Corte di Cassazione Civile sez. I 22/2/2010 n. 4080

Redazione 22/02/10
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione
OSSERVA

quanto segue:

C.A. ha proposto ricorso per Cassazione sulla base di diciotto motivi avverso il provvedimento emesso dalla Corte d’appello di Roma il 20.8.07 con cui il Ministero della Giustizia veniva condannato ex lege n. 89 del 2001 al pagamento di un indennizzo di Euro 1600,00 per l’eccessivo protrarsi di un processo durato limitatamente alla fase d’appello dal 14.4.96 al 7.7.00.

Il Ministero della Giustizia non ha resistito con controricorso.

Osserva:

Il decreto impugnato ha accolto la domanda di equo indennizzo per danno non patrimoniale nella misura dianzi specificata avendo accertato una durata irragionevole del processo di appello di due anni sulla base di una ritenuta durata ragionevole di anni due ed avendo escluso l’eccessiva durata per le restanti fasi del giudizio.

Con il primo motivo di ricorso si censura la pronuncia per non avere dato applicazione all’art. 6 della Conv. di Strasburgo secondo l’interpretazione fornita dalla Corte Edu.

Il motivo appare del tutto inconsistente, limitandosi a delle astratte affermazioni di principio senza muovere alcuna censura concreta a punti o capi del decreto specificatamente individuati.

Con il secondo motivo si lamenta la errata individuazione del periodo di normale durata del processo.

Anche tale motivo e’ inammissibile. Lo stesso e’ basato sulla astratta e tautologica affermazione che la giusta durata del processo – stante la sua natura previdenziale- avrebbe dovuto essere di due anni per il primo grado ed uno e mezzo per il secondo, senza chiarire in riferimento alla fattispecie in esame le ragioni per cui si sarebbe dovuto adottare tale criterio.

E’, infatti, noto che i termini stabiliti dalla Cedu non sono rigidi ma costituiscono dei criteri di riferimento che possono quindi essere, entro certi limiti, adattati con valutazione del giudice al caso concreto, e che la natura previdenziale di una causa non comporta di per se’ l’applicazione di un termine di durata ragionevole ridotto dipendendo tale determinazione pur sempre dalla valutazione della complessita’ della causa rimessa al giudice in ordine alla quale non si rinviene nel motivo alcuna censura.

Con il terzo il quarto ed il quinto, il sesto ed il settimo motivo si deduce, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, l’insufficiente liquidazione del danno non patrimoniale, e la mancata liquidazione in riferimento all’intera durata del giudizio.

Sotto quest’ultimo profilo i motivi sono manifestamente infondati avendo a piu’ riprese affermato questa Corte che la L. n. 89 del 2001, art. 2 espressamente stabilisce che il danno debba essere liquidato per il solo periodo eccedente la durata ragionevole.

I motivi sono altresi’ infondati,in riferimento alla quantificazione dell’indennizzo avendo la Corte d’appello liquidato la somma di Euro 1600,00 per due anni di ritardo (800,00 euro per anno) discostandosi dai criteri minimi stabiliti dalla Corte Edu sulla base di adeguata motivazione.

La Corte d’appello ha liquidato infatti tale somma ritenendo – sulla base del costante indirizzo espresso da questa Corte – che fosse giustificata dalla modestia della posta in gioco che aveva determinato un limitato patema d’animo al ricorrente e dalla mancata presentazione della istanza di prelievo che denotava uno scarso interesse della parte per il processo.

Con l’ottavo il nono ed il decimo motivo, si deduce sotto diversi profili il mancato riconoscimento di un bonus di Euro 2000,00 in ragione della natura previdenziale della controversia.

Tali censure sono manifestamente infondate.

La Corte di Strasburgo ha,infatti, affermato il principio che il bonus in questione debba essere riconosciuto nel caso in cui la controversia riveste una certa importanza ed ha poi fatto un elenco esemplificativo, comprendente le cause di lavoro e quelle previdenziali. Tutto cio’ non significa che dette cause sono necessariamente di per se’ particolarmente importanti con una conseguente liquidazione automatica del bonus in questione, ma che, data la loro natura, e’ possibile che lo siano con una certa frequenza. Tale valutazione di importanza rientra nella ponderazione del giudice di merito che,come e’ noto, dispone di una certa discrezionalita’ nel variare l’importo di indennizzo per anno di ritardo (da mille/00 a millecinquecento/00 salvo limitato discostamento in piu’ o in meno a seconda delle circostanze) e che in tale valutazione, qualora riconosca la causa di particolare incidenza sulla situazione della parte, puo’ arrivare a riconoscere il bonus in questione. Tutto cio’ non implica uno specifico obbligo di motivazione essendo tutto cio’ compreso in quella che concerne la liquidazione del danno.

Con i motivi da undici a diciotto si censura sotto diversi profili la liquidazione delle spese.

Il dodicesimo motivo e’ inammissibile poiche’ il quesito non pone alcuna questione di diritto limitandosi ad una mera domanda sulla sufficienza o meno della liquidazione delle spese nel caso concreto.

L’undicesimo, il quattordicesimo ed il quindicesimo motivo pongono la questione relativa a quali tariffe devono essere applicare al giudizio di equa riparazione. I motivi sono inammissibili.

E’ giurisprudenza costante di questa Corte che le spese del giudizio in materia di equa riparazione devono essere liquidate in base alle tariffe dei procedimenti ordinali contenziosi. Peraltro dal decreto impugnato non risulta in alcun modo che la Corte d’appello si sia discostata da questo criterio non rinvenendosi l’affermazione di un diverso principio ne’ risultando dalla liquidazione effettuata che questa ne abbia in concreto fatto applicazione onde le censure non trovano riscontro in quanto concretamente deciso nel decreto.

Il tredicesimo motivo con cui si assume che le spese di giudizio devono essere liquidate secondo i criteri della Corte di Strasburgo e’ manifestamente infondato dovendo le spese dei giudizi nazionali essere liquidate in base alle tariffe italiane.

Il sedicesimo motivo e’ inammissibile per le stesse ragioni di cui al dodicesimo motivo.

Il diciassettesimo ed il diciottesimo motivo, con cui si censura che il giudice di merito ha immotivatamente disatteso la nota spese risultano fondati non avendo la Corte d’appello motivato circa la riduzione dei diritti rispetto a quelli richiesti.

Il ricorso va in conclusione accolto nei termini di cui sopra.

Il decreto impugnato va di conseguenza cassato in relazione ai motivi accolti e, sussistendo i presupposti di cui all’art. 384 c.p.c. la causa puo’ essere decisa nel merito e, fermo restando l’accoglimento della domanda nei termini gia’ decisi dalla Corte d’appello con la conseguente condanna del Ministero della Giustizia al pagamento dell’equo indennizzo, quest’ultima va condannata altresi’ al pagamento delle spese di giudizio liquidate come da dispositivo che si compensano per il presente giudizio nella misura di due terzi in ragione del rigetto della maggior parte dei motivi.

P.Q.M.
Accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e decidendo nel merito, condanna il Ministero della Giustizia al pagamento delle spese del presente giudizio liquidate per l’intero in Euro 500,00 per onorari oltre Euro 100,00 per esborsi ed oltre spese generali ed accessori di legge, da compensarsi nella misura di due terzi,nonche’ al pagamento delle spese del giudizio di merito liquidate in Euro 860,00 di cui Euro 500,00 per onorari ed Euro 50,00 per spese oltre spese generali ed accessori. Spese tutte distratte in favore dell’avv.to antistatario.

Così deciso in Roma, il 23 ottobre 2009.

Redazione