Corte di Cassazione Civile 12/9/2008 n. 23579; Pres. Celentano A.

Redazione 12/09/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Secondo quanto emerge dalla sentenza qui impugnata, con ricorso al Pretore di Napoli, depositato il 12 novembre 1997, D.J.C. conveniva in giudizio il Banco di Napoli e chiedeva accertarsi la sussistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato con lo stesso, con decorrenza 9.1.1992 o, in subordine, 3.10.1994.

La ricorrente aveva esposto che, dipendente della Sicad, era stata avviata dal datore di lavoro, su richiesta della Datitalia, a svolgere attività di digitazione dati presso la sezione di credito fondiario del Banco di Napoli; che aveva svolto tale attività quale apparente dipendente di Datitalia, ma ricevendo istruzioni da parte dei dirigenti del Banco e continuando a percepire lo stipendio da Sicad; che l’attività era stata da lei svolta fino al 6.7.1992 e ripresa il 3.10.1994, fino al 14.11.1994, quando era stata verbalmente licenziata dal ********, direttore del Banco di Napoli.

Invocava quindi la violazione della L. n. 1369 del 1960 e chiedeva la reintegrazione nel posto di lavoro, stante l’inefficacia del licenziamento verbale, con la qualifica di dipendente di prima categoria; con le altre conseguenze della L. n. 300 del 1970, ex art. 18.

Il Banco di Napoli, costituitosi, affermava la genuinità del rapporto intrattenuto con Datitalia.

Integrato il contraddittorio nei confronti di Datitalia e Sicad, la seconda restava contumace, mentre Datitalia chiedeva di essere estromessa dal giudizio.

Il Tribunale di Napoli, succeduto al Pretore a seguito della istituzione del giudice unico di primo grado, con sentenza del 2005 accoglieva parzialmente la domanda, affermando la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato fra la ricorrente e il Banco di Napoli tra il 9.1.92 e il 6.7.92 e fra il 3.10.94 e il 14.11.94, con diritto all’inquadramento richiesto; rigettava nel resto la domanda.

La sentenza veniva impugnata dalla lavoratrice, che lamentava violazione dell’art. 112 c.p.c., relativamente alla pronuncia di risoluzione per mutuo consenso del rapporto alla data del 6.7.92; ed erronea affermazione di interruzione del rapporto, il 14 novembre 1994, sulla scorta di considerazioni irrilevanti: che il lavoro da svolgere era terminato e che era trascorso del tempo fra il recesso e l’impugnativa.

Il Banco di Napoli, costituitosi, proponeva appello incidentale con il quale chiedeva, per quanto rileva in questa sede, la riforma della sentenza nella parte in cui aveva riconosciuto la sussistenza della intermediazione vietata, e, in subordine, nella parte relativa all’inquadramento riconosciuto alla lavoratrice.

La Gepin Datitalia si costituiva ed insisteva nella sua estraneità alla vicenda. La Sicad non si costituiva neppure in appello.

Con sentenza del 29 novembre 2006/2 febbraio 2007 la Corte di Appello di Napoli rigettava l’appello incidentale e accoglieva in parte quello principale. Dichiarava la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra la D.J. e la società San Paolo IMI dal 9.1.1992 al 14.11.1994. Rigettava le domande di impugnazione del licenziamento del novembre 1994, osservando che la lavoratrice non aveva assolto all’onere di dedurre con esattezza la vicenda solutoria sia con il datore di lavoro reale che con quello apparente; le sole affermazioni rese ("sono tornata presso la SICAD fino ad ottobre 1994; preciso che dopo il luglio 92 sono stata presso la SICAD anche in maternità; dopo la maternità e cioè nell’ottobre 1994 sono tornata al Banco di Napoli per rimanervi un mese e mezzo; dopo ciò il rapporto con la SICAD è cessato perchè era finito il contratto di formazione e lavoro ed era anche finito il lavoro presso il Banco di Napoli") non avevano confermato i motivi di licenziamento addotti con il ricorso introduttivo: era stata licenziata verbalmente e con decorrenza immediata dal ******** dopo avere chiesto che le nuove direttive le fossero impartite per iscritto. I giudici di secondo grado osservavano che la circostanza addotta non era stata in alcun modo confermata dalla istruttoria.

Ritenevano quindi di confermare la interruzione del rapporto di lavoro alla data del 14 novembre 1994, anche se per ragioni diverse da quelle esplicitate dal primo giudice.

