Corte d’Appello Civile Perugia 7/9/2006; Pres. Matteini Chiari S.

Redazione 07/09/06
Scarica PDF Stampa

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione notificata il 13 ed il 14 luglio 1999 R. C. R., cittadina albanese, agendo in proprio e quale esercente la potestà sul figlio minore ***** esponeva al Tribunale di Spoleto che il 28-12-1997, insieme al marito ***** percorreva a piedi la S.S. n. 418, congiungente Spoleto con Acquasparta (direz. *********** di Baiano); entrambi si trovavano all’estrema destra della carreggiata: l’esponente sul ciglio erboso ed il marito sul margine dell’asfalto.
Giunti nei pressi del "Bar petaso", al Km. 22, un’autovettura -una "Fiat Tipo tg. MI/5X9960 condotta da P. A. e di proprietà di *******- che transitava nella stessa direzione di marcia (Spoleto – Baiano- Acquasparta) li investiva violentemente da tergo, per poi collidere con altra vettura, che proveniva dall’opposto senso di marcia, condotta da *****************, dopo aver invaso l’opposta corsia.
Nell’occorso il R. S., spinto molti metri avanti e finito in un fossato, decedeva, mentre l’attrice riportava gravi lesioni al braccio sinistro.
Intervenuti sul posto i Carabinieri del N.O.R.M. di Spoleto avevano contestato al conducente la violazione dell’art. 141, 3° ed 8° comma, c.d.s. ed il P., tratto a giudizio avanti al Pretore di Spoleto, era stato condannato alla pena concordata (art. 444 c.p.p) di mesi 3 di reclusione per il delitto di omicidio e lesioni colpose.
L’attrice, affermando che con la morte del marito ella, disoccupata, nonché il figlio minore A. avevano perso ogni mezzo di sostentamento, chiedeva che il Giudice adito, previa concessione di provvisionale, condannasse il conducente ed il proprietario in solido con la "Compagnia di Assicurazioni Milano s.p.a." al risarcimento di tutti i danni, patrimoniali e morali, subiti e quantificati in £ 225.408.000 a titolo di danno patrimoniale per la moglie ed il figlio, calcolato sul triplo della pensione sociale ed in £ 660.000.000 quale danno morale calcolato sulla base della metà dell’ipotetico danno biologico totale, ovvero nella somma ritenuta di giustizia.
Si costituiva la "Compagnia di Assicurazioni Milano s.p.a.", contestando, in via preliminare, la risarcibilità del danno morale per il difetto della condizione di reciprocità ex art. 16 delle disposizioni sulla legge in generale nello Stato dell’Albania.
Nel merito, la convenuta osservava che evidente doveva ritenersi il preponderante concorso di colpa nell’occorso della coppia investita, che, violando la disposizione dell’art. 190 c.d.s., procedevano a piedi, fuori del centro abitato, nello stesso senso di marcia dei veicoli che sopraggiungevano da tergo; i coniugi R., inoltre, procedevano appaiati, anziché su un’unica fila, in una strada priva di illuminazione e dopo il tramonto, essendosi intorno alle ore 19,30 della fine di dicembre.
La compagnia assicuratrice, quindi, chiedeva al Tribunale adito che, previa reiezione della richiesta di provvisionale, respingesse altresì la domanda nel merito.
Concessa dal G.I. una provvisionale di £ 50.000.000, in sede di memoria ex art. 180 c.p.c., la convenuta eccepiva la nullità della procura alle liti, in quanto priva del requisito della legalizzazione da parte di autorità consolare, ai sensi dell’art. 15 L. 4-1-1958 n. 15.
La causa era istruita mediante acquisizione di copia del rapporto e dei rilievi redatti dai Carabinieri di Spoleto, ********************, nonché con le prove testimoniali dedotte dall’attrice ed era decisa con sentenza depositata il 18-12-2002 con la quale il Giudice monocratico, riconosciuto un concorso di colpa del pedone deceduto nella misura del 20%, condannava i convenuti a pagare all’attrice in proprio la somma di € 124.400,00 ed a *****, dalla prima rappresentato, di € 86.800,00 importi comprensivi della provvisionale e da maggiorarsi degli interessi legali dalla data della sentenza, oltre alla rifusione delle spese di lite.
Avverso la predetta decisione ha proposto tempestivo appello la C. R. R., sia in proprio che nella qualità di genitore esercente la potestà sul minore *****, con atto notificato il 30-1-2004, chiedendone la parziale riforma, con il riconoscimento dell’ulteriore somma di € 153.033,50, dei quali € 91.095,57 per sé ed € 61.937,94 per il figlio e comunque della somma ulteriore che sarebbe risultata di giustizia.
Si è costituita la "Compagnia di Assicurazioni di Milano s.p.a.", postulando la reiezione del gravame, con integrale conferma della sentenza impugnata.
La causa perviene in decisione nell’udienza del 20-4-2006, sulle conclusioni ivi rassegnate come in epigrafe.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il Tribunale di Spoleto, dopo aver riconosciuto la validità della procura rilasciata dall’attrice in favore del difensore e ritenuta sussistente la condizione di reciprocità di trattamento prevista dall’art. 16 delle preleggi, ha affermato che la prevalente responsabilità nella causazione del sinistro doveva riconoscersi al P. A., nella misura dell’80%, spettando al defunto un concorso causale pari al 20%.
Quanto al danno patrimoniale derivante dalla morte di S. R., il Giudice monocratico ha liquidato a titolo di lucro cessante gli importi di € 52.500,00 in favore della moglie e di € 31.500,00 in favore del figlio, reputando che presumibilmente questi non corso degli anni si sarebbe reso indipendente.
