Corte di Cassazione 21/10/2009 n. 22207

Redazione 21/10/09
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In base alla Convenzione di Ginevra del 28 luglio 1951, resa esecutiva in Italia con la legge di autorizzazione alla ratifica 24 luglio 1954, n. 722, lo status di rifugiato può essere riconosciuto qualora lo straniero abbia subito la violazione di diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali o abbia il fondato timore di essere personalmente perseguitato nel Paese di origine, se provi il pericolo cui andrebbe incontro con il rimpatrio, con precisi riferimenti all’effettività e all’attualità del rischio, non essendo all’uopo sufficiente il richiamo al fatto notorio, non accompagnato dall’indicazione di specifiche circostanze riguardanti direttamente l’interessato. La mera deduzione che sarebbe notorio lo stato di guerra in Serbia e Kosovo non fa emergere i presupposti che avrebbero impedito l’espulsione e non evidenzia un difetto di motivazione, non essendo la situazione di pericolo rilevante ai fini dell’art. 19 del TU immigrazione integrata dal solo fatto che il ricorrente, ritornando in Serbia, potrebbe essere «richiamabile alle armi».

RITENUTO IN FATTO

S. M. proponeva opposizione innanzi al Giudice di pace di Livorno avverso il decreto del Prefetto di Livorno del 5 marzo 2008, di espulsione dal territorio dello Stato, in quanto titolare di permesso di soggiorno scaduto, del quale non era stato chiesto il rinnovo.
Il Giudice di pace adito, con decreto del 19 maggio 2008, rigettava l’opposizione.
Per la cassazione di questo decreto ha proposto ricorso S. M.; hanno resistito con controricorso il Ministero dell’interno ed il Prefetto di Livorno.
Ritenute sussistenti le condizioni per la decisione in camera di consiglio è stata redatta relazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comunicata al Pubblico Ministero e notificata al ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1.- La relazione sopra richiamata ha il seguente tenore:
«1.- Il ricorrente propone i seguenti motivi: «Inesistenza e/o nullità del provvedimento prefettizio: a) per mancata indicazione della data; b) per carenza degli elementi identificativi del destinatario del provvedimento espulsivo; c) difetto di competenza del Vice Prefetto di Livorno per mancanza di sub delega. Mancanza della comunicazione alla competente rappresentanza diplomatica ex art. 2 c. 7 d.l.vo n. 286/98 e succ. mod. Difetto di motivazione».
L’istante svolge argomenti a conforto delle doglianze indicate nei punti I-a), b) e c) (pg. 2-4 del ricorso) e II (pg. 4), quindi, denuncia vizio di motivazione in ordine al pericolo in cui incorrerebbe se dovesse ritornare in SeRbia.
2.- Il ricorso è, in parte, manifestamente inammissibile, in parte, manifestamente infondato.
In primo luogo, va ribadito che il giudizio ex artt. 13-13-bis, d.lgs. n. 286 del 1998 costituisce un ordinario giudizio di cognizione, governato dal principio dispositivo (art. 99 c.p.c.) (tra le molte, cass. n. 9092 del 2003), con la conseguenza che non sono rilevabili vizi del provvedimento diversi ed ulteriori rispetto a quelli fatti valere dall’opponente.
Inoltre, nel giudizio di cassazione possono essere fatti valere vizi del provvedimento giurisdizionale e non vizi del provvedimento di espulsione, che non siano stati denunciati con l’opposizione.
In applicazione di siffatti principi, risulta manifesta l’inammissibilità dei vizi denunciati nei punti I e II, sopra indicati, poiché dal decreto impugnato non risulta che essi siano stati fatti valere con l’atto di opposizione e neppure l’istante ha dedotto di avere ciò fatto e lamentato la mancata pronuncia su di essi.
Sotto un concorrente ed ulteriore profilo, benché il ricorrente abbia omesso anche di indicare specificamente i vizi fatti valere con il ricorso, concernenti il decreto dei Giudice di pace, non del provvedimento di espulsione, risulta palese che con le censure indicate supra sub I e II ha fatto valere vizi di violazione di legge, omettendo tuttavia di formulare quesito di diritto, ai sensi dell’art. 266-bis c.p.c., con conseguente manifesta inammissibilità delle censure, per questa ulteriore ragione.
Quanto, infine, al vizio di motivazione denunciato sub III, per affermarne la manifesta infondatezza è sufficiente considerare che al riguardo il Giudice di pace ha osservato che «agli atti non risulta che egli potrebbe essere sottoposto a persecuzioni e/o a discriminazioni di sorta».
In questa parte il decreto è censurato, deducendo che la nota conflittualità politica tra Serbia e Kosovo determinerebbe un pericolo per esso istante, in quanto «ancora richiamabile alle armi», quindi esposto alla partecipazione ad un conflitto.
La censura è manifestamente infondata. L’accoglimento dell’opposizione sarebbe stata, infatti, possibile soltanto all’esito della verifica della sussistenza dei requisiti che comportano il divieto di espulsione per esigenze umanitarie in presenza di eventi eccezionali unicamente ed in presenza di un provvedimento di protezione temporanea adottato dall’autorità politica (Cass. n. 3732 del 2004). Proprio con riguardo al conflitto nell’area balcanica, con d.P.C. del 12 maggio 1999, sono state disposte misure di protezione temporanea volte a fronteggiare l’esodo delle popolazioni provenienti dalle zone di guerra (art. 1), comprensive del rilascio di un permesso di soggiorno valido per la permanenza nel territorio nazionale fino al 31 dicembre 1999 (art. 2), delle quali è stata poi disposta la cessazione con successivo d.P.C.m. del 1 settembre 2000 (Cass. n. 28775 del 2005).
Inoltre, in base alla Convenzione di Ginevra 28 luglio 1951, resa esecutiva in Italia con la legge di autorizzazione alla ratifica 24 luglio 1954, n. 722, avrebbe potuto essere riconosciuto lo status di rifugiato, qualora lo straniero avesse subito la violazione di diritti umani fondamentali sanciti da documenti internazionali o abbia il fondato timore di essere personalmente perseguitato nel Paese di origine, se avesse provato il pericolo cui andrebbe incontro con il rimpatrio, con precisi riferimenti all’effettività e all’attualità del rischio, non essendo all’uopo sufficiente il richiamo al fatto notorio, non accompagnato dall’indicazione di specifiche circostanze riguardanti direttamente il richiedente (Cass. n. 14959 del 2008; n. 26278 del 2005).
In applicazione di detti principi, risulta palese che la mera deduzione che sarebbe notorio lo stato di guerra in Serbia e Kosovo non fa emergere i presupposti che avrebbero impedito l’espulsione e non evidenzia un difetto di motivazione, non essendo la situazione di pericolo rilevante ai fini dell’art. 19 d.lgs. n. 286 del 1998 integrata dal solo fatto che il ricorrente, ritornando in Serbia, potrebbe essere «richiamabile alle armi» (circostanza questa che peraltro neppure ha dedotto di avere provato, indicando e riproducendo gli elementi addotti a conforto).
Pertanto, il ricorso, essendo in parte manifestamente inammissibile, in parte manifestamente infondato, può essere trattato in camera di consiglio, ricorrendone i presupposti di legge».
2.- Il Collegio reputa di dovere fare proprie le conclusioni contenute nella relazione, condividendo le argomentazioni che le fondarlo, neppure contestate dal ricorrente, con conseguente rigetto del ricorso; sussistono giusti motivi per dichiarare compensate le spese della presente fase.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e dichiara compensate le spese della presente fase.

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