Per la cassazione di tale decisione ricorre, formulando due motivi di censura, D.J.C..

Resistono con controricorso Intesa Sanpaolo s.p.a. e ************, già Gepin Datitalia s.p.a.

Intesa Sanpaolo propone ricorso incidentale con sei motivi, cui replica con controricorso la ricorrente principale. La Sicad non si è costituita.

D.J. ed Intesa Sanpaolo hanno depositato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Ricorso principale e ricorso incidentale, cui sono stati assegnati differenti numeri di registro generale, vanno preliminarmente riuniti (art. 335 c.p.c.).

2. Ricorso principale.

3. Con il primo motivo, denunciando "omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio", la difesa D.J. critica la sentenza nella parte in cui ha rigettato l’impugnazione del licenziamento.

La motivazione interessata dalla censura è la seguente:

"Quanto alla impugnativa di licenziamento, ritiene il collegio che il ricorso vada respinto sia pure per ragioni differenti da quelle espresse nella motivazione dal giudice di primo grado. Sulle circostanze della risoluzione del rapporto di lavoro in data 14.11.1994 nel ricorso introduttivo si deduce una circostanza che non è stata in alcun modo confermata dalla istruttoria (circostanza sub M, riportata sub 8 nella narrativa in fatto del ricorso di appello), vale a dire che il direttore M. – direttore del Banco di Napoli – alla richiesta della ricorrente che le nuove direttive le fossero impartite per iscritto, le comunicò verbalmente la cessazione del rapporto con decorrenza immediata.

La circostanza di tale licenziamento verbale non solo non è stata in alcun modo confermata dalla istruttoria, ma risulta addirittura smentita dalla stesso libero interrogatorio della lavoratrice la quale ha dichiarato: "sono tornata presso la SICAD fino ad ottobre 1994; preciso che dopo il luglio 92 sono stata presso la SICAD anche in maternità; dopo la maternità e cioè nell’ottobre 1994 sono tornata al Banco di Napoli per rimanervi un mese e mezzo; dopo ciò il rapporto con la SICAD è cessato perchè era finito il contratto di formazione e lavoro ed era anche finito il lavoro presso il Banco di Napoli.".

Quindi contrariamente a quanto riportato nel ricorso in appello a pag. 12 non è stato affermato dalla lavoratrice "il preposto del Banco mi disse che il rapporto di lavoro era finito".

La lavoratrice, nel precisare quanto affermato nel ricorso introduttivo, ha smentito ella stessa la circostanza di un presunto licenziamento "orale" da parte del Banco, nella persona del dott. M..

Sicchè si deve ritenere che il rapporto di lavoro non si è risolto per la comunicazione verbale del preposto del Banco, come indicato in ricorso, ma secondo vicende, vuoi attinenti al contratto di formazione lavoro con la SICAD, vuoi ad altre circostanze non indicate dalla lavoratrice.

Era onere della lavoratrice, soprattutto atteso il lungo tempo trascorso dai fatti, dedurre con esattezza la vicenda risolutoria sia con il datore di lavoro reale che con il datore di lavoro apparente.

Le uniche affermazioni rese, in fatto, riguardanti il licenziamento orale da parte del ******** non sono risultate veritiere in quanto non confermate dalla stessa lavoratrice.".

La difesa della ricorrente critica tale motivazione, deducendo che la stessa è frutto di una lettura incompleta delle dichiarazioni rese dalla lavoratrice in sede di libero interrogatorio. Assume che la signora D.J. ha sì dichiarato: "nel mese di ottobre sono tornata al Banco di Napoli per rimanervi un mese e mezzo; dopo ciò il rapporto con la Sicad è cessato perchè era finito il contratto di formazione e lavoro ed era anche finito il lavoro presso il Banco di Napoli..", ma poi ad apposita domanda ("ADR") ha risposto: "il preposto del Banco mi disse che il rapporto di lavoro era finito".

Deduce quindi la erroneità della motivazione nella parte in cui afferma che, contrariamente a quanto riportato nell’atto di appello, la lavoratrice non avrebbe dichiarato che il preposto del Banco le aveva detto che il rapporto di lavoro era finito.

4. Con il secondo motivo la difesa della ricorrente principale denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 414 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c. in relazione alla L. n. 1369 del 1960, art. 1 alla L. 15 luglio 1966, n. 604, art. 2 e all’art. 2118 c.c.; nonchè contraddittoria motivazione su un fatto controverso e decisivo.