I punti della sentenza che precedono non sono stati impugnati con l’atto di appello, all’infuori di una men che generica censura circa la distribuzione degli importi tra i congiunti del defunto, peraltro senza l’esposizione di alcuna ragione di critica alle argomentazioni del Giudice di prime cure.
La censura stessa è quindi inammissibile, così come del tutto inammissibile è la doglianza sollevata dall’appellante solo in comparsa conclusionale in ordine alla quantificazione dei danni patrimoniali operata dal Tribunale.
Quest’ultimo, poi, ha liquidato a titolo di danno non patrimoniale la somma di € 103.000,00 in favore della moglie e di € 77.000,00 in favore del figlio -sempre distinguendo le attribuzioni in relazione alla presumibile minor durata della convivenza del secondo-, disattendendo le maggiori richieste avanzate in ordine alla liquidazione del danno morale.
Il Giudice monocratico ha reputato, infatti, che, anche ai solo fini quantitativi, non fosse ammissibile il riferimento al danno biologico, essendo il danno morale per la morte del congiunto relativo alla sofferenza patita e che seguitano a patire, indipendentemente dall’ipotetico danno biologico che, ove non fosse deceduto, il S. avrebbe subito.
In definitiva, ha considerato il danno non patrimoniale quale composto non solo dal dolore patito in senso strettamente inteso (danno morale), ma anche dalle generali afflizioni sofferte in proprio dagli attori in relazione al rapporto di coniugio e di colleganza parentale con il defunto, negando la riconoscibilità di un’autonoma voce di danno, come prospettata dagli attori medesimi, foriera di un’esasperata parcellizzazione delle voci risarcibili e di duplicazioni risarcitorie.
Ha poi operato equitativamente la liquidazione nelle somme sopra indicate, valorizzando specificamente l’aspetto del venir meno per i richiedenti di "un fondamentale compagno di vita".
L’appellante, rifacendosi al dibattito dottrinale e giurisprudenziale in ordine alla riconoscibilità autonoma di un "danno esistenziale", pretende di ottenere una liquidazione di esso distinta da quella del danno morale, precisamente nella metà della somma già riconosciuta a tale titolo, aggiungendo che quest’ultima, secondo criteri diffusi in giurisprudenza (anche nel distretto della Corte d’Appello di Perugia) e recepiti anche dal legislatore in tema di "micropermanenti", dovrebbe essere liquidata con riferimento al danno biologico.
Reputa la Corte utile premettere una breve sintesi dello stato attuale del dibattito, sviluppatosi soprattutto in giurisprudenza ed attinente alla liquidazione del danno non patrimoniale -di cui si tratta nella fattispecie- con riferimento specifico al caso sub iudice, cioè al risarcimento del danno non patrimoniale da uccisione di congiunto.
E’ noto che il legislatore del 1942, con l’art. 2059 c.c. ha introdotto un sistema risarcitorio a carattere bipolare, riaffermato recentemente dalla sentenza n. 233/03 della Corte Costituzionale e che l’evoluzione interpretativa ha ricondotto nella previsione della norma in esame il danno non patrimoniale diverso da quello morale, a cominciare dal danno biologico; il criterio restrittivo della "previsione di legge", in precedenza letto con esclusivo riferimento all’art. 185 c.p., anche sulla scorta di Corte Cost. n. 184/86, è stato via smantellato utilizzando il "grimaldello" costituito dall’art. 32 Cost., per ricomprendervi (nel danno biologico), in un primo tempo, ogni compressione dei diritti della personalità.
Questo processo ha visto poi l’elaborazione del concetto di danno esistenziale (pregiudizio non suscettibile di valutazione economica derivante dalla lesione di vari aspetti della personalità, ancorché oggettivamente valutabile e non meramente interiore), quale tertium genus del danno non patrimoniale, accanto al danno biologico od alla salute (lesione dell’integrità psicofisica in sé e per sé considerata e comprensiva del danno estetico, del danno psichico, del danno alla vita di relazione, da riduzione della capacità lavorativa generica, ecc.) ed al danno morale soggettivo (sofferenze e patemi d’animo subiti dalla vittima a seguito dell’illecito). Detta elaborazione è culminata nelle note sentenze della Corte di Cassazione nn. 8827/03 e 8828/03, avallata dalla Consulta con la citata sentenza n. 233/03 e seguita dalla successiva giurisprudenza di legittimità e di merito.
Deve peraltro darsi atto della non sopita discussione, anche all’interno del Supremo Collegio, sulla configurabilità della categoria autonoma del danno esistenziale, da talune pronunce ricondotta, in sostanza, al pregiudizio alla vita di relazione inserita nell’ambito del danno biologico, ma la questione ha un valore assai relativo (sul piano sostanziale, maggiore su quello processuale), purché si convenga sulla risarcibilità e sui criteri di liquidazione dei danni riconducibili alla lesione dei diritti che vengono iscritti alla categoria suddetta e purché in concreto si adotti una metodica liquidatoria che eviti il rischio -ben reale- di una duplicazione risarcitoria inammissibile.
Trascurando in questa sede la disamina del danno biologico -che non viene in considerazione, non essendo stato provato e neppure vantato, come avrebbe dovuto, in quanto tale- e la problematica connessa alla sua liquidazione, osserva la Corte che gli attori avevano chiesto il risarcimento dei danni "patrimoniali e morali", quest’ultimi calcolati con riferimento ai parametri utilizzati comunemente dai "Tribunali".
In sede di comparsa conclusionale in primo grado gli attori medesimi, reputando che ciò non costituisse domanda nuova, hanno richiesto il danno da "rottura del vincolo familiare", ovverosia il ