Corte di Cassazione Civile sez. I 22/7/2009 n. 17144; Pres. Carnevale C.

Redazione 22/07/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso proposto ai sensi artt. 61 e 63 *********, art. 669 ter c.p.c. e art. 700 cod. proc. civ., depositato in data 20.11.97 presso il Tribunale di Firenze, la ************************** s.p.a. premetteva di essere una delle più importanti firme della moda, titolare dei marchi "*********" e "*******************", registrati e utilizzati sin dal 1937, anche in una peculiare grafia, in tutto il mondo.

L’attrice affermava, poi, di aver rinvenuto nel negozio (omissis) delle calzature recanti il marchio "F.lli Ferrazzano", avente, con i marchi attorei, una somiglianza non solo fonetica, ma anche grafica.

Alla luce di ciò, la ********* chiedeva, al fine di far cessare tale attività definita in termini di contraffazione e concorrenza sleale confusoria, che in via cautelare fosse disposto a carico di M.D., titolare del negozio "(omissis)", l’inibitoria dell’uso a qualsivoglia titolo del marchio "F.lli Ferrazzano" ed il sequestro dei prodotti recanti tale segno, oltre alla fissazione di una penale ed alla pubblicazione dell’emanando provvedimento.

In data 16.12.97 si costituiva M.D. sostenendo che l’esclusivo responsabile fosse da individuarsi nel solo produttore e fornitore delle calzature, la Calzature Carpan s.r.l..

Con ordinanza del 20.12.97, rilevata la somiglianza grafica e fonetica tra i due marchi, il Tribunale accoglieva le istanze cautelari in questione.

Con atto di citazione notificato in data 16/20.01.98, la ********* s.p.a. conveniva in giudizio la ditta individuale "********* (omissis) di M.D.", ex art. 669 octies cod. proc. civ., e citava, contestualmente, la Carpan s.r.l. affinchè venisse accertata l’illiceità delle condotte di entrambe le convenute, sia sotto il profilo della contraffazione del marchio sia della concorrenza sleale, con conseguente inibitoria, ordine di ritiro dal commercio e distruzione delle calzature recanti il marchio in contestazione, delle relative confezioni e materiale pubblicitario. Chiedeva, inoltre, la fissazione di una penale con pubblicazione dell’emanando provvedimento. Concludeva chiedendo la condanna della Carpan s.r.l. al risarcimento dei danni derivati dagli illeciti in questione e, a tal fine, chiedeva, in via istruttoria, che venisse ordinata alla Carpan l’esibizione dei libri e delle scritture contabili relative alla produzione e commercializzazione delle calzature in contestazione, disponendo CTU contabile sui medesimi.

In data 2.04.98 veniva concluso un accordo tra ********* s.p.a. e M.D., con il quale la M. si impegnava ad astenersi dal commercializzare prodotti a marchio "F.lli Ferrazzano", mentre l’attrice rinunciava alle domande proposte nei confronti della M. stessa.

Si costituiva in giudizio la Carpan s.r.l., sostenendo che il marchio dell’attrice era un marchio debole, avendo per oggetto la semplice rappresentazione grafica delle relative lettere dell’alfabeto tramite carattere di scrittura ***** script Mt, e che la contraffazione di questo era stata evitata da lievi modifiche apportate al segno.

La convenuta aggiungeva che la confondibilità fra i marchi in questione doveva essere comunque esclusa in quanto le imprese si rivolgevano ad un pubblico diverso e, in ogni caso, F. era il cognome dell’Amministratore della convenuta e dei soci della stessa.

La Carpan s.r.l. chiedeva in via riconvenzionale la condanna della ********* s.p.a. al risarcimento dei danni subiti in conseguenza del procedimento cautelare.

All’udienza del 12.04.1999 la Carpan s.r.l. eccepiva l’incompetenza territoriale del Tribunale di Firenze, ritenendo competente il Tribunale di S. Maria Capua Vetere.

Il Tribunale di Firenze, con sentenza n. 2460 del 19.07.01, respingeva sia le domande attrici sia la domanda riconvenzionale della convenuta, condannando l’attrice alle spese di lite.