Lamenta che la sentenza impugnata, pur avendo accertato la violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e quindi dichiarato la sussistenza di un rapporto di lavoro subordinato tra l’appellante e la società San Paolo Imi, ha poi rigettato la domanda di declaratoria di nullità del licenziamento e di reintegrazione sulla scorta di una motivazione (sopra riportata) illegittima e contraddittoria. La illegittimità e la contraddizione vengono individuate nella omessa considerazione del principio di diritto secondo il quale, una volta accertato il rapporto di lavoro subordinato fra lavoratore ed interponente, diviene giuridicamente inesistente il rapporto fra lavoratore ed interposto; sicchè le vicende di quest’ultimo rapporto sono inidonee a giustificare la risoluzione del rapporto fra lavoratore ed interponente, e l’onere di provare le modalità di risoluzione del rapporto grava sul datore di lavoro reale e non sul lavoratore, come ha erroneamente affermato la Corte territoriale.

Richiama la giurisprudenza formatasi in tema di asserite dimissioni del lavoratore, invocate dal datore di lavoro per resistere alla domanda di annullamento del licenziamento orale proposta dal lavoratore.

Formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica questa Ecc.ma Corte di Cassazione se, accertata la violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e la conseguente costituzione del rapporto di lavoro in capo al soggetto interponente-committente, sia o meno onere del lavoratore che faccia valere in giudizio la declaratoria di nullità del licenziamento e richieda la reintegrazione nel posto di lavoro, allegare – ex art. 414 c.p.c. – e provare – ex art. 2697 c.c. – le vicende solutorie del rapporto sia con il datore di lavoro reale che con quello interposto." 5. Ricorso incidentale.

6. Con il primo motivo, denunciando illogicità e contraddittorietà di motivazione, la difesa di Intesa Sanpaolo critica la sentenza nella parte in cui afferma che, anche se il rapporto fra Datitalia e Banco di Napoli fosse stato genuino, tale circostanza sarebbe irrilevante perchè non esisteva comunque nessun appalto fra Banco e Sicad, datrice di lavoro della D.J..

Assume che con l’atto di appello aveva evidenziato che dalle risultanze processuali era emerso che il Banco, per far fronte ad esigenze eccezionali riguardanti la digitazione od immissione a computer dei dati riguardanti i subingressi nei mutui fondiari, si era rivolto a ********* perchè vi provvedesse con proprio personale;

che Datitalia aveva presentato agli uffici del Banco tre lavoratrici, che per un certo tempo erano state addette all’attività di digitazione dei subingressi nei mutui; che il Banco aveva corrisposto i compensi pattuiti a Datitalia ed aveva ritenuto, in buona fede, che le lavoratrici fossero tutte dipendenti di questa società, avendo appreso solo in seguito che ********* si era rivolta alla Sicad.

Lamenta quindi che i giudici di appello non si sono occupati adeguatamente del rapporto Banco – Datitalia, ritenendolo erroneamente irrilevante; e che, una volta accertata la liceità di tale rapporto ed il fatto che i compensi per le prestazioni delle lavoratrici, compresa la D.J., erano stati corrisposti a Datitalia, la eventuale intermediazione avrebbe dovuto essere pronunciata nel rapporto Datitalia – Sicad e mai nel distinto rapporto Banco di Napoli – Datitalia.

7. Con il secondo motivo la difesa della ricorrente incidentale denuncia violazione della L. 23 ottobre 1960, n. 1369 artt. 1 e segg. e dell’art. 2094 c.c.; nonchè vizio di motivazione.

Lamenta che i giudici di appello hanno errato nel ritenere sussistenti gli estremi della intermediazione vietata, non rilevando che la Datitalia è produttrice e fornitrice di software ed opera con personale altamente specializzato, mentre il ruolo delle macchine (in specie hardware) non rende affatto marginale l’apporto di Datitalia.

Sostiene che Vhardware e lo stesso software del committente, come i locali e gli altri supporti, non costituiscono mezzo, tanto meno preponderante, ma semmai ambiente o substrato della prestazione dell’appaltatore.

Formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se ricorra o meno l’ipotesi della intermediazione vietata ex L. n. 1369 del 1960, con le relative conseguenze a carico della banca, nel caso di appalto informatico per l’inserimento di dati nell’elaboratore centrale, conferito dalla banca stessa ad azienda specializzata e da questa svolto mediante personale fornitole da società da essa scelta". 8. Il terzo subordinato motivo, che denuncia violazione o falsa applicazione degli artt. 1322, 1372, 1218 e segg., art. 2094 cod. civ. e art. 112 cod. proc. civ., attacca la sentenza nella parte in cui ha ritenuto affetta da ultrapetizione l’affermazione della sentenza di primo grado in ordine alla risoluzione consensuale, nel luglio 1992, del rapporto instauratosi fra la lavoratrice ed il Banco.

Sostiene che la sentenza di primo grado non era incorsa in ultrapetizione, essendosi limitata alla mera qualificazione dei fatti posti a sostegno della domanda: di fronte all’asserzione della ricorrente di essere stata licenziata e alla negazione, da parte del Banco, di un rapporto di lavoro, il giudice di primo grado aveva qualificato la situazione come risoluzione per mutuo consenso.

Ricorda che la teste B., capo ufficio nel settore del credito fondiario nel periodo nel quale vi aveva lavorato la ricorrente, aveva dichiarato "… Preciso che nel ’92 la ricorrente andò via dall’Ufficio Credito Fondiario di sua iniziativa e vi rimasero la Di hanno e la R. di cui sopra"; e affermato, poco dopo: "Se ben ricordo la ricorrente non ha più lavorato presso il Credito Fondiario perchè doveva sposarsi." Formula il seguente principio di diritto: "Dica la Corte Ecc.ma (a) se, anche in relazione al principio della rilevabilità di ufficio delle eccezioni per le quali non vi sia stata specifica previsione di onere della parte di sollevarle, spetti al giudice del merito operare la qualificazione in termini giuridici della vicenda risolutoria del rapporto; b) se, nell’accertamento della causa di risoluzione del rapporto, debba valutarsi il comportamento complessivo delle parti e se, all’esito, debba darsi prioritaria rilevanza ali ‘iniziativa del lavoratore di cessare, non proseguire e non offrire più le prestazioni.". 9. Con il quarto motivo, denunciando vizio di motivazione su punto decisivo, la difesa di Intesa Sanpaolo critica ancora la sentenza impugnata in ordine alla ritenuta continuità del rapporto e alla mancata risoluzione del luglio 1992.

Lamenta che non è stato tenuto conto della testimonianza B., che riporta nuovamente, e in particolare delle dichiarazioni della teste sulla iniziativa della ricorrente in ordine alla cessazione del rapporto ("andò via di sua iniziativa") e alle motivazioni ("perchè doveva sposarsi").

Rileva quindi che, ove si fosse voluto escludere il mutuo consenso, la causa della risoluzione e della mancata prosecuzione del rapporto dopo il luglio 1992 andava individuata nella volontà della stessa lavoratrice.

10. Con il quinto ed il sesto motivo, denunciando violazione o falsa applicazione degli artt. 2103, 1322, 1372, 1362 e segg. c.c., in relazione alla normativa del regolamento per il personale del Banco di Napoli (quinto motivo) e vizio di motivazione (sesto motivo) la difesa della ricorrente incidentale critica la sentenza nella parte in cui ha riconosciuto alla lavoratrice l’inquadramento in prima classe.

Deduce che le prestazioni rese dalla lavoratrice risalgono ad epoca precedente al c.c.n.l. 19 dicembre 1994 e all’integrativo aziendale 26 luglio 1995; sicchè deve applicarsi la pregressa normativa interna, costituita dal regolamento per il personale.

Lamenta che la sentenza impugnata ha omesso l’interpretazione letterale del testo integrale delle due declaratorie inerenti i gradi di impiegato di prima classe e di impiegato di seconda classe.

Così riporta le declaratorie: "l’impiegato di 1^ classe esplica prevalentemente mansioni che richiedono applicazione intellettuale eccedente la semplice diligenza di esecuzione; è quindi adibito: … b) ai "terminali" nell’ambito dei sistemi cd. in "tempo reale", in quanto svolga mansioni che richiedano l’autonoma determinazione o scelta di elementi variabili non prefissati o predisposti e che comportino controlli e valutazioni di merito nelle risposte ai singoli messaggi scambiati con l’elaboratore centrale …". Invece, prosegue la difesa della banca, l’impiegato di 2^ classe "esplica prevalentemente mansioni per le quali è richiesta applicazione intellettuale non eccedente la semplice diligenza di esecuzione; può quindi essere adibito: … ad apparecchiature utilizzate nell’ambito dei sistemi cd. in "tempo reale" o ad altre apparecchiature con mansioni comportanti la registrazione o impostazione di dati comunque già prefissati e/o predisposti, la semplice trasmissione di dati a distanza, ovvero la semplice lettura ed eventuale trascrizione di dati in diverso linguaggio grafico".

