Corte di Cassazione Civile 31/3/2008 n. 8271; Pres. Carbone V., Est. Morelli M.R.

Redazione 31/03/08
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Fatto e Diritto

1. Il curatore del Fallimento della RO.ME.CA. s.r.l. impugna per cassazione la sentenza in data 26 febbraio 2002, con la quale la Corte di Napoli ne ha respinto l’appello avverso la sentenza di primo grado, che ha negato accoglimento alla domanda, da lui proposta nei confronti de "La Venezia Assicurazioni", per il pagamento della somma di L. 81.062.440, a titolo di riscatto di una polizza sulla vita, di cui era beneficiario il socio fallito R.A..

Si è costituita la società intimata, per resistere alla impugnativa.

2. Con ordinanza n. 20243 del 2006, la Sezione 1^ civile, cui il ricorso era stato assegnato ratione materiae, ha rimesso gli atti al Primo Presidente al fine dell’assegnazione – che questi ha poi disposto – della causa alle Sezioni Unite, per la composizione del ravvisato contrasto di giurisprudenza (tra Cass. n. 8676/00 e le precedenti Cass. nn. 1811/65; 2802/72; 11975/99) in ordine alla questione (sottesa al riferito ricorso) se sia, o non, legittimato il curatore del fallimento ad esercitare il riscatto della polizza vita stipulata dal fallito, già in bonis, con l’impresa assicuratrice.

3. La normativa di riferimento – in base alla quale si pone e va risolto il quesito sottoposto al vaglio di queste Sezioni unite – è rappresentata dall’art. 1923 c.c., – a tenore del quale, in tema di assicurazione sulla vita, "le somme dovute dall’assicuratore al contraente o al beneficiario non possono essere sottoposte ad azione esecutiva" – in correlazione alla *********. art. 46, n. 5, per cui "Non sono compresi sul fallimento … le cose che non possono essere pignorate per disposizione di legge". 3.1. Al riferito combinato contesto normativo è stato inizialmente attribuita portata generale, non limitata alla somma assicurata ma estesa anche a quella proveniente da eventuale riscatto, da Cass. 28 luglio 1965 n. 1811, in una fattispecie (analoga a quella per cui ora è lite) in cui il curatore aveva appunto riscattato la polizza del fallito per incamerarne l’ammontare al fallimento.

Alla stessa conclusione è pervenuta poi la successiva Cass. 25 ottobre 1999 n. 11915, in altra fattispecie in cui il riscatto era stato richiesto dallo stesso fallito, e con riguardo alla quale è stato cassato il provvedimento con cui il Tribunale aveva confermato il decreto del G.D. che aveva negato al fallito, e riconosciuto al curatore, l’autorizzazione a riscuotere quanto dovuto dall’assicuratore.

Mentre la precedente Cass. 2 ottobre 1912 n. 2802 e la successiva Cass. 13342 2004 hanno negato l’acquisibilità al fallimento, ex art. 1923 c.c., e *******. art. 46, n. 5 cit., della liquidazione per infortunio (nel secondo caso, mortale) subito dal fallito, avendo ritenuto anche a dette ipotesi estensibile la ratio del divieto di pignorabilità, anche in precedenza ravvisata in relazione alle somme dovute dall’assicuratore in forza, appunto, di contratto di assicurazione sulla vita.

E ciò in considerazione di una funzione sociale e umana ritenuta identicamente assolta dall’assicurazione per infortuni come da quella sulla vita.

3.2. Nel frattempo, la sentenza n. 3 dicembre 1988, n. 654 – in un caso in cui l’aquisibilità al fallimento veniva in discussione in relazione a somme già liquidate al beneficiario dopo l’evento morte – muovendo dalla considerazione che la normativa sulla impignorabilità sia dettata a tutela delle imprese, per essere diretta, come emergerebbe dalla circostanza che il divieto riguarda "le somme dovute", ad evitare che il patrimonio delle stesse possa essere aggredito per operarvi la deductio della posta passiva rappresentata dal credito dell’assicurato o del beneficiario – era pervenuta ad escludere, dall’area di operatività del divieto di cui all’art. 1923 c.c., le "somme riscosse" quelle cioè già corrisposte dall’assicuratore e confuse, pertanto, nel patrimonio dell’assicurato, soggetto così alla sorte di questo.

