Corte di Cassazione Civile sez. I 19/6/2008 n. 16668; Pres. Proto V.

Redazione 19/06/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Il signor R.S., adiva il tribunale di Palermo e, premesso di essere conduttore – ad uso abitativo – di un immobile posto in quella città, di proprietà della signora C. G., deduceva di corrispondere un canone superiore a quello previsto dalla L. n. 392 del 1978 e chiedeva la determinazione del c.d. equo canone.

A seguito dell’interruzione del processo, per la morte della convenuta, il giudizio veniva riassunto nei confronti dell’avv. D.S.L., erede della stessa.

2. Ad una successiva udienza, si costituiva in giudizio, con comparsa, la Curatela del fallimento di R.S., chiedendo che il credito vantato dal conduttore fosse riconosciuto in suo favore.

3. Il Tribunale, determinato il canone massimo per il periodo compreso da marzo 1992 ad agosto 2001, condannava il convenuto alla restituzione, in favore della Curatela, della complessiva somma di L. 63.924.850, indebitamente percetta a titolo di differenza canoni di locazione, relativamente al periodo predetto, oltre agli interessi legali maturati dalla domanda giudiziale, alle spese in favore dell’anticipatario, rigettando la domanda di rivalutazione monetaria, pure proposta.

Secondo il Tribunale, il fallito poteva stare in giudizio in ordine ai rapporti di natura strettamente personali, tra i quali rientrava quello relativo al contratto di locazione della propria abitazione, avendo interesse all’accertamento dell’esatto ammontare del canone dovuto ed alla ripetizione di quanto indebitamente corrisposto.

Tuttavia, con il suo intervento in giudizio, tempestivamente posto in essere (ex art. 419 c.p.c.), la curatela avrebbe dimostrato la volontà di sostituirsi al fallito nella domanda di tutela dello stesso diritto, entrato a far parte della massa attiva, di qui la necessità di una pronuncia in favore della procedura concorsuale.

4. In particolare, posto che il contratto di locazione, che aveva avuto inizio il 1^ marzo 1992, era assoggetto al regime di cui alla L. n. 392 del 1978, artt. 12 e ss., e che il CTU aveva individuato il costo base, essendo l’immobile costruito nel 1956, la sua vetustà doveva essere indicata nel parametro 0,775 (non in 7,35, come erroneamente indicato nella CTU), essendo decorsi 35 anni solari dalla data di costruzione dell’immobile sino all’inizio della locazione e considerandone lo stato come normale, con coefficiente 1,00 (non mediocre, come proposto dal CTU) in considerazione dei parametri costituiti dalla L. n. 392 del 1978, art. 21, e del D.M. 9 ottobre 1978 (cd. Decreto Stammati) e del fatto che gli elementi caratterizzanti l’immobile non erano affatto scadenti (pp. 8 – 9 della motivazione, ove i dettagli valutativi della normalità dell’immobile).

5. Avverso tale pronuncia proponeva appello l’avv. D.S. L., assumendo che il primo giudice avrebbe errato:

a) nel non escludere il fallito, presente personalmente in giudizio, dopo la valida costituzione della curatela, la quale aveva fatto proprie tutte le domande, difese ed eccezioni sollevate da questo;

b) che il fallito non avrebbe avuto alcun interesse alla determinazione del canone, essendo la locazione cessata in data 30 ottobre 2001, a seguito del rilascio del bene e che, pertanto, le questioni riguardavano esclusivamente un problema creditorio;

b1) ove il primo giudice avesse estromesso il fallito in proprio, l’istanza di opposizione al rinvio dell’udienza del 23 ottobre 2001, dov’era stata – invece – dichiarata la sua contumacia, sarebbe stata accolta e la decisione della causa sarebbe avvenuta assicurandogli la possibilità di difendersi pienamente.

6. La Corte d’appello, premesso che la controversia atteneva ad un rapporto di natura personale, ai sensi della *******., art. 46, che la domanda era rivolta al soddisfacimento di un interesse personale del fallito e che il credito maturato dallo stesso costituiva un rapporto di diritto patrimoniale in ordine al quale gli organi fallimentari si erano disinteressati, omettendo di agire, respingeva pure le doglianze relative all’entità del canone di locazione e del credito complessivo dovuto dal locatore, quella relativa alla determinazione del coefficiente di vetustà dell’immobile, perchè generica, e le altre censure relative a vari controcrediti (quale quello per mancato pagamento della pigione relativa al mese di ottobre 2001, dei danni cagionati allo stato dell’immobile, delle riparazioni straordinarie effettuate prima della locazione, ecc), in quanto censure e domande mai dedotte nel corso del giudizio di primo grado.