Il Tribunale riteneva infondate le contestazioni sollevate dagli attori, perchè, pur trovandosi di fronte ad un marchio forte, secondo l’interpretazione della Suprema Corte (Cass. civ. n. 13592/99), i due inarchi non erano confondibili, sia per la diversa lunghezza delle parole (F.lli Ferrazzano, ******************* o *********), sia per la diversità fonetica delle stesse e, comunque, anche per i segni grafici usati.

Il marchio F.lli Ferrazzano era praticamente uguale alla firma dell’Amministratore della Carpan, socio fondatore della stessa, e ciò assumeva significato ai sensi dell’art. 1 bis *********.

Non poteva esserci alcun profilo di confondibilità anche per la palese diversità tra i due prodotti, rilevabile anche dalle differenze di prezzo tra gli stessi.

Infine, veniva rilevato che non vi era coincidenza tra i consumatori dei due prodotti, essendo uno un marchio locale per consumatori medio bassi e l’altro un marchio internazionale per consumatori di alto livello.

Avverso tale sentenza interponeva appello la Ferravamo Italia s.p.a. ritenendo la stessa ingiusta ed erronea sia in fatto che in diritto e riproponendo tutte le domande e le argomentazioni esposte in primo grado.

Carpan s.r.l., costituitasi in giudizio, ribadiva, in via pregiudiziale, l’eccezione di incompetenza territoriale del Tribunale di Firenze, chiedeva il rigetto dell’appello principale e, proponendo appello incidentale, lamentava il mancato accoglimento della proposta domanda riconvenzionale.

Con sentenza 21.10.03/11.03.04, la Corte d’Appello di Firenze riformava la sentenza e, in totale accoglimento delle domande avanzate da ********* s.p.a., dichiarava che con la produzione delle linee di calzature a marchi ********** e F.lli Ferrazzano, la Carpan s.r.l. si era resa responsabile di contraffazione del marchio ********* e di atti di concorrenza sleale. Ordinava, quindi, alla Carpan s.r.l. di cessare la produzione, commercializzazione e pubblicizzazione delle calzature distinte con i marchi in questione, in qualunque grafia riprodotti.

Ordinava, altresì, alla medesima di ritirare dal commercio e distruggere le calzature di cui si trattava, nonchè le relative confezioni ed il materiale pubblicitario.

Condannava la Carpan s.r.l. al risarcimento del danno nei confronti della ********* s.p.a., nella misura equitativa di Euro 15.000,00 e alla refusione delle spese dei gradi.

La Corte d’Appello riteneva fondato il gravame della ********* s.p.a..

Per la Corte era da disattendere l’eccezione pregiudiziale di incompetenza.

I primi quattro motivi di appello (contraffazione di marchio forte, rischio di confusione da valutarsi in astratto, marchio di notevole rinomanza, errato richiamo dell’art. 1 bis, ********* perchè il produttore era Carpan Calzature e non F.L.) erano manifestamente fondati.

I marchi ********* e ******************* erano da considerarsi marchi forti e per questo tutelabili in modo più incisivo (ex plurimis Cass. Civ. sent. nn. 4839/00, 13592/99, 5091/00).

Il carattere di rinomanza, che i marchi in discorso possedevano, avrebbe dovuto indurre ad un particolare rigore nella valutazione del pericolo di contraffazione (Cass. civ. n. 14315/99).

Ai fini del giudizio sulla dedotta contraffazione, l’indagine sulla confondibilità avrebbe dovuto riguardare non già i prodotti contrassegnati, ma i segni in se stessi (Cass. civ. nn. 9617/98 e 7660/97).

La Carpan, inoltre, non poteva effettivamente invocare a suo favore l’art. 1 bis *********, sia perchè ********** non era il nome del soggetto esercitante l’attività commerciale, sia perchè, comunque, il segno ********** era stato, in realtà, utilizzato da ****** in funzione di marchio e non, semplicemente, in funzione descrittiva.

Per la Corte fiorentina le somiglianze fonetiche e grafiche fra i due marchi in contesa erano rilevantissime.

Anche il motivo di doglianza per il mancato accoglimento della domanda di concorrenza sleale era da considerarsi fondato, poichè la confondibilità, nel presente caso, nasceva dal fatto che il marchio contraffatto era stato apposto su prodotti dello stesso tipo rispetto a quelli per i quali il prodotto ********* era normalmente usato (Cass. civ. nn. 9617/98, 8157/92).

Avverso tale sentenza la s.r.l. Calzature Carpan proponeva ricorso per cassazione, notificato in data 7.04.05, esponendo 3 motivi di gravame.

La ************************** s.p.a. proponeva controricorso, contenente ricorso incidentale condizionato, notificato in data 16.05.05.

Calzature Carpan s.r.l. resisteva al ricorso incidentale condizionato con controricorso notificato in data 22.06.05.

Sia ************************** s.p.a. che la Calzature Carpan s.r.l. depositavano memoria ex art. 378 cod. proc. civ..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Deve essere preliminarmente disposta la riunione dei due giudizi proposti avverso la medesima sentenza, a norma dell’art. 335 c.p.c..

2.1. Dopo aver riassunto lo svolgimento del processo, la s.r.l. Calzature Carpan, come primo motivo di ricorso, deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2598 cod. civ., e l’insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

Rilevava la difesa ricorrente che la prospettata ipotesi di concorrenza sleale presupponeva un’effettiva situazione concorrenziale tra soggetti economici il cui obiettivo consisteva nella conquista di una maggiore clientela a danno del concorrente.

Gli atti posti in essere dovevano determinare un’effettiva confondibilità nel rapporto con i clienti (Cass. n. 1301/90) o dovevano sortire l’effetto di deviare la clientela (Cass. n. 637/90).

La disciplina della concorrenza sleale non era invocabile ove non vi fosse almeno potenzialmente una clientela comune (Casa. n. 5716/88).

La Corte territoriale aveva, però, omesso ogni indagine volta ad accertare la ricorrenza nel caso di specie di tale presupposto.

Dagli atti di causa era emerso che la ************************** s.p.a. vendeva i propri prodotti esclusivamente nei pochi punti vendita "*******************", cui faceva riferimento una clientela selezionata e con possibilità economiche non trascurabili.

Tale fatto escludeva in radice la possibilità di individuare una clientela comune tra le due imprese e, quindi, di configurare un’ipotesi di appropriazione di fette di mercato da parte di Carpan s.r.l. in danno della ********* s.p.a..

Per poter configurare una violazione dell’art. 2598 cod. civ., inoltre, non bastava dimostrare la contraffazione del marchio, ma era necessario che, oltre alla confondibilità tra i due marchi, sussistesse un’effettiva confondibilità tra i prodotti.

La stessa Suprema Corte, con sent. n. 1080/86, aveva stabilito che "…l’affermazione della contraffazione non può essere sufficiente ad integrare la fattispecie concorrenziale…se l’uso di marchio altrui, usurpato o contraffatto…non dia luogo alla confondibilità tra prodotti riferita alla intelligenza e diligenza media dei consumatori a cui essi sono destinaticene risulti (il consumatore medio) disorientato e che possa essere distolto dall’acquisto di un prodotto e indotto all’acquisto di un altro con la convinzione che si tratti del medesimo prodotto…".

Tale orientamento era stato poi confermato da altre statuizioni della stessa Corte di Cassazione (Cass. civ. nn. 8157/92, 9616/98).

Alla luce di ciò era da ritenersi che il criterio di valutazione del Collegio territoriale fosse errato e che la motivazione fosse insufficiente non avendo, inoltre, i Giudici del merito seguito le direttive fornite dalla Suprema Corte per procedere al giudizio di comparazione tra i prodotti (Cass. n. 2768/72 e 1329/75).

Per la ricorrente, se la Corte fiorentina avesse proceduto al tipo di accertamento impostogli dalla legge alla luce di quanto disposto dalla Suprema Corte, si sarebbe giunti ad un diverso accertamento dei fatti.