Lamenta che i giudici di secondo grado hanno considerato solo alcune espressioni delle declaratorie ^compiti dotati di una autonoma determinazione", "si limita a registrare o ad impostare dati già predisposti o prefissati") e sostiene che, se le declaratorie fossero state correttamente interpretate, le mansioni espletate dalla D. J. (digitare sull’elaboratore dati relativi ai subingressi dei mutui fondiari, effettuare il censimento degli acquirenti nella procedura anagrafica centralizzata, curare l’archiviazione e lo smistamento dei "subingressi" arretrati) avrebbero dovuto essere ricomprese tra quelle per le quali è richiesta applicazione intellettuale non eccedente la semplice diligenza di esecuzione.

Formula quindi il seguente quesito di diritto: "Dica la Suprema Corte se, allorquando le qualifiche dei lavoratori siano disciplinate da normativa negoziale interna, debba, o meno, farsi riferimento ad essa per determinare la qualifica spettante; dica altresì se la detta normativa debba, o meno, essere interpretata, alla stregua degli artt. 1362 e 1363 c.c., nel testo integrale e correlando sistematicamente la declaratoria delle varie qualifiche in contestazione". 11. Il secondo motivo del ricorso incidentale va trattato per primo in considerazione del suo carattere pregiudiziale. Se, infatti, lo stesso fosse fondato (nel senso che i giudici avrebbero erroneamente affermato la sussistenza di una ipotesi di intermediazione vietata fra Datitalia e Banco di Napoli), tale conclusione si rifletterebbe sul rapporto con la signora D.J., atteso che la stessa era presente presso il Banco come dipendente *********, dall’appaltatore presentata come tale, senza che alcun rapporto sia intercorso fra Banco e Sicad; sicchè la intermediazione riguarderebbe allora i rapporti Sicad-Datitalia e non Sicad-Banco di Napoli, come si ipotizza correttamente con il primo motivo.

12. Il secondo motivo di ricorso non è però fondato.

La motivazione con la quale la Corte di Napoli ha rigettato l’appello incidentale del Banco in ordine alla (negata) sussistenza della violazione della L. n. 1369 del 1960, all’epoca vigente, è la seguente:

"b) quanto alla insussistenza della violazione della L. n. 1369 del 1960, le affermazioni del BANCO sono infondate e va respinto l’appello incidentale del Banco che, nonostante la copiosità delle argomentazioni e delle pagine dedicate a tale argomento, rimane ai margini delle valutazioni compiute dal Giudice di primo grado.

Vengono riportate per esteso sia la motivazione della sentenza impugnata che tutte le dichiarazioni testimoniali, teste per teste, ma non si indica al Giudice di appello dove avrebbe errato, nella valutazione delle singole e specifiche prove testimoniali, il Giudice di primo grado.".

Dopo questa premessa, che recepisce le motivazioni del primo giudice in ordine alla sussistenza della intermediazione vietata, imputando all’atto di appello dell’Istituto di credito la mancanza di puntuali censure avverso la sentenza di primo grado sul punto, la Corte di Napoli così prosegue:

"Certo è che la lavoratrice, dipendente della SICAD, da questa assunta e retribuita, fu avviata a lavorare presso il Banco di Napoli, sia pure con la "presentazione" di funzionar DATITALIA, sicchè il contratto di appalto intercorrente tra la DATITALIA ed il BANCO non ha alcuna rilevanza sulla posizione della lavoratrice che non ha mai avuto nulla a che vedere con Datitalia. Basti dire che il teste A. ha dichiarato che non sapeva neanche indicare se la ricorrente avesse mai utilizzato software della DATITALIA; si potrebbe persino arrivare ad affermare la genuinità del rapporto di appalto tra Banco di Napoli e *********, ma anche questo non gioverebbe alla tesi dell’appellante incidentale, perchè il rapporto di appalto tra Datitalia e Banco è del tutto irrilevante nel caso di specie, così come sono irrilevanti le copiose argomentazioni sugli appalti informatici: la lavoratrice si è limitata a svolgere mere prestazioni di lavoro, in favore del Banco, senza che tra quest’ultimo ed il proprio datore di lavoro formale SICAD (e non DATITALIA) vi fosse neppure un rapporto di appalto e tanto meno un appalto di "software". Del resto il teste M. ha precisato che "sia la strumentazione che il software utilizzato appartenevano al Banco di Napoli".