Respingeva inoltre la domanda per responsabilità aggravata ex art. 96 c.p.c. e quella relativa alla pretesa erronea dichiarazione di contumacia dell’appellante, nel corso del giudizio di primo grado, in considerazione del fatto che la richiesta di rinvio era stata fatta da persona non avente titolo, perchè non costituita in giudizio e che il rito applicabile alle locazioni non ammetteva udienze di mero rinvio.

6.1. In ordine all’appello incidentale proposto dal signor R., accoglieva il motivo tendente a far dichiarare tardiva la costituzione in giudizio della curatela, atteso che, ai sensi dell’art. 419 c.p.c., l’intervento del terzo, svolto ai sensi dell’art. 105 c.p.c., non poteva aver luogo oltre il termine stabilito per la costituzione del convenuto, con le modalità previste dagli artt. 414 e 416 c.p.c., in quanto applicabili.

Infatti, la posizione della curatela sarebbe stata quella dell’interventore principale, ossia della parte che intenda far valere un proprio diritto, in contrapposizione alle pretese fatte valere, nello stesso giudizio, da altre parti, con riferimento allo steso bene oggetto di contesa, con posizione di incompatibilità tra le medesime.

6.2. La Corte territoriale, pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, dichiarava inammissibile l’intervento del fallito e condannava l’avv. D.S. al pagamento delle somme, indebitamente percette dalla propria dante causa, per il rapporto di locazione intrattenuto con il fallito, in favore di quest’ultimo, anzichè della curatela.

6.3. Le spese, tra le parti e la curatela, venivano compensate.

Quelle tra conduttore e locatore erano poste a carico del soccombente.

7. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per Cassazione l’avv. D.S.L., con ricorso affidato a quattro motivi, illustrato anche da memoria e da replica scritta alle conclusioni del PG, depositate all’esito dell’udienza pubblica. Il signor R. ha resistito, con controricorso.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione *******., art. 80, e l’illogicità della motivazione) il ricorrente deduce che erroneamente la Corte d’appello, modificando l’opinione del tribunale, ha affermato che il fallito conserva la capacità relativa ai rapporti di locazione.

Tanto sarebbe escluso dalla L. Fall., art. 80, che impedirebbe al fallito di instaurare e/o continuare rapporti di locazione per abitazione personale non giustificati dalle sue possibilità economiche, con danno per i creditori.

1.2. Con il secondo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione e falsa applicazione della *******., art. 43) il ricorrente deduce che erroneamente la Corte d’appello, confermando l’opinione del tribunale, non ha estromesso il fallito dal giudizio, in applicazione della norma richiamata. Peraltro, escludendo la capacità processuale del fallito il ricorrente avrebbe avuto la possibilità di ricostituirsi in giudizio, facoltà perduta proprio a causa del fatto che all’udienza fissata in primo grado non aveva avuto la possibilità di costituirsi per impegni concomitanti presso altra autorità giudiziaria.

1.3. Con il terzo motivo di ricorso (con il quale lamenta la violazione dell’art. 345 c.p.c. e della legge sull’equo canone) il ricorrente deduce due errori compiuti dalla Corte d’appello:

a) uno relativo alla dichiarazione di inammissibilità del 4^ motivo di appello, per la pretesa mancata specificazione dei motivi di censura in primo grado, in quanto il coefficiente di vetustà dell’immobile avrebbe dovuto essere dedotto in base a dati (quale quello dell’anno di costruzione dell’immobile) presenti agli atti, mentre quello relativo alla superficie destinata a parcheggio di uso comune sarebbe stata tempestivamente proposta con le osservazioni tecniche alla CTU;

b) un altro relativo alla scoperta, dopo la conclusione del giudizio di primo grado e in occasione del rilascio dell’immobile (il 30 ottobre 2001), avvenuto dopo il deposito della decisione di primo grado, dei danni cagionati all’appartamento dal fallito, e ciò in ossequio della facoltà accordata dall’art. 345 c.p.c. (risarcimento dei danni sofferti dopo la sentenza) e in ordine al mancato pagamento di alcuni accessori (canone del mese di ottobre 2001, oneri condominiali, spese per il consumo dell’acqua).