Il rischio di confusione che poteva ingenerarsi nel pubblico era strettamente legato al "target" dei consumatori al quale i prodotti erano destinati.

L’individuazione della tipologia della clientela non poteva essere che conseguenza del tipo, qualità e prezzo, di prodotto venduto.

Nel caso di specie il prospettato rischio di confusione era assolutamente da escludere poichè la qualità ed il "target delle calzature era del tutto differente.

La ********* s.p.a. commercializzava, poi, i propri prodotti esclusivamente in punti vendita *******************. Ciò determinava la necessità di recarsi in uno di quei determinati punti vendita per acquistare un prodotto a marchio ********* e comportava che chiunque avesse acquistato calzature in altro negozio fosse perfettamente consapevole di non acquistare una calzatura prodotta dalla ************************** s.p.a..

L’inesistenza di una clientela comune sconfessava la sussistenza dei presupposti di cui all’art. 2598 cod. civ..

2.2. Come secondo motivo di gravame veniva dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2600 e 1226 cod. civ., nonchè l’omessa o insufficiente motivazione in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., nn. 3 e 5.

La Corte fiorentina aveva omesso di motivare la decisione in ordine alla sussistenza della risarcibilità del danno e alla quantificazione della stessa.

Affinchè vi fosse risarcibilità, la ********* s.p.a. avrebbe dovuto fornire la prova del danno subito, ancorchè in via potenziale, ma nulla di tutto ciò era stato preso in considerazione dal Collegio fiorentino che aveva proceduto de plano alla liquidazione del danno.

La richiesta di ********* s.p.a. di esibire i libri contabili di Carpan non era stata accolta, in quanto proposta sia in primo che in secondo grado in modo inammissibile.

Nemmeno il tentativo di ********* di offrire una visura camerale della Carpan, tramite la quale provare l’ammontare dei guadagni conseguiti, era ammissibile, in quanto proposta tardivamente.

Nonostante ciò, il Collegio territoriale aveva ritenuto provato il danno, senza indicare nè i mezzi, nè gli aspetti a fondamento della decisione, procedendo, anzi, alla liquidazione equitativa del danno.

La stessa Suprema Corte aveva stabilito, con sent. n. 1443/03, che "…la liquidazione equitativa del lucro cessante…richiede comunque la prova, anche presuntiva, circa la certezza della sua reale esistenza…" e, con sent. N. 16202/02, che: "…l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa…dà luogo…ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa che, pertanto, da un lato è subordinata alla condizione che risulti obiettivamente impossibile, o particolarmente difficile, per la parte interessata, provare il danno nel suo preciso ammontare…presupponendo già assolto l’onere materiale della parte di dimostrare sia la sussistenza, sia l’entità materiale del danno, nè esonera la parte stessa dal fornire gli elementi probatori e i dati di fatto dei quali possa ragionevolmente disporre…".

La Cassazione aveva statuito anche, con sent. n. 10271/02, che il giudice "…deve pur sempre indicare i criteri seguiti per determinare…l’entità del risarcimento…" e, con sent. n. 7896/02, che "…la liquidazione equitativa del danno…richiede… l’indicazione di congrue, anche se sommarie, ragioni del processo logico sul quale è fondata…".

Con riferimento al rifacimento del danno ex art. 2598 cod. civ., la Corte di Cassazione (sent. n. 12103/95) aveva affermato che "l’attore…è tenuto a dare la dimostrazione della sussistenza del danno (non della sua probabilità) anche se indipendentemente dall’individuazione attuale dell’entità dello stesso".

Tutto ciò non era mai stato provato dalla ********* s.p.a. e, quindi, la decisione era fondata su assunti non dimostrati.

2.3. – Come terzo motivo di gravame il ricorrente deduceva la violazione e falsa applicazione dell’art. 2233 cod. civ., R.D.L. n. 1578 del 1933, artt. 57, 58 e 60, D.M. n. 585 del 1994, artt. 4, 5 e 6, in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 3.

