Corte di Cassazione Civile sez. I 12/8/2009 n. 18233; Pres. Carnevale C.

Redazione 12/08/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Nell’ambito di un procedimento di liquidazione delle competenze ed onorari per prestazioni giudiziali, L. 13 Giugno 1942, n. 794, ex art. 29, la Corte d’appello di Catanzaro con ordinanza emessa il 4 Marzo 2008 liquidava in favore dell’avv. M.G. il compenso per l’attività svolta in favore della regione Calabria; nel giudizio di appello che l’aveva vista contrapposta alla ****** s.r.l., in complessivi Euro 4.725,00, di cui Euro 3.000,00 per onorari, Euro 1.200,00 per diritti ed Euro 525,00 per spese; oltre gli accessori di legge e con gli interessi legali dalla data del provvedimento.

Motivava che si verteva in una controversia di valore indeterminabile, in considerazione dell’oggetto dell’impugnazione limitato alla sola questione della giurisdizione ordinaria, negata dall’impugnata pronunzia del Tribunale di Catanzaro; senza devoluzione anche del merito, involgente la domanda, proposta dall’****** s.r.l., di pagamento della somma di Euro 21.179.800,00.

Avverso il provvedimento, l’avv. M. proponeva ricorso per cassazione, articolato in quattro motivi, deducendo:

1) la violazione dell’articolo unico della L. 7 novembre 1957, n. 1051, (Determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati e procuratori per prestazioni giudiziali in materia civile) e del D.M. 8 Aprile 2004, n. 127, art. 5, commi 1, 3 e 6 (Regolamento recante determinazione degli onorari, dei diritti e delle indennità spettanti agli avvocati per le prestazioni giudiziali, in materia civile, amministrativa, tributaria, penale e stragiudiziali), degli artt. 10 – 14 c.p.c., e dell’art. 1321 c.c., nonchè la carenza di motivazione perchè la corte territoriale non aveva tenuto conto della domanda di condanna svolta dall’****** anche in secondo grado, subordinatamente all’accoglimento del gravame avverso la pronuncia del primo giudice, declinatoria della giurisdizione ordinaria;

2) l’inosservanza delle medesime norme, nonchè l’insufficiente motivazione perchè le parti avevano inteso regolare il rapporto di opera professionale, in via negoziale preventiva, stabilendo con apposita convenzione che "il valore della causa, in tutte le sue frasi, è quello risultante all’atto della domanda";

3) la violazione di legge e la carenza di motivazione nell’erronea affermazione che il valore iniziale della causa si fosse poi ridotto in grado di appello in relazione alle questioni proposte, nonostante l’assenza di alcuna modifica del petitum;

4) la violazione degli artt. 1219 e 1224 c.c., per aver fatto decorrere gli interessi moratori dalla data dell’ordinanza, anzichè da quella della messa in mora della cliente mediante l’invio della parcella.

Resisteva con controricorso, illustrato con successiva memoria, la regione Calabria.

All’udienza del 28 Maggio 2009 il Procuratore generale precisava le conclusioni come da verbale, in epigrafe riportate.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Dev’essere rigettata l’eccezione preliminare, di rito, di inammissibilità del ricorso per promiscuità delle censure mosse, sia per violazione di legge, sia per vizi di motivazione, nell’ambito dei motivi dedotti. In realtà ognuno di questi reca, in conclusione, il prescritto quesito di diritto, riassuntivo della doglianza in forma adeguata: a nulla rilevando che la parte argomentativa si estenda, poi, com’è naturale, ad una considerazione più generale degli aspetti critici della fattispecie.

Con il primo ed il terzo motivo, esaminabili congiuntamente per affinità di contenuto, il ricorrente deduce la violazione di legge, nonchè la carenza di motivazione, perchè la corte territoriale non avrebbe tenuto conto del valore della domanda di condanna, svolta dall’****** anche in secondo grado, nel ragguagliare il compenso professionale alle voci tariffarie proprie non già dello scaglione corrispondente al suo valore (Euro 21.179.800,00), bensì di quello di cause di valore indeterminabile, in considerazione dell’unicità della questione sottoposta in sede di gravame alla Corte d’appello di Catanzaro, concernente il difetto di giurisdizione ordinaria dichiarato, in primo grado, dal Tribunale di Catanzaro.

I motivi sono infondati.