2. Il ricorso, che è complessivamente infondato, deve essere respinto.

3.1. Il primo motivo d’impugnazione, con il quale il ricorrente pone il quesito di diritto relativo alla natura e alla vicenda giuridica della posizione contrattuale propria del conduttore, della casa adibita ad abitazione personale, rispetto al proprio fallimento (sia esso, o meno, dichiarato prima o dopo la stipula del contratto de quo), va disatteso in quanto, nella prospettazione del ricorrente, postula l’affermazione di un principio di diritto del tutto difforme da quelli già elaborati da questa Corte, a partire dalla storica sentenza delle Sezioni Unite civili n. 631 del 1979. 3.2. Superando un contrasto di giurisprudenza già evidenziatosi in precedenza, il richiamato arresto ha stabilito che la L. Fall., art. 80, comma 2, (nel testo vigente, ratione temporis), con la previsione che il curatore del fallimento del conduttore subentra nel rapporto di locazione, con facoltà di recesso, non interviene con riguardo al contratto di locazione che abbia ad oggetto l’immobile destinato ad abitazione del fallito e della sua famiglia, a prescindere dalla proporzionalità o meno della sua consistenza rispetto alle loro esigenze, atteso che tale rapporto, in relazione allo speciale regime vincolistico delle locazioni degli immobili urbani e, comunque, alla sua inidoneità ad incidere sugli interessi della massa, deve ritenersi di natura personale e, quindi, non compreso nella procedura concorsuale, ai sensi della *******., art. 46.

In sostanza, la posizione contrattuale del conduttore, quale che sia il momento in cui sia intervenuto il suo fallimento, conserva una natura personale, prevalente su quella di carattere patrimoniale, onde essa prosegue la sua vita, autonomamente, non risentendo direttamente degli effetti delle stesse scansioni e vicende del fallimento che abbia riguardato il suo titolare.

Una tale concezione, del resto, risponde ad una visione del fallimento tendenzialmente ispirata ai valori costituzionali, e corrisponde ad una tecnica processuale ormai funzionalizzata alla soluzione del problema concorsuale (e cioè al rispetto della par condicio creditorum) e al rispetto del principio della responsabilità patrimoniale del debitore (art. 2740 c.c.), ma pur sempre tenuta al rispetto della persona del fallito e della sua famiglia (art. 2 Cost.).

A tal riguardo, ad esempio, questa Corte a Sezioni Unite (sentenza n. 8271 del 2008) ha statuito che il curatore non può agire contro il terzo assicuratore per ottenere il valore di riscatto della relativa polizza stipulata dal fallito quand’era in bonis, non rientrando tale cespite tra i beni compresi nell’attivo fallimentare, ai sensi della *******., art. 46, comma 1, n. 5; e che (sentenza n. 20325 del 2007) il pagamento degli stipendi, pensioni, salari ed altri emolumenti di cui alla *******., art. 46, comma 1, n. 2, effettuato dal debitore direttamente al fallito, prima dell’emanazione del decreto con cui il giudice delegato, ai sensi del secondo comma dello stesso articolo, fissa i limiti di quanto occorre per il mantenimento suo e della sua famiglia, è inefficace, ai sensi della *******., art. 44, comma 2, soltanto per gli importi eccedenti detti limiti, come determinati dal giudice delegato con riferimento al periodo anteriore al suo decreto.

3.3. Insomma, la locazione avente ad oggetto l’abitazione personale del fallito risponde ad una logica dei valori della persona, non a quelli del concorso.

Così, la sentenza n. 7142 del 2000 ha ribadito, in subjecta materia, che la locazione non integra un diritto patrimoniale compreso nel fallimento del conduttore secondo la previsione della *******., art. 43, bensì un rapporto di natura strettamente personale, ai sensi della *******., art. 46, in quanto rivolto al soddisfacimento di un’esigenza primaria di vita ed inidoneo ad incidere sugli interessi della massa, perciò indifferente per il curatore.

3.4. Non è, perciò, corretta la costruzione proposta dal ricorrente secondo la quale occorrerebbe distinguere tale rapporto a seconda del suo momento genetico (se, cioè, anteriore o posteriore alla dichiarazione di fallimento del conduttore) ovvero se relativo al solo accertamento del cd. equo canone ovvero alla richiesta di ripetizione del sovrappiù, indebitamente percepito dal locatore.

3.4.1. Infatti, con riferimento al primo profilo, relativo al momento temporale della conclusione del contratto, la questione prospettata, proprio perchè attinente ad un rapporto escluso dalla massa attiva, è del tutto indifferente alle ragioni del ceto creditorio, in quanto rivolto al soddisfacimento di un’esigenza primaria di vita. Ne deriva l’irrilevanza, di principio, delle sue vicende rispetto alle ragioni del ceto creditorio, peraltro sottolineate dal locatore, senza avere un interesse giuridicamente apprezzabile.

