Non ha diritto al risarcimento dei danni il terzo estraneo al caseggiato che cade in area condominale ma ricostruisce l’evento in modo contradditorio con dichiarazioni inattendibili

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riferimenti normativi: art. 2051 c.c.

precedenti giurisprudenziali: Cass., Sez. II, Sentenza n. 25856 del 31/10/2017

La vicenda

Una terza estranea al condominio mentre entrava nel portone di ingresso di un caseggiato cadeva a terra, riportando la frattura del femore sinistro; di conseguenza con raccomandata richiedeva il risarcimento dei danni, sostenendo che, mentre si accingeva a varcare la porta di ingresso dello stabile, era inciampata nel primo dei due zerbini posti uno sopra l’altro nell’atrio condominiale; questa tesi veniva poi sostenuta anche in una successiva lettera scritta dall’avvocato della donna; tuttavia, poco prima della causa, un altro legale della donna mandava ai condomini una raccomandata in cui veniva precisato che la causa della cauta della cliente era dovuta all’improvviso scivolamento in avanti dello zerbino.

Questa tesi veniva riprodotta dallo stesso difensore anche nella citazione in giudizio del condominio con cui si richiedeva al Tribunale la condanna al risarcimento dei danni nei confronti dei condomini, possessori dello stabile e degli arredi dello stesso. Il condominio, costituendosi in giudizio, notava come la “presunta danneggiata” nella prima lettera di denuncia di sinistro avesse inizialmente sostenuto di essere inciampata sullo zerbino, versione confermata anche nella lettera di diffida inviata dal suo precedente legale; nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado, invece, si parlava di scivolamento; a fronte di tale ambigua descrizione dei fatti i condomini chiedevano che la domanda dell’attrice fosse respinta.

Il Tribunale, riscontrando troppa confusione nella ricostruzione della dinamica dei fatti fatta dall’attrice, dava ragione ai condomini; del resto, nelle fotografie allegate alla citazione, lo zerbino d’ingresso risultava “oggettivamente evidente”, con la conseguenza che l’inciampo della parte attrice doveva ritenersi totalmente dovuto alla disattenzione della donna.

Quest’ultima si rivolgeva alla Corte d’Appello, notando come fosse impossibile individuare una sostanziale differenza nelle due descrizioni della dinamica del sinistro riportate nelle missive e nell’atto di citazione contro il condominio.

La questione

Il terzo estraneo al caseggiato che cade nell’atrio delle scale può pretendere comunque un risarcimento dei danni anche se nelle dichiarazioni rese nella lettera di denuncia di sinistro inviata all’amministrazione condominiale, ricostruisce i fatti in modo diverso da quanto prospettato nell’atto di citazione volto a chiedere il risarcimento dei danni ai condomini?

La soluzione

La Corte d’Appello ha dato ragione al condominio.

Secondo i giudici di secondo grado il verbo inciampare ha il significato di urtare con il piede contro un ostacolo, camminando; di conseguenza, ben diverso è il significato del verbo scivolare che implica, la perdita di equilibrio conseguente ad un movimento autonomo dello zerbino, sollecitato dall’appoggio del piede. In altre parole per la Corte in caso di scivolamento dello zerbino viene in rilievo la pericolosità del manufatto che, muovendosi, può determinare la perdita di equilibrio di chi vi si trovi a camminare sopra; se una persona inciampa nello zerbino può richiedere il risarcimento danni solo se lo stesso è scarsamente visibile. Come notano i giudici di secondo grado, però, la caduta è avvenuta di giorno e in condizioni di piena visibilità e dalle fotografie allegate alla citazione lo zerbino d’ingresso è risultato oggettivamente evidente.

L’appello della presunta “danneggiata” è stato, quindi,  respinto e la donna è stata condannata al pagamento delle spese processuali.

Le riflessioni conclusive

L’art. 2051 c.c. pone in capo al custode, cioè al soggetto che ha il “governo di un bene”, controllandone di fatto le modalità di uso e conservazione, l’obbligo di risarcire i danni causati a terzi dalla cosa custodita, salvo il caso fortuito.