Nel liquidare le spese dei gradi di giudizio, la Corte d’Appello di Firenze era incorsa in violazione delle norme in materia di tariffe forensi.

Anche se rispondeva a verità che la Corte d’appello di Firenze si era limitata a richiamare le note spese depositate dai difensori della ********* s.p.a., lo stesso Collegio avrebbe dovuto procedere ad una verifica di congruità e legittimità delle competenze, per diritti ed onorari.

Oltre ad aver applicato lo scaglione di valore superiore a quello della causa in appello, inspiegabilmente, in primo grado, aveva utilizzato uno scaglione diverso di spese.

Vi era stata altresì una duplicazione di voce non prevista dalla tariffa professionale forense.

Come già chiarito dalla Suprema Corte, sent. n. 7275/91, "…non possono considerarsi scritti difensivi autonomi e distinti dalle comparse conclusionali le memorie, che costituiscono insieme la redazione delle difese a cui si riferisce il punto 8 parte 3^ – per le cause davanti al Tribunale – della tabella A allegata alla tariffa forense".

Concludeva chiedendo l’accoglimento del ricorso e la cassazione senza rinvio della sentenza, con vittoria di spese e onorari.

3.1. – Il primo motivo di ricorso è infondato. La Corte d’appello ha dato puntuale applicazione al disposto dell’art. 2598 cod. civ., in linea con l’interpretazione datane da questa Corte e dalla consolidata giurisprudenza di merito, con riferimento ad entrambi i profili messi in discussione dalla difesa ricorrente, ovverosia la comunanza di clientela, la confondibilità dei inarchi in relazione all’effettiva confondibilità, ed anzi identità, fra i prodotti.

Va premesso infatti, che, secondo la sentenza invocata dalla stessa parte ricorrente (sentenza n. 8157 del 3/07/1992, rv. 478021), l’attività illecita, consistente nell’approvazione o nella contraffazione di un marchio, mediante l’uso di segni distintivi identici o simili a quelli legittimamente usati dall’imprenditore concorrente, può essere da quest’ultimo dedotta a fondamento non soltanto di un’azione reale, a tutela dei propri diritti di esclusiva sul marchio, ma anche, e congiuntamente, di un’azione personale per concorrenza sleale, ove quel comportamento abbia creato confondibilità fra i rispettivi prodotti.

Va innanzitutto rilevata la fondatezza dell’assunto della **************************** s.p.a., che nel proprio controricorso ha sottolineato che la Carpan, nel ricorso, non aveva in alcun modo censurato il capo della sentenza che aveva accertato la forza e la rinomanza del marchio e che aveva portato alla condanna per contraffazione di marchio.

Parimenti deve rilevarsi che non sono stati fatti oggetto di impugnazione i capi che hanno respinto le domande di Carpan per il risarcimento dei danni subiti in conseguenza del provvedimento cautelare e l’eccezione di incompetenza territoriale, originariamente proposta dalla medesima parte.

Quindi, il primo motivo di ricorso si limita a censurare la decisione in punto accertamento della concorrenza sleale. Lo stesso tuttavia appare privo di pregio, dovendosi rilevare che la Corte territoriale ha espressamente e puntualmente considerato la sussistenza di un rapporto di concorrenza fra le parti, mentre, in relazione al secondo profilo (confondibilità fra i prodotti) ha rilevato che il marchio contraffatto era stato apposto su prodotti dello stesso tipo, rispetto ai quali il marchio ********* era normalmente usato.

Questa Corte, già con la sentenza n. 1259/99, ha rilevato che "ad integrare il presupposto della concorrenza sleale è sufficiente il contemporaneo esercizio, da parte di più imprenditori, di una medesima attività industriale o commerciale in un ambito territoriale anche solo potenzialmente comune, non dovendo necessariamente sussistere in concreto l’identità di clientela".

La potenzialità della comunanza di clientela è principio acquisito in tema di concorrenza sleale.

