Determinazione del danno biologico per errato intervento

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Differenza tra la percentuale di invalidità del paziente e quella che sarebbe comunque residuata in caso di esito positivo dell’intervento.

Il caso

Una donna a seguito dei danni riportati dopo essersi sottoposta ad un’operazione chirurgica di osteosintesi aveva citato in giudizio l’azienda ospedaliera per vedersi riconosciuto il proprio diritto al risarcimento del danno biologico permanente e temporaneo subito  a causa della condotta colposa dei sanitari.

In particolare durante l’intervento chirurgico al quale la donna si era sottoposta per una frattura sovraintercondiloidea subita, si era verificata un’ischemia acuta all’arto inferiore operato causato da un’intrapolamento iatrogeno dell’arteria poplitea  sovra-articolare. Tale complicanza aveva costretto i medici ad intervenire con un secondo intervento chirurgico di angioplastica effettuato nella medesima giornata.

Successivamente durante il decorso post operatorio la donna aveva subito una paralisi iatrogena evoluta in pseudoartrosi che l’aveva obbligata a sottoporsi ad un nuovo intervento, questa volta in una struttura sanitaria diversa.

Il giudice di primo grado, dopo aver intrepellato la CTU, alla quale aveva chiesto di chiarire se l’intrappolamento dell’arteria poplitea potesse considerarsi una complicanza prevedibile ed evitabile alla luce della migliore scienza ed esperienza del momento e di indicare l’entità del danno differenziale riconducibile all’inesatto trattamento sanitario, aveva accolto la domanda attrice riconsocendo la responsabilità dell’azienda ospedaliera per i danni subiti dalla paziente, e condannando la stessa al risarcimento di euro € 37.651,60.

Seppur vittoriosa in primo grado, la donna aveva proposto appello contro la sentenza del Tribunale –per quanto qui di interesse- con un motivo di ricorso, lamentando la scorretta modalità liquidatoria del danno iatrogeno differenziale permanente, sostenendo che il giudice aveva erroneamente individuato il danno subito nella percentuale del 10%, avendo operato la differenza tra la percentuale di invalidità in cui lei versava a seguito dell’operazione e la percentuale di invalidità che sarebbe comunque residuata a causa della frattura dopo l’operazione.

L’azienda sanitaria si costituiva in giudizio rigettando la responsabilità dei sanitari della sua struttura, sostenendo che il Giudice di primo grado aveva riconosciuto la loro responsabilità sulla base della perizia tecnica che non aveva considerato che l’intrappolamento dell’arteria polpitea sovracondiloidea costituiva una complicanza non prevedibile né evitabile di frattura con plurimi frammenti ossei, come nel caso di specie. E che, dunque, neanche una condotta prudente, diligente e perita poteva evitare.

Decisione della Corte d’Appello

I Giudici della Corte d’appello, esaminata la causa sottoposta alla loro cognizione, hanno, in continuità con i giudici di primo grado, riconosciuto la responsabilità dell’azienda sanitaria, accogliendo il ricorso promosso dalla paziente.

In particolare la Corte d’Appello, rigettando la richiesta avanzata dalla struttura ospedaliera, ha ricordato che nel caso in cui il danneggiato ha assolto all’onere probatorio di dimostrare il nesso di causalità tra l’aggravamento della patologia e l’azione o  omissione dei sanitari, incombe su ques’ultimi dimostrare l’impossibilità della prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed inevitabile con l’ordinaria diligenza.

Nel caso di specie i giudici di secondo grado hanno riscontrato che il nesso causale tra il ricovero in ospedale, l’intervento chirurgico e la patologia era stato dimostrato dalla paziente, non invece era stato dimostrato dall’azienda ospedaliera l’inesatto inadempimento a causa di un impedimento imprevedibile o evitabile dalla ordinaria diligenza.

Nell’accogliere le doglianze avanzate dalla paziente, la Corte d’Appello ha evidenziato come la corretta modalità liquidatoria del danno iatrogeno differenziale subito dalla paziente doveva fondarsi sul principio sancito dalla Corte di Cassazione secondo cui per la liquidazione del danno subito da un paziente – già affetto da una situazione invalidante, per la quale si sia sottoposto ad intervento, da cui a causa della cattiva esecuzione, si determini un peggioramento dell’invalidità – deve considerarsi la percentuale di invalidità effettivamente risultante sottratta la percentuale di invalidità ineliminabile, sulla base del sistema tabellare milanese.

Nel caso di specie la paziente a seguito delle operazioni subite riportava un danno biologico nella misura del 24%, mentre la percentuale di invalidità dovuta all’evento di frattura da cui era dipesa la necessità del primo intervento, e che sarebbe rimasta anche nel caso di riuscita dell’intervento stesso, era del 14%. La paziente aveva dunque subito un incremento di invalidità pari al 10% ed un danno iatrogeno differenziale da ricomprendersi tra il 14% ed il 24%. Di conseguenza, secondo il sistema tabellare di liquidazione, l’ammontare del danno subito dalla paziente doveva essere stabilito operando la differenza tra il montante risarcitorio contemplato dal sistema tabellare milanese per l’invalidità di cui era portatrice la paziente (24%= €103.921,00) e quello corrispondente all’invalidità ineliminabile e normalmente risultante dall’operazione chirurgica (14%= € 40.575,00), e dunque la liquidazione del danno doveva corrispondere a € 63.346,00. A questo importo la Corte d’appello riconosceva anche la personalizzazione del danno in misura del 20% in virtù della giovane età della paziente, condannando così l’azienda ospedaliera a versare un risarcimento del danno pari a € 75.015,20.

Esito del Ricorso:

accoglimento

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Avv. Muia’ Pier Paolo

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