La giurisprudenza maggioritaria qualifica tale responsabilità come oggettiva, ovvero fondata sul positivo riscontro del solo nesso di causalità tra la cosa e l’evento dannoso, e ciò a prescindere dal comportamento colpevole del custode stesso.

Il condominio è custode dei beni comuni.

Di conseguenza il soggetto danneggiato, una volta provato il nesso causale tra bene in custodia e danno, non deve dimostrare che l’evento si è prodotto come conseguenza normale della particolare condizione, potenzialmente lesiva, posseduta dalla cosa; resta a carico del custode offrire la prova contraria alla presunzione della sua responsabilità, mediante la dimostrazione positiva del caso fortuito, cioè del fatto estraneo alla sua sfera di custodia, avente impulso causale autonomo e carattere di imprevedibilità e di assoluta eccezionalità.

In altre parole tale tipo di responsabilità è escluso solamente dal caso fortuito, fattore che attiene non già ad un comportamento del responsabile, bensì al profilo causale dell’evento, riconducibile ad un elemento esterno, recante i caratteri dell’imprevedibilità e dell’inevitabilità.

Tale fattore esterno può essere costituito sia dal fatto del terzo, ma anche dalla negligenza stessa del danneggiato come, ad esempio, la disattenzione del condomino o la conoscenza dello stato dei luoghi che, in quanto tale, può escludere (o limitare) la responsabilità del custode.

L’eventuale condotta imprevedibile della vittima non può, però, essere aprioristicamente considerata negligente, o meno, in considerazione del fatto che la condotta della vittima del danno causato da una cosa in custodia può costituire un “caso fortuito”.

In ogni caso la responsabilità del custode costituisce una ipotesi di responsabilità oggettiva e non di colpa presunta.

Al custode, per andare esente da responsabilità non sarà sufficiente provare la propria diligenza nella custodia, ma dovrà provare che il danno è derivato da caso fortuito.

A tale proposito, la condotta del danneggiato, che entri in contatto con il bene comune (nel nostro caso lo zerbino), si atteggia diversamente a seconda del grado di incidenza causale sull’evento dannoso, in applicazione – anche ufficiosa – dell’art. 1227, comma 1, c.c., richiedendo una valutazione che tenga conto del dovere generale di ragionevole cautela, riconducibile al principio di solidarietà espresso dall’art. 2 Cost.; in particolare quanto più la situazione di possibile danno è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione da parte del danneggiato delle cautele normalmente prevedibili in rapporto alle circostanze, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza causale del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, fino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso tra fatto ed evento dannoso, quando sia da escludere che lo stesso comportamento costituisca un’evenienza ragionevole o accettabile (Cass. civ., sez. II, 3 aprile 2019, n. 9315; Cass. civ., sez. II, 1 febbraio 2018, n. 2480).

Va ribadito, però, che “il fatto del terzo”, qualora, come nel caso esaminato, abbia avuto un’incidenza causale esclusiva nella determinazione del danno, esonera da responsabilità il custode -condominio, responsabilità che, a maggior ragione, deve essere esclusa anche nell’ipotesi di fatto doloso del terzo, a prescindere dalla sua identificazione, atteso che l’individuazione precisa del terzo non costituisce un elemento essenziale per la prova dell’interruzione del nesso eziologico. Ovviamente, l’impossibilità di indicare la persona del terzo non deve essere confusa con l’incertezza sull’effettivo ruolo che un terzo abbia avuto nella produzione dell’evento. Nell’eventualità della persistenza dell’incertezza sull’individuazione della concreta causa del danno, rimane a carico del custode il fatto ignoto, in quanto non idoneo ad eliminare il dubbio in ordine allo svolgimento dell’evento (Trib. Milano 22 dicembre 2011).

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Consulente legale condominialista Giuseppe Bordolli

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