Infatti, se è vero che presupposto indefettibile della fattispecie di illecito prevista dall’art. 2598 cod. civ., è la sussistenza di una situazione concorrenziale tra soggetti economici, il cui obiettivo consiste nella conquista di una maggiore clientela a danno del concorrente, va tuttavia ribadito che la comunanza di clientela è data non già dalla identità soggettiva degli acquirenti dei prodotti delle due imprese, bensì dall’insieme dei consumatori che avvertono il medesimo bisogno di mercato, e, pertanto, si rivolgono a tutti i prodotti che quel bisogno sono idonei a soddisfare. La giurisprudenza consolidata ha affermato che, peraltro, la sussistenza della predetta comunanza di clientela va verificata anche in una prospettiva potenziale, dovendosi, al riguardo, esaminare se l’attività di cui si tratta, considerata nella sua naturale dinamicità, consenta di configurare, quale esito di mercato fisiologico e prevedibile, sul piano temporale e geografico, e, quindi, su quello merceologico, l’offerta dei medesimi prodotti, ovvero di prodotti affini o succedanei rispetto a quelli attualmente offerti dal soggetto che lamenta la concorrenza sleale (in tal senso sent. n. 1617 del 14/02/2000 rv. 533818; n. 5377 dell’11.4.2001, rv. 545829; n. 3040 del 15.2.05, rv. 579025; n. 14793 del 4.6.08, rv. 604014).

La sentenza impugnata ha risolto il problema asserendo che nel presente caso la confondibilità fra prodotti sussisteva in concreto, posto che si trattava di prodotti dello stesso tipo.

A nulla rilevano poi i profili riproposti da parte ricorrente che vorrebbe valorizzare il diverso pregio delle proprie calzature rispetto a quelle della ********* ed il diverso livello dei negozi ove sono reperibili i propri prodotti rispetto a quelli della società avversaria.

Va, infatti, considerato che la confondibilità, cui fa riferimento l’art. 2598 cod. civ., non è solo quella tra prodotti, ma, soprattutto, quella sull’attività dei due concorrenti, e quindi sull’origine dei prodotti stessi, potendosi affermare che, seppure fosse vero che l’uno prodotto (quello della Carpan) è di qualità inferiore rispetto all’altro (quello della Ferragamo), il pubblico potrebbe essere indotto a credere che si tratti di una linea più abbordabile, comunque riconducibile all’attività della più nota società *******************.

Ed invero, l’adozione di un marchio simile su prodotti dello stesso tipo è idonea a determinare confondibilità, quantomeno sotto il profilo della riconducibilità dell’attività dell’una impresa a quella dell’altra, maggiormente conosciuta ed apprezzata sul mercato.

Di fronte all’appartenenza dei beni in questione alla stessa categoria merceologica e all’adozione di un marchio fortemente confondibile (il giudizio espresso sul punto dai giudici di secondo grado, come pure i rilievi svolti a proposito del marchio forte e del marchio di rinomanza non sono stati fatti oggetto di censura da parte della Carpan) non può essere negata la possibilità che i consumatori siano indotti a credere in una fonte d’origine comune.

Questa Corte ha già avuto modo di affermare che "la differenza qualitativa tra i prodotti contrassegnati da marchi confondibili e la differenza di prezzo, anche se notevole, non elimina il rischio di confusione-anche in tal caso sussiste pertanto la contraffazione del marchio e l’idoneità a danneggiare l’altrui azienda…" (Cass. 18.6.1990 n. 6119, 467809).

In ogni caso; a tale riguardo deve rilevarsi che le circostanze allegate da parte ricorrente, oltre a non essere state provate, non risultano dagli atti di causa, nè dalla sentenza impugnata, nè la ricorrente si è data carico di indicare da quali elementi dette circostanze emergerebbero, onde sul punto il ricorso è privo del requisito dell’autosufficienza.

3.2 – Quanto al secondo motivo di censura, deve essere parimenti affermata l’infondatezza dello stesso.

La Corte fiorentina, infatti, ha accertato la sussistenza di danni risarcibili, sia in riferimento alla contraffazione, sia in riferimento alla concorrenza sleale, cosicchè neppure l’eventuale accoglimento del primo motivo del ricorso si sarebbe ripercosso anche sull’esistenza di tali danni.