L’appalto di "mere prestazioni di lavoro" non potrebbe essere più evidente, ed esso emerge con forza dalle dichiarazioni testimoniali di tutti i testi ascoltati ed in particolare di quelli che lavoravano presso il Banco, riportate per esteso dallo stesso appellante incidentale.

Tali dichiarazioni evidenziano una piena utilizzazione delle energie lavoratrici della appellante da parte del Banco, non limitata ad uno specifico servizio, un controllo esclusivo della prestazione espletata da parte del Banco di Napoli. Dalle dichiarazioni, riportate dallo stesso Banco nella memoria contenente l’appello incidentale, della teste B.A. – capo ufficio del settore credito fondiario – anche nel periodo in cui ha lavorato la D. J., si evince sia che la lavoratrice è stata utlizzata nello smaltimento dell’arretrato e per altre incombenze necessarie ali ‘ufficio di volta in volta, sia che il controllo del Banco di Napoli, sulla prestazione della lavoratrice, riguardava sia gli orari di lavoro che l’esecuzione specifica del lavoro svolto.

Ad affermare la ipotesi di intermediazione basterebbe del resto aggiungere che la SICAD, e neppure la DA TITALIA come è ovvio hanno mai esercitato alcun controllo reale sulle prestazioni svolte dalla lavoratrice e che nelle centinaia di pagine di memorie del Banco di Napoli, tra il primo ed il secondo grado, non si è neppure chiarito quale fosse il servizio appaltato alla SICAD, datore di lavoro della D.J., dal Banco di Napoli. Il fatto che il Banco ritenesse la D.J. dipendente di Datitalìa può rilevare nei rapporti interni tra Banco e Datitalia, ma è ininfluente sulla posizione della lavoratrice, dipendente SICAD ma utilizzata dal Banco.".

Il secondo motivo del ricorso incidentale non riporta i motivi di appello ritenuti generici dai giudici di appello in punto di intermediazione, nè censura le affermazioni della sentenza di secondo grado sulla utilizzazione delle energie lavorative della signora D.J., oltre che nello smaltimento dell’arretrato, anche per le incombenze necessarie all’ufficio di volta in volta; e neppure censura l’affermazione sulla appartenenza al Banco di Napoli non solo dell’hardware ma anche del software, ricavata dalla deposizione M..

La intermediazione fra Banco e Datitalia, affermata dai giudici del merito, non risulta scalfita dalle censure della ricorrente incidentale.

Le affermazioni della sentenza qui impugnata sulla irrilevanza della eventuale genuinità del rapporto di appalto tra Datitalia e Banco sul rapporto Banco – D.J., pur errate, non costituiscono quindi argomento decisivo, così come la rilevata inesistenza di un rapporto di appalto fra Sicad e Banco.

Il secondo motivo va perciò rigettato, con la inammissibilità del quesito relativo, atteso che la ricorrenza o meno della ipotesi di intermediazione vietata, nel caso di appalto informatico per l’inserimento di dati nell’elaboratore centrale, conferito da una banca ad azienda specializzata e svolto mediante personale da questa fornito, va accertata dal giudice del merito mediante l’esame delle modalità di svolgimento del rapporto: a) se limitato al servizio appaltato o esteso ad altre incombenze volta per volta presentatesi;

b) se il personale della appaltatrice abbia utilizzato non solo le macchine della banca (il cd. hardware), ma anche il software, in tal caso traducendosi l’appalto in mera fornitura di personale dotato di adeguate conoscenze informatiche. Va quindi confermato l’orientamento già espresso da questa Corte nelle sentenze richiamate dalla stessa ricorrente incidentale: "In tema di interposizione nelle prestazioni di lavoro, l’utilizzazione da parte dell’appaltatore di capitale, macchine ed attrezzature fornite dall’appaltante da luogo ad una presunzione legale assoluta di sussistenza della fattispecie vietata dalla L. n. 1369 del 196, art. 1, solo quando detto conferimento di mezzi sia di rilevanza tale da rendere del tutto marginale ed accessorio l’apporto dell’appaltatore; in assenza di tale presupposto, la configurabilità di detta fattispecie vietata può essere esclusa quando, nonostante la fornitura di macchine ed attrezzature da parte dell’appaltante, sia verificabile un rilevante apporto da parte dell’appaltatore, mediante il conferimento di capitale (non impiegato in retribuzione ed in genere per il costo del lavoro), know how, software ed in genere beni immateriali." (Cass., 31 dicembre 1993 n. 13015; 11 maggio 1994 n. 4585).

