Corte d’Appello Sezione minorenni Bologna 23/6/2008 n. 1035; Pres. de Meo A.

Redazione 23/06/08
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 18 marzo 2008 il Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna dichiarava lo stato di adottabilità della minore M. (omissis), nata il 19 settembre 2006, figlia di E. (omissis) e di L. (omissis).

Osservava il Tribunale che il 23 ottobre 2006 il P.M. aveva presentato ricorso per l’apertura della procedura volta ad accertare se la minore versasse in stato di abbandono; erano segnalate importanti problematiche in capo al genitori, seguiti dal centro adolescenza e giovane età del servizio di salute mentale di Parma per problemi familiari e comportamentali; la madre aveva tenuto nascosta la gravidanza e non aveva eseguito controlli medici durante la gestazione; inoltre, prima del parto aveva manifestato atteggiamenti fobici.

Nata la minore, i genitori erano apparsi non in grado di prendersi cura di lei. Entrambi avevano rapporti conflittuali con i propri genitori; il padre proveniva da famiglia problematica (padre psichiatrico e madre alcoolista) ed era da sempre in carico al servizio psichiatrico; la madre era figlia di genitori sordomuti ed era stata in passato seguita dai servizi sociali e dal centro di neuropsichiatria infantile (era stata anche allontanata per un certo tempo dalla famiglia), ma aveva in seguito rifiutato ogni sostegno e si era ribellata al genitori.

Nessuno dei due aveva un lavoro stabile.

All’atto delle dimissioni della bambina gli operatori avevano predisposto un progetto di tutela e di sostegno alla genitorialità, a domicilio. I genitori però, dopo una prima adesione formale, non si erano resi disponibili a proseguire il percorso e non consentivano l’accesso in casa. Contattati per procedere ad esami urgenti sulla neonata, non vi provvedevano. In collaborazione con la forza pubblica gli operatori sociali erano entrati nell’abitazione dove avevano trovato la minore iponutrita, disidratata e con eritema tossico inguinale; inoltre, la madre non era in grado di preparare adeguatamente il biberon per la figlia (utilizzava acqua del rubinetto), e l’abitazione era in precarie condizioni igieniche.

Ai sensi dell’art. 403 c.c. la piccola era stata accompagnata in ospedale per i necessari accertamenti; il padre, molto aggressivo, minacciava di ammazzare chiunque gli avesse tolto la bambina.

Il progetto di sostegno a domicilio, finalizzato ad aiutare i due giovani genitori nella acquisizione dei requisiti genitoriali, prevedeva il trasferimento della nonna materna al loro domicilio.

Ben presto quest’ultima manifestava le proprie difficoltà in quanto alla stessa le era stata di fatto delegata ogni incombenza, relativa alla minore e alla cura della casa; pertanto, ella aveva diradato gradualmente le sue presenze presso di loro. I nonni materni erano anche esasperati dalle continue richieste di danaro che i genitori della minore formulavano loro, giungendo a restare per ore sotto la loro casa in caso di rifiuto, urlando e suonando di continuo il campanello.

I nonni materni non si erano resi disponibili ad accogliere la minore, se non rivolgendosi al tribunale con richiesta pervenuta in data successiva alla camera di consiglio nel quale era stato portato in decisione il caso (in detta richiesta, peraltro, essi domandavano solo di avere rapporti regolari con la nipote).

I genitori non collaboravano e non aderivano al progetto, manifestando aperta ostilità verso i servizi, minacciano la strage e il suicidio nel caso di allontanamento della bambina; non si presentavano al colloqui fissati per approfondire la conoscenza e la valutazione delle capacità gentoriali.

Dall’osservazione dell’educatrice, emergeva un rapporto con la minore scarsamente qualitativo, privo di stimoli e di contatti fisici, con tendenza a delegare. Il padre, quando arrivava l’educatrice, usciva di casa o si chiudeva nella sua camera.

I nonni paterni non apparivano capaci di sostenere in concreto il nucleo, in quanto essi stessi seguiti dal servizio sociale per gravi problematiche familiari e grave conflittualità reciproca.

I genitori consentivano sempre meno l’accesso all’abitazione. Stante l’impossibilità di proseguire nel progetto di accompagnamento e osservazione a domicilio il servizio decideva di collocare la minore in ambito protetto.

Ad entrambi i genitori veniva proposto di mantenere contatti regolari con la figlia, previa adesione a un percorso terapeutico sulla genitorialità e di sostegno individuale con continua verifica della loro collaborazione. Tuttavia, nessuno dei due aderiva al progetto: non si presentavano agli incontri, non rispondevano al telefono, non contattavano i servizi.

I nonni materni invece, su loro richiesta, incontravano la minore due volte, tuttavia non formulavano istanza di accoglierla, pur affettivamente coinvolti.

La piccola M. era dunque, in conclusione, in stato di evidente abbandono, per le problematiche gravi che affliggono sia i genitori sia le rispettive famiglie di origine, che li rendevano incapaci, nonostante l’affetto e la sofferenza manifestati, dei quali non si

dubitava, di occuparsi delle urgenti esigenze di crescita della bimba. Ciò, nonostante il massiccio e prolungato aiuto offerto dai servizi, che non è stato evidentemente sfruttato dagli stessi, probabilmente per problematiche personali e familiari di grande difficoltà, per offrire anche separatamente alla piccola un progetto stabile e minimo di futuro insieme.