Premesso che la tariffa professionale degli avvocati di cui al D.M. 8 aprile 2004, n. 127, distingue, così come tutte quelle precedenti, i criteri generali per la liquidazione degli onorari a carico del cliente – applicabili nella specie – rispetto a quelli validi a carico del soccombente, si osserva come il parametro fondamentale, nel primo caso, resti sempre quello del valore della causa determinato a norma del codice di procedura civile: e quindi, in tema di obbligazioni pecuniarie, sulla base della somma pretesa con la domanda di pagamento (art. 10 c.p.c.), e non sulla base della somma attribuita alla parte vincitrice, che è criterio applicabile nei confronti del soccombente (art.6, comma 1, D.M. cit.).

Identico parametro deve essere applicato nei gradi di impugnazione; a condizione però che il thema decidendum non subisca modifiche o restrizioni per effetto delle decisioni impugnate e l’ambito della devoluzione al giudice superiore resti esteso all’intero oggetto originario. Solo in quest’ultimo caso, infatti, il valore della causa nei gradi superiori non è rimodulato in relazione all’effettiva entità della riforma che si intende conseguire.

Per contro, quando al giudice superiore venga riproposta una parte limitata della domanda (o, specularmente, delle eccezioni e difese opposte in primo grado), al fine di ottenere una riforma solo parziale della sentenza, il valore della causa si riduce proporzionalmente e ad esso va commisurata l’entità degli onorari dovuti al professionista.

Tale conseguenza si determina anche quando l’oggetto dell’impugnazione risulti necessariamente limitato per dettato normativo. è questo il caso di specie, in cui l’appello avverso la sentenza declaratoria della giurisdizione doveva avere un oggetto necessariamente monotematico; i cui limiti non potevano essere valicati nemmeno in caso di accoglimento del gravame, produttivo della rimessione della causa, nella sua interezza, al primo giudice (art. 353 c.p.c., comma 1).

Ne consegue che correttamente la Corte d’appello di Catanzaro ha liquidato gli onorari dovuti per le prestazioni espletate dall’avv. M. per conto della regione Calabria, in secondo grado, sulla base del valore indeterminabile riconoscibile ad una controversia ristretta alla sola questione di giurisdizione: restando irrilevante che la parte soccombente avesse reiterato, in via subordinata, la domanda di condanna, all’unico scopo di non incorrere in preclusioni, in caso di riforma della decisione declinatoria della giurisdizione e di prosecuzione del giudizio, dopo la translatio iudicii regressiva al giudice di primo grado.

Con il secondo motivo il ricorrente censura l’inosservanza delle medesime norme, nonchè l’insufficiente motivazione, perchè le parti avrebbero inteso regolare il rapporto di opera professionale in via negoziale preventiva.

Il motivo è infondato.

La convenzione disciplinante il mandato professionale stipulata tra le parti, nello stabilire, ai fini della remunerazione, che "il valore della causa, in tutte le sue fasi, è quello risultante all’atto della domanda" ripete, in via negoziale, il principio di diritto testè enunciato. Nè sarebbe valida, perchè priva di causa, la pattuizione di un compenso parametrato ad un valore diverso e maggiore da quello concretamente verificabile in relazione al thema decidendum: salve le deroghe espressamente consentite in caso di manifesta inadeguatezza del parametro ordinario in relazione all’effettivo interesse della parte. Sotto questo profilo, la corte territoriale non è incorsa, quindi, in alcuna inosservanza di norme di legge nell’interpretare la convenzione in senso conforme ai principi generali enunciati dal codice di procedura civile.

Con l’ultimo motivo ci si duole della violazione degli artt. 1219 e 1224 c.c., per aver fatto decorrere gli interessi moratori dalla data dell’ordinanza, anzichè da quella della costituzione in mora della regione Calabria.

Questo motivo è fondato.

La recezione della parcella inviata dall’avv. M. segna il dies a quo del decorso degli interessi moratori a carico della cliente.

Il fatto che quest’ultima abbia contestato – peraltro sotto il solo profilo del quantum – la pretesa avversaria non esclude il suo obbligo di corrispondere quanto ritenesse in effetti dovuto, eventualmente mediante offerta reale.

La sentenza va quindi cassata in parte qua.

In assenza della necessità di ulteriori accertamenti di fatto, si può procedere alla decisione nel merito (art. 384 c.p.c., comma 2), disponendo che gli interessi sulla somma liquidata decorrono dalla costituzione in mora.

La parziale soccombenza reciproca e l’obiettiva disputabilità della questione giuridica trattata giustificano la compensazione integrale delle spese processuali.

P.Q.M.

– Rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto motivo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e, decidendo nel merito, dispone che gli interessi sulla somma liquidata decorrono dalla costituzione in mora;

– compensa tra le parti le spese di giudizio.

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