In primo luogo, l’affermazione della ricorrente secondo la quale la richiesta istruttoria di esibizione delle scritture contabili della Carpan era avvenuta in violazione degli artt. 342 e 346 cod. proc. civ., non appare sufficientemente circostanziata, così da indurre questa Corte ad escludere la rilevanza degli elementi sottoposti alla Corte d’appello.

In ogni caso, deve ritenersi accertata la sussistenza del pregiudizio subito, sia sotto il profilo della contraffazione, sia sotto quello della concorrenza sleale. Il pericolo di confusione, infatti, era stato accertato, cosicchè da esso si poteva affermare che fosse derivato alla ********* s.p.a. un pregiudizio consistente sia nell’eventuale sviamento di clientela, sia nell’annacquamento del segno che, per l’imitazione, aveva perso unicità e capacità distintiva.

Le indicate circostanze, a fronte dell’oggettiva difficoltà di fornire una prova più rigorosa giustificavano il ricorso alla liquidazione in via equitativa, nell’ambito dei presupposti di cui all’art. 1226 c.c., essendo questa previsione da intendersi riferita non solo al caso di impossibilità di raggiungere una stima precisa ma, anche, al caso di difficoltà nella determinazione della stessa.

La cifra liquidata, stante la notorietà del marchio ********* e l’indubbio vantaggio che si può presumere la Carpan abbia conseguito dall’adozione del marchio contraffattivo in questione per prodotti dello stesso genere, appare poi estremamente contenuta.

La difesa di ********* s.p.a., infatti, ha lamentato l’irrisorietà della somma liquidata, anticipando la doglianza proposta con il ricorso incidentale, di cui si dirà in seguito.

3.3 – Il terzo motivo di ricorso, invece, appare fondato.

Deve, in primo luogo, disattendersi l’eccezione di inammissibilità, proposta dalla difesa *********, nel rilievo che il motivo sia stato assunto in violazione poi del principio di autosufficienza.

E’ vero, infatti, che, secondo la giurisprudenza di questa Corte (sent. 23.5.2000 n. 6733; 29.1.2003 n. 1382,- 11.2.2004 n. 2626), B…è inammissibile il ricorso…con il quale la parte lamenta la violazione delle tariffe professionali, ove non siano state specificate le singole partite contestate e non siano state indicate le voci violate della tariffa professionale…", essendo stato, inoltre, precisato che è "… necessaria la analitica specificazione delle voci della tariffa professionale che si assumono violate…al fine di consentirne il controllo in sede di legittimità senza bisogno di procedere alla diretta consultazione degli atti…(integrando) un’ipotesi di error in iudicando e non in procedendo…". Tuttavia, nel caso in esame, parte ricorrente, da un lato, per quanto riguarda le singole voci violate, ha contestato fondatamente la possibilità di liquidare la voce riguardante le memorie conclusive, in aggiunta alla voce già liquidata per le comparse conclusionali, dall’altro, ha contestato per intero l’applicazione dello scaglione superiore a quello dovuto e l’applicazione di due distinti scaglioni fra il primo ed il secondo grado. Quanto all’aumento di cui al D.M. n. 585 del 1994, art. 5, in considerazione dell’importanza delle questioni giuridiche affrontate, il ricorso ad una simile previsione avrebbe comunque dovuto essere espressamente manifestato e motivato da parte dei giudici dell’appello, senza che la stessa parte qui resistente sia stata in grado di meglio circostanziare le ragioni di un simile trattamento, che avrebbe del resto dovuto portare ad un identico giudizio – se questa fosse stata l’intenzione della Corte fiorentina – sia in primo che in secondo grado.

Ritiene questo collegio che sia corretto, secondo il rilievo della difesa *********, considerare che l’oggetto deciso nella causa non era limitato alla domanda di risarcimento, ma comprendeva anche altri accertamenti e statuizioni, il cui valore non poteva che essere indeterminato. Ugualmente la maggior somma complessivamente liquidata per il giudizio di primo grado rispetto a quella del secondo grado può essere attribuita alla maggior attività istruttoria e di udienza svolta in primo grado, rispetto al giudizio d’appello.

