgere un’attività lavorativa remunerativa. Nel vigente ordinamento è regola generale che l’onere della prova gravi su chi alleghi o debba allegare una determinata circostanza; la motivazione della Corte d’appello sovverte tale regola e si pone quindi in contrasto con il dato normativo che subordina l’obbligo di pagamento dell’assegno divorzile, in favore del coniuge più debole, alla carenza in capo allo stesso di mezzi sufficienti a garantirgli il medesimo tenore di vita, goduto in pendenza di matrimonio, e comunque all’impossibilità del coniuge richiedente di procurarsi tali mezzi.

Nella specie la V. non si è preoccupata di provare di avere cercato un lavoro, avendo preferito concepire una figlia con altro uomo.

Con il secondo motivo il ricorrente censura l’impugnata sentenza per violazione e falsa applicazione della L. 1 dicembre 1970, n 898, art. 5, nonchè per illegittimità della motivazione.

La Corte d’appello ha liquidato in favore della V. un assegno divorzile di Euro 1.100,00, vale a dire per un ammontare pari allo stipendio che percepiva durante il pregresso rapporto di lavoro. Ciò vuole dire che se la controricorrente avesse continuato a lavorare non avrebbe avuto diritto ad alcun assegno in quanto la separazione prima ed il divorzio poi erano dipesi da incompatibiltà di carattere, il contributo dato dalla V. alla conduzione familiare era stato modesto, nessun contributo economico è stato apportato dalla controricorrente alla formazione del patrimonio dell’ex marito.

Il ricorso è infondato.

Si osserva, in relazione al primo motivo, che la Corte d’appello ha fondato la sua decisione non già sulla base di un’inversione dell’onere della prova, ma su fatti acquisiti al giudizio quali:

florida situazione economica del B., disoccupazione della V., a decorrere dall’ottobre 2003, età della stessa, sua recente maternità e sue specifiche qualifiche professionali, definite dalla Corte di livello medio ed enfatizzate in senso positivo dal B., senza prova alcuna.

L’onere della prova in ordine alla sussistenza di particolari attitudini lavorative della V. è stata dal Giudice di merito rettalmente addossata al B. essendo state tali qualità eccepite dal ricorrente, al fine di contestare la situazione economica della controricorrente così come risultante dagli atti.

Pertanto essendo risultato in base alle circostanze acquisite al giudizio che la situazione delle due parti in causa era particolarmente squilibrata, in favore del ricorrente, che il tenore di vita della coppia, in costanza di matrimonio, era potenzialmente elevato in base al rilevante reddito prodotto dal B., che la controricorrente non era in grado di procurarsi un reddito che le consentisse di mantenere il pregresso tenore di vita, esattamente la Corte territoriale ha posto a carico del ricorrente l’onere di corrispondere all’ex moglie un assegno divorzile per un ammontare peraltro modesto in relazione al suo reddito, senza con ciò sovvertire i principi vigenti in ordine all’onere della prova, essendo stata, postar a carico del ricorrente, dalla Corte territoriale, solo la mancata prova di circostanze dallo stesso eccepite, prima fra le quali, come su detto, la particolare professionalità dell’ex moglie. Il primo motivo va pertanto disatteso.

Inammissibile deve poi ritenersi il secondo motivo, posto che lo stesso non contiene censure avverso l’impugnata sentenza, ma esclusivamente considerazioni su circostanze che, a giudizio del B., se ricorrenti ed attuali, avrebbero escluso il diritto della V. alla percezione di un assegno divorzile.

Considerazioni e non censure che in quanto tali non incidono sulla motivazione dell’impugnata sentenza.

Infine giova rilevare, per mera completezza di esposizione, che le argomentazioni svolte dal B. nella memoria depositata ai sensi dell’art. 378 c.p.c., non sono idonee a giustificare una modifica della giurisprudenza fin qui consiladatasi che, ai fini della determinazione del tenore di vita, fa riferimento alle potenzialità della coppia (Cass. civ. sez. 1^, 12.07.2007 n 15610; Cass. civ. sez. 1^, 28.02.07 n 4764; Cass. civ. sez. 1^, 07.05.2002 n 6541), e che si ritiene quindi di confermare.

Il ricorso va pertanto interamente respinto.

Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Respinge il ricorso i, condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio, che si liquidano in complessive Euro 1.800,00, (di cui Euro 200,00, per esborsi, oltre alle spese generali ed agli accessori come per legge.

Redazione