3.4.2. Ma anche il secondo profilo, quello relativo al recupero delle somme indebitamente versate in ragione della pattuizione negoziale, ed in una misura maggiorata rispetto all’assetto legale (del cd. equo canone), ha rilievo solo nell’ambito dei rapporti tra fallito e curatore, se ed in quanto il versamento di quelle somme abbiano sottratto risorse alla cd. massa attiva e nei limiti di quanto è necessario per la famiglia del fallito.

Peraltro,anche sotto tale profilo, le censure svolte dal ricorrente sono del tutto carenti di interesse, e aprono l’ingresso alla trattazione del secondo motivo di ricorso.

4. Con il detto motivo di impugnazione, infatti, il ricorrente pone la questione della mancata estromissione del fallito dal giudizio, in applicazione della *******., art. 43, nel testo tuttora vigente, cosicchè, escludendone la capacità processuale, egli avrebbe avuto la possibilità di costituirsi nel giudizio, proposto secondo il rito dell’equo canone.

4.1. Ma anche tale doglianza va disattesa. E ciò sulla base del principio ancor più generale, e logicamente preordinato a quelli sopra enunciati, secondo il quale la perdita della capacità processuale del fallito a seguito della dichiarazione di fallimento non è assoluta ma relativa alla massa dei creditori, alla quale soltanto – e per essa al curatore – è concesso eccepirla, con la conseguenza che se il curatore rimane inerte ed il fallito agisce per conto proprio, la controparte non è legittimata a proporre l’eccezione nè il giudice può rilevare d’ufficio il difetto di capacità (Cassazione, sez. unite, sentenza n. 7132 del 1998).

4.2. Il locatore (e il suo dante causa) dell’immobile utilizzato ad abitazione dal fallito (e dalla sua famiglia) non ha il potere di eccepire, per conto del ceto creditorio, il difetto di legittimazione del fallito, in ordine alla ripetizione delle somme versate a titolo di canone di mercato per l’immobile dallo stesso condotto, in quanto il recupero delle stesse attiene ad una valutazione rimessa agli organi della procedura e, come tale, oggetto di controllo giudiziale.

4.3. Nella specie, peraltro, la condanna statuita in favore del fallito è conseguita dalla dichiarazione di inammissibilità dell’intervento svolto dal curatore, con un capo della sentenza che non è stata impugnata in questa sede dall’unica parte deputata a farlo, ossia il fallimento.

4.4. Nè il ricorrente può utilmente dolersi, in dipendenza della mancata estromissione del fallito dal giudizio, delle proprie inadempienze e delle conseguenti sanzioni adottate dal giudice della locazione, in conseguenza di una istanza proposta senza la sua preventiva costituzione in giudizio.

5. Il terzo ed ultimo motivo va disatteso in tutte e due le sue articolazioni.

5.1. Anzitutto in quella relativa alla doglianza espressa per la dichiarata inammissibilità dell’appello in ordine al motivo riguardante la vetustà dell’immobile locato e all’erroneo o al mancato calcolo della superficie adibita a parcheggio (censure volte a maggiorare l’importo del canone legale) in quanto le stesse non sono autosufficienti, poichè non contengono le debite precisazioni in ordine al come, dove, quando e in che termini siano state espresse nella precedente fase di merito.

5.2. In secondo luogo nell’altra, relativa ai danni cagionati dal fallito all’immobile e scoperti dopo il suo rilascio e in quella relativa al mancato pagamento di una mensilità e di alcuni accessori, atteso che, a parte la non autosufficienza delle stesse questioni (per le ragioni anzidette), la loro domanda non avrebbe potuto comunque essere svolta ai sensi dell’art. 345 c.p.c., ora invocato. Infatti, come questa Corte ha chiarito (ad esempio, con la sentenza n. 7683 del 1995), la parte che intende ottenere il riconoscimento di tali beni della vita, può proporla per la prima volta in appello, allo scopo di ottenerne il riconoscimento successivamente alla sentenza di primo grado, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., nel solo caso in cui la domanda, avente quella causa petendi, sia stata proposta in primo grado, presupponendo la deroga al divieto di domanda nuova in appello che si tratti di uno sviluppo logico di una domanda già proposta (mentre, nella specie, non risulta affatto che fossero state prospettate, in primo grado, anche sulla base di quanto faticosamente ricostruibile dal ricorso per Cassazione, domande tese alla compensazione di una parte del credito richiesto per l’eccesso dei pagamenti da parte del fallito).

6. Le spese, in favore della sola parte resistente, seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese di questa fase del giudizio che liquida, in favore della parte resistente, in complessive Euro 3.200,00, di cui Euro 3.000,00, per onorario, oltre spese generali ed accessori di legge.

Redazione