Tuttavia, proprio con riferimento allo scaglione del valore indeterminato di particolare importanza, i diritti e gli onorari spettanti sono inferiori a quelli liquidati dai giudici della Corte fiorentina. In accoglimento del dedotto motivo di ricorso, si deve quindi cassare la sentenza impugnata in punto liquidazione delle spese; facendo applicazione dei principi indicati, si procede ad una nuova liquidazione, per entrambi i gradi del giudizio di merito, come da dispositivo.

4. – Va infine considerato l’unico motivo del ricorso incidentale, proposto da parte *********, con il quale è stata dedotta l’omissione, insufficienza o contraddittorietà della motivazione su un punto decisivo della controversia in relazione all’art. 360 cod. proc. civ., n. 5. La Corte d’Appello di Firenze aveva liquidato i danni, in via equitativa, in complessivi Euro 15.000,00, senza ammettere le istanze istruttorie formulate sul punto dalla ********* s.p.a..

A tale riguardo la motivazione del Collegio fiorentino risulta praticamente inesistente, avendo questo, nella decisione, trascurato circostanze decisive che avrebbero dimostrato una maggiore entità dei danni subiti. ********* s.p.a. aveva, infatti, chiesto di tenere conto degli utili realizzati illegalmente dall’autore della violazione, così come previsto dalla direttiva europea 2004/48/CE, da determinarsi tramite valutazione dei libri contabili di cui era stata chiesta l’esibizione ex art. 58 bis *********.

Non prendendo in considerazione tale richiesta, la Corte d’Appello era incorsa in vizio di motivazione.

Deve essere considerato che il motivo del ricorso incidentale così articolato risulta proposto in forma condizionata, per il caso di accoglimento del ricorso principale con rinvio della causa ad altro giudice.

Anche nelle conclusioni, infatti, la difesa della s.p.a. ********* ha chiesto, in via principale, di respingere il ricorso con condanna della ricorrente alla refusione delle spese processuali del grado, e, solo "in via subordinata, in caso di accoglimento del ricorso con rinvio della causa ad altro giudice", ha chiesto l’accoglimento del ricorso incidentale con rideterminazione del risarcimento dei danni previa esibizione delle scritture contabili di Carpan s.r.l..

Tale formulazione, quindi, non essendosi realizzata la condizione della cassazione con rinvio, esclude che il motivo del ricorso incidentale debba essere esaminato da questo Collegio. Lo stesso, pertanto, rimane assorbito.

5. Il sostanziale rigetto delle tesi della Carpan e l’accoglimento del ricorso limitatamente alla liquidazione delle spese processuali dei gradi di merito inducono a disporre la parziale compensazione delle spese del presente giudizio (liquidate per l’intero come in dispositivo), nella misura che si ritiene congruo indicare in un quarto, mentre i residui tre quarti vengono posti a carico della ricorrente principale.

P.Q.M.

La Corte riunisce i ricorsi; rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso principale e dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato; accoglie il terzo motivo del ricorso principale; cassa la sentenza impugnata in relazione allo stesso motivo e, pronunciando nel merito, liquida le spese del giudizio di primo grado in Euro 15.228,57, di cui Euro 4.200,00 per diritti, Euro 10.000,00 per onorari, Euro 523,68 per spese imponibili, Euro 504,89 per spese non imponibili; per il giudizio di appello in Euro 12.518,40, di cui Euro 8.142,22 per onorari, Euro 3.317,84 per diritti, Euro 738,70 per spese imponibili, Euro 319,64 per spese non imponibili, oltre spese generali e accessori di legge per entrambi i gradi di giudizio; per il presente giudizio, disposta la compensazione per un quarto, liquida per l’intero la somma di Euro 8.200,00 di cui Euro 8.000,00 per onorari ed Euro 200,00 per spese, oltre spese generali e accessori di legge, e condanna la ricorrente principale al pagamento dei residui tre quarti in favore della resistente.

Redazione