3.3. In opposta prospettiva, ma in ancor più netta contraddizione con l’orientamento tradizionale, si è però poi posta, appunto, la sentenza 26 giugno 2000 n. 8676. Secondo la quale, le somme dovute dall’assicuratore in forma di assicurazione sulla vita che, a mente dell’art. 1923 c.c., comma 1, "non possono essere sottoposte ad azione esecutiva o cautelare" e che vanno escluse dall’attivo fallimentare ai sensi della *******. art. 46, n. 5, sono soltanto quelle costituenti l’oggetto del contratto in relazione alla funzione tipica di questo, riferita al momento della naturale cessazione del rapporto. Con la conseguenza che, essendo la fattispecie contrattuale dell’assicurazione sulla vita funzionale al conseguimento dello scopo di previdenza, tale finalità potrebbe dirsi raggiunta soltanto nel caso in cui il contratto abbia conseguito il suo scopo tipico (vale a dire la reintegrazione del danno, provocato dall’evento morte e/o sopravvivenza, tramite la prestazione dell’assicuratore preventivamente stimata idonea a soddisfare l’interesse leso da tale evento), e non anche nel caso in cui l’assicurato, mediante l’esercizio del diritto di recesso "ad nutum", recuperi al suo patrimonio somme che, pur realizzando lo scopo di "risparmio", non integrano tuttavia gli estremi della funzione "previdenziale", e che, pertanto, sarebbero del tutto legittimamente acquisite all’attivo fallimentare, operandosi in tal caso lo scioglimento del contratto "ipso iure". 3.4. Da qui, appunto, il contrasto di indirizzi, in punto di esegesi dell’art. 1923 c.c., in correlazione alla *******. art. 46, che occorre comporre. E che, nella fattispecie – in relazione ai motivi dell’odierno ricorso, che circoscrivano in questa sede il thema decidendum – viene, per altro in rilievo, con specifico e limitato riferimento alle somme dovute dall’assicuratore a titolo di valore di riscatto.

4. Preliminare al quesito della pertinenza o meno al fallimento delle somme di cui sopra, sono per altro (in via, a loro volta, logicamente gradata) i quesiti: a) se il fallimento determini o meno lo scioglimento anche del contratto di assicurazione (facendo – con ciò stesso entrare il valore di riscatto nella massa attiva); b) se (ove escluso un siffatto scioglimento) sia, o non, legittimato, allora, il curatore a subentrare nel contratto di assicurazione stipulato dal fallito, ai fini dell’esercizio, in sua sostituzione, del diritto a richiedere il riscatto della polizza.

5. In ordine alle riferite problematiche – con le quali la giurisprudenza di legittimità ha avuto sin qui, come si è visto, solo sporadiche occasioni di misurarsi – è stato, invece, sempre ampio ed approfondito il dibattito in dottrina, con prospettazione, per altro, di un variegato ventaglio di soluzioni.

In particolare, in ordine al profilo preliminare degli effetti del fallimento sul contratto di assicurazione sulla vita, è stato, per un verso, sostenuto che il contratto si sciolga automaticamente in caso di fallimento, dell’assicurato o del beneficiario (ciò sostanzialmente argomentandosi dal disposto della *******. art. 82, che esclude un siffatto scioglimento unicamente con riguardo alla "assicurazione contro i danni") e, per altro verso, che quel contratto, in ragione della sua funzione previdenziale resti ex se fuori dalla vicenda concorsuale (il che ne spiegherebbe la mancata menzione sul citato art. 82), potendo quindi esso continuare, pur dopo la declaratoria di fallimento, alternativamente, con l’impiego di somme la cui disponibilità non debba essere sottratta al fallito o versate, con il suo consenso, da terzi, ovvero restando in vigore (sussistendone i presupposti ex art. 1924 c.c.) per un importo ridotto.

Traendosi poi, appunto, dalla seconda prospettazione, da alcuni, il corollario della oggettiva intangibilità del fallimento del contratto in questione e, da altri, invece quello della traslazione della titolarità del credito verso l’assicuratore dal fallito al curatore della massa (che potrebbe quindi disporne con esercizio della facoltà di riscatto), sul presupposto (secondo quell’ultima teoria) che la tutela previdenziale ex art. 1923 c.c., cessi con l’instaurazione della procedura concorsuale.

Per cui in definitiva la questione sulla legittimazione del curatore all’esercizio del riscatto (che dovrebbe precludere all’incameramento della somma rappresentativa del correlativo valore) rimanda così al punto nodale della individuazione della ratio dell’art. 1923 c.c., e della eventuale forza di resistenza, anche al fallimento dell’assicurato, del divieto, ivi sancito, di sottoponibilità ad azione esecutiva o cautelare delle somme dovutegli dall’assicuratore.

Al quale ultimo riguardo, si contrappongono anche in dottrina la tesi per cui quel divieto sia ispirato, e funzionale, alla protezione degli atti di previdenza ed alla incentivazione e tutela del risparmio e la teoria (condivisa da Cass. n. 654/88 cit.) per la quale esso sarebbe volto, invece, in via principale a tutelare l’interesse dell’assicuratore al regolare svolgimento del contratto.