Avverso tale decisione, loro non notificata, proponevano appello i nonni materni X 1 e X 2, con atto depositato il 30 aprile 2008.

Il tutore, ritualmente citato, non si costituiva.

Il Procuratore Generale interveniva e concludeva per il rigetto del gravame.

La causa veniva posta in decisione all’udienza camerale del 12 giugno 2008 sulle conclusioni sopra trascritte.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Gli appellanti deducono la nullità della sentenza impugnata, per non essere stata disposta la loro comparizione ai sensi dell’art. 12 della legge n. 184 del 1983 (primo motivo), la erronea valutazione della loro disponibilità ad offrire accoglienza alla nipote (secondo motivo), la ingiustificata interruzione dei rapporti della bambina con la famiglia di origine (terzo motivo).

I motivi sono da esaminare congiuntamente, per la loro evidente connessione, e sono infondati.

L’art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nell’indicare le categorie di persone che devono essere sentite nel procedimento per la dichiarazione di adottabilità, opera un riferimento ai parenti entro il quarto grado che abbiano mantenuto rapporti significativi con il minore, poiché il carattere vicariante della posizione dei congiunti diversi dai genitori ne comporta il coinvolgimento nel procedimento solo nei limiti in cui essi risultino attualmente titolari di rapporti affettivi forti e durevoli, tali, cioè, da consentire loro di offrire elementi essenziali per la valutazione dell’interesse del minore e, per altro aspetto, di prospettare soluzioni dirette ad ovviare allo stato di abbandono nell’ambito della famiglia di origine (Cass. 12 aprile 2006 n. 8526).

Nel caso di specie, la disponibilità in effetti dimostrata dai nonni materni era stata recepita, col coinvolgerli nel progetto relativo alla minore. Ma, nel prosieguo di quella

sperimentazione, la presenza della nonna era ben presto venuta a cessare, e non era ravvisabile quella persistenza di rapporto significativo che, sola, integra gli estremi dell’art. 12 citato.

Del resto, se si considerano le condizioni di grave degrado in cui fu trovata la piccola presso i genitori (iponutrita, disidratata, con eritema tossico inguinale, in un ambiente carente dal punto di vista igienico: rapporto 24 ottobre 2006 della Questura di Parma) appare evidente come, nel nucleo familiare allargato, non vi fossero persone capaci di agire sui genitori un qualche pur minimale intervento per assicurare alla neonata condizioni di vite meno deteriorate.

È poi vero che, come si obietta nell’atto di impugnazione, la presenza della nonna materna era diminuita a causa della oggettiva, difficoltà a relazionarsi con i genitori, e che i: nonni materni erano impauriti dagli atteggiamenti aggressivi del padre della bambina, il quale, del resto, minacciò di morte anche gli operatori della Questura di Parma (rapporto 24 ottobre 2006 della Questura) e, all’udienza del 20 febbraio 2007, confermò: "È vero, io ho minacciato la strage e il suicidio nel caso di allontanamento".

Non è chiaro però come i nonni si propongano ora di affrontare una così grave situazione e provvedere ad assicurare adeguata assistenza alla minore, visto che le problematiche dei genitori della piccola sono invariate.

La inidoneità della famiglia di origine, da valutare ai fini della sussistenza dello stato di abbandono, è una situazione di carattere oggettivo, ravvisabile anche quando, come nel caso di specie, si rilevi una inadeguatezza del nucleo familiare "nonostante l’affetto e la sofferenza manifestati, dei quali non si dubitava" (così la sentenza impugnata).

Neppure si può ipotizzare che le difficili relazioni del nucleo allargate possano migliorare in tempi ragionevoli e compatibili con le esigenze di crescita della bambina; si tratta di problematiche profonde, radicate nel passato, come emerge se si considera che la stessa L. (omissis) fu allontanata dai propri genitori per essere emersi "fatti di rilevante gravità" (decreto provvisorio e urgente del 5 luglio 1996, in atti) poi smentiti dalla stessa ragazza (decreti provvisori e urgenti del 30 settembre 1997 e del 20 novembre 1999, in atti).

Infine, la valutazione della istanza trasmessa dai nonni al Tribunale appare corretta. Il Tribunale, pur non ravvisando gli estremi della convocazione ai sensi dell’art. 12, dispose comunque il deposito degli atti per quindici giorni, dandone avviso al difensore dei nonni (provvedimento 8 gennaio 2008, in atti). I nonni chiesero, con istanza depositata il 13 marzo 2008, di essere sentiti e in particolare "a fronte dell’affido e/o dell’adozione ad una famiglia, di poter mantenere regolari rapporti affinché la stessa possa, anche quando sarà più grande, non sentirsi abbandonata dalla propria famiglia di origine"; il che, pur apprezzabile, è cosa ben diversa dall’offrire piena accoglienza.

Con l’aggiornamento del 5 giugno 2008 il Servizio sociale ha riepilogato la vicenda confermando la posizione dei nonni, assunta nel colloqui del 25 gennaio 2007 (e non modificata nel più recente incontro del 24 aprile 2008), di richiesta limitata ai soli incontri con la bambina.

In conclusione, pertanto, l’appello proposto è infondato e va respinto, con integrale conferma della sentenza impugnata.

P.Q.M.

Rigetta l’appello proposto da X 1 e X 2, confermando integralmente la sentenza n. 71/2008 del Tribunale per i Minorenni dell’Emilia Romagna.

Così deciso in Bologna il 12 giugno 2008

Redazione