13. Al rigetto del secondo motivo del ricorso incidentale consegue il rigetto anche del primo motivo, essendo venuta meno la rilevanza delle considerazioni sul rapporto Sicad – Banco e sul rapporto Datitalia – Banco.

14. Si può, a questo punto, tornare all’esame dei restanti motivi dei ricorsi secondo l’ordine risultante dalle impugnazioni.

15. I primi due motivi del ricorso principale, relativi all’onere della prova sulle modalità di estinzione del rapporto di lavoro che sia stato affermato fra interponente e lavoratore (secondo motivo) e al vizio di motivazione sulle dichiarazioni rese dalla D.J. in sede di libero interrogatorio (primo motivo), sono fondati nei limiti di seguito precisati.

E’ fondato il secondo motivo, sulla scorta del seguente principio di diritto: "Una volta accertata la violazione della L. n. 1369 del 1960, art. 1 e la conseguente costituzione del rapporto di lavoro in capo al soggetto interponente-committente, è onere del datore di lavoro, a fronte della domanda del lavoratore che deduca la illegittimità del licenziamento e richieda la reintegrazione nel rapporto di lavoro, allegare e provare, ex art. 2697 c.c., una dedotta legittima risoluzione del rapporto diversa dal preteso licenziamento; nessun onere incombe al lavoratore al riguardo e sono altresì irrilevanti le vicende risolutive dell’ormai giuridicamente inesistente rapporto fra lavoratore ed interposto.".

Ha errato quindi il giudice di appello nell’affermare che il rapporto di lavoro si è risolto "secondo vicende, vuoi attinenti al contratto di formazione e lavoro con la SICAD, vuoi ad altre circostanze non indicate dalla lavoratrice", così omettendo di accertare se il datore di lavoro reale aveva provato una legittima risoluzione del rapporto.

L’accoglimento del secondo motivo assorbe le considerazioni, svolte con il primo motivo, sull’apprezzamento di parte soltanto delle dichiarazioni della lavoratrice.

16. Tornando all’esame dei restanti motivi del ricorso incidentale, il terzo ed il quarto motivo, relativi alla interruzione del rapporto nel luglio 1992, sono fondati.

Sulla frattura del rapporto con il Banco di Napoli il ricorso introduttivo del giudizio, come riportato dalla ricorrente principale a pag. 3, così si esprime: "7) l’attività così svolta andava avanti fino al 6/7/1992 per riprendere con le stesse modalità operative in data 3/10/1994".

Sulla interruzione del rapporto per oltre due anni (circa ventisette mesi) la ricorrente nulla precisava, limitandosi, come deduce il ricorrente incidentale, ad affermare, nelle note autorizzate depositate in primo grado il 3.5.2005, una "prima sospensione dell’attività lavorativa per congedo matrimoniale e maternità".

Il primo giudice aveva ipotizzato una risoluzione consensuale del rapporto, ma tale pronuncia è stata riformata dai giudici di appello per una ritenuta ultrapetizione. La Corte napoletana afferma poi che nè il matrimonio nè la maternità potevano incidere sul regime giuridico di quel rapporto instauratosi con il datore di lavoro reale.

Sul punto va precisato che non incorre nel vizio di ultrapetizione il giudice che, valutati i fatti accertati, procede alla loro qualificazione giuridica.