Riconoscendosi, comunque, anche nel fuoco del dibattito dottrinario, da alcuni più avvertiti Autori, che in tema tutte le prospettate soluzioni sono legittimamente sostenibili, nessuna di esse trovandosi univocamente respinta dal dato testuale e corrispondendo tutte ad esigenze in astratto perseguibili dall’ordinamento.

6. Tali essendo dunque i profili e i termini della questione di contrasto – come emergono dalla sequenza degli arresti giurisprudenziali e dalla parallela elaborazione dottrinaria – ritiene ora il Collegio che risolutiva, ai fini dell’opzione esegetica sia, per un verso, la considerazione, in chiave di interpretazione costituzionalmente orientata, del rilievo e spessore – costituzionale appunto – che va riconosciuto al valore della "previdenza" (qui legata ai bisogni dell’età postlavorativa o derivante dall’evento morte di colui che percepisce redditi dei quali anche altri si avvalga), che la norma in esame (unitamente ad eventuali e, in varia misura, concorrenti finalità di risparmio) è volta a tutelare (in via sia diretta, attraverso la garanzia del credito del singolo assicurato, sia indiretta attraverso la protezione del patrimonio dell’assicuratore, posto così al riparo dal contenzioso dei creditori, i cui costi andrebbero a detrimento degli assicurati per via di innalzamento dei premi); e, per altro verso, la percezione, in termini di diritto vivente, ontologicamente inteso, della dimensione evolutivamente assunta, nell’attuale contesto economico sociale, dallo strumento (che in ragione, appunto, della sua funzione previdenziale, il "divieto" sub art. 1923 c.c., è volto a presidiare) della assicurazione sulla vita, quale forma di assicurazione privata (pur nelle possibili sue varie modulazioni negoziali) maggiormente affine agli istituti di previdenza elaborati dalle assicurazioni sociali. E che, proprio in ragione di ciò, tende ora porsi, come osservato da attenta dottrina, come "Terzo ********" della previdenza, in una congiuntura, quale quella attuale, caratterizzata dalle crescenti difficoltà dello Stato sociale che, sull’apporto integrativo della assicurazione privata deve necessariamente contare.

Considerazioni, queste, che inducono appunto a respingere una interpretazione restrittiva dell’art. 1923 c.c., escludendo per ciò che la rete di protezione, da azioni esecutive o cautelari, che detta norma appresta al credito dell’assicurato, per le somme dovutegli dall’assicuratore in base al contratto di cui al precedente art. 1919 c.c., si dissolva a fronte di esecuzione concorsuale, e che – nel quadro di questa – il bilanciamento degli opposti interessi possa risolversi privilegiando quella dei creditori, con forme di tutela ulteriori rispetto a quella (revocatoria) espressamente, all’uopo, già prevista dalla disposizione di cui al comma secondo dello stesso art. 1923 c.c..

Per cui, dunque, anche dopo la dichiarazione di fallimento, rimane in vigore (nei sensi e, nei limiti, ex art. 1924 c.c., di cui già si è detto) il contratto di assicurazione sulla vita stipulato (in bonis) dal fallito.

6 bis. E, per altro, stante la impignorabilità, ex art. 1923 c.c., come sopra interpretato, dei crediti del fallito derivanti (nelle forme alternative di cui al successivo art. 1925 c.c.) dal non disciolto contratto di che trattasi, gli stessi rientrano le "cose" (per tali dovendosi intendere tutte le entità economicamente apprezzabili) "non comprese nel fallimento", in ragione appunto della loro non pignorabilità ex lege, ai sensi della *******. art. 46, n. 5.

Con l’ulteriore conseguenza che il curatore non è legittimato a chiedere – egli – lo scioglimento di quel contratto per acquisire alla massa il correlativo valore di riscatto; esclusivamente potendo, viceversa (nei casi in cui il contratto appaia stipulato non per reali finalità previdenziali ma in pregiudizio dei creditori), agire in revocatoria relativamente ai "premi pagati" *******. cit. art. 1923, ex comma 2^, e art. 67. 7. La questione di contrasto va pertanto risolta con l’affermazione del principio – per quanto rileva ai fini della decisione del presente ricorso – per cui, non essendo (per la loro funzione previdenziale) acquisibili al fallimento le somme dovute al fallito in base a contratto di assicurazione sulla vita, non è conseguentemente legittimato il curatore ad agire nei confronti dell’assicuratore per ottenere il (valore di) riscatto della correlativa polizza.

Principio cui si è correttamente attenuta la Corte di merito; dal che il rigetto della odierna impugnazione.

8. La natura e complessità e le precedenti non uniformi soluzioni della questione trattata giustificano la compensazione tra le parti di questo giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte, a Sezioni unite, rigetta il ricorso e compensa le spese.

Redazione