E’ opportuno a tal proposito richiamare l’orientamento di questa Corte, espresso da ultimo con la sentenza n. 15264 del 6 luglio 2007, che valorizza, anche se con riferimento alla cessazione di un rapporto con termine illegittimamente apposto, i comportamenti assunti dalle parti. La sentenza citata ha affermato che "è suscettibile di essere sussunto nella fattispecie legale di cui all’art. 1372 c.c., comma 1, il comportamento delle parti che determini la cessazione della funzionalità di fatto del rapporto lavorativo a termine in base a modalità tali da evidenziare il loro disinteresse alla sua attuazione, trovando siffatta operazione ermeneutica supporto nella crescente valorizzazione, che attualmente si registra nel quadro della teoria e della disciplina dei contratti, del piano "oggettivo" del contratto, a discapito del ruolo e della rilevanza della volontà dei contraenti, intesa come momento psicologico dell’iniziativa contrattuale, con conseguente attribuzione del valore di dichiarazioni negoziali a comportamenti sociali valutati in modo tipico, là dove, nella materia lavoristica, operano, proprio nell’anzidetta prospettiva, principi di settore (quali la caratterizzazione professionale del lavoratore;

l’obbligazione retributiva del datore di lavoro funzionale alla soddisfazione dei bisogni primari del dipendente; la nascita dell’inderogabile rapporto previdenziale) che non consentono di considerare esistente un rapporto di lavoro senza esecuzione.".

Va ancora rilevato che le affermazioni della teste B., come riportate a pag. 7 della sentenza qui impugnata ("Ricordo che la ricorrente venne a lavorare per un periodo di sei-sette mesi", "se ben ricordo la ricorrente non ha più lavorato presso il Credito fondiario perchè doveva sposarsi"), non corrispondono a quelle che si deducono con il quarto motivo del ricorso incidentale: "Ho lavorato come capo ufficio nel settore credito fondiario nel periodo è venuta a lavorare presso quell’ufficio la ricorrente, dal 1992 in poi. Ricordo che la ricorrente venne a lavorare per un periodo di 6-7 mesi, e poi ritornò all’incirca ai primi del 1994 … preciso che nel ’92 la ricorrente andò via dall’Ufficio Credito Fondiario di sua iniziativa e vi rimasero la D.L. e la R. di cui sopra……Se ben ricordo la ricorrente non ha più lavorato presso il Credito Fondiario perchè doveva sposarsi".

Sulla affermazione della teste B. circa l’iniziativa della lavoratrice in ordine alla cessazione del rapporto nel luglio 1992 la Corte napoletana non motiva, così come non motiva in ordine alle deduzioni sul fatto che il congedo matrimoniale sarebbe stato di quindici giorni, dopo i quali era logico attendersi una ripresa delle prestazioni o almeno la loro offerta.

17. Il quinto e sesto motivo del ricorso incidentale non sono invece fondati.

Non vengono riportate integralmente le declaratorie relative alle figure dell’impiegato di prima classe, grado 10, e dell’impiegato di seconda classe, grado 2^, che si assumono non interpretate "nel testo integrale" dai giudici di appello. Si deduce poi che le mansioni affidate alla lavoratrice andavano ricomprese tra quelle per le quali è richiesta applicazione intellettuale non eccedente la semplice diligenza di esecuzione, senza spiegare le ragioni per le quali i giudici del merito hanno invece errato nel ricondurre le mansioni espletate dalla D.J. nel grado decimo.

18. In conclusione vanno accolti il secondo motivo del ricorso principale, assorbito il primo, e i motivi tre e quattro del ricorso incidentale, mentre vanno rigettati i restanti motivi dell’incidentale.

La sentenza impugnata va cassata in relazione alle censure accolte e la causa va rinviata ad altro giudice di pari grado, che si indica nella stessa Corte di Appello di Napoli in diversa composizione, che dovrà accertare se il datore di lavoro, cui incombeva l’onere di allegare e provare le modalità di cessazione del rapporto nell’ottobre 1994, vi aveva provveduto; e dovrà inoltre valutare se la interruzione del rapporto di lavoro dal 6 luglio 1992 al 3 ottobre 1994 è riconducibile ad una iniziativa della lavoratrice, non contrastata dal datore di lavoro (con realizzazione della fattispecie del mutuo consenso), eventualmente dimostrata anche dalla condotta della lavoratrice stessa dopo il congedo matrimoniale, con il mancato ritorno presso la struttura dove continuavano ad operare altre due colleghe, dipendenti della Datitalia.

Al giudice di rinvio si rimette anche la regolazione delle spese di questo giudizio di legittimità.

P.T.M.

La Corte riunisce i ricorsi, accoglie il secondo motivo del ricorso principale ed i motivi tre e quattro del ricorso incidentale;

dichiara assorbito il primo motivo del ricorso principale e rigetta gli altri motivi dell’incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese, alla Corte di Appello di Napoli in diversa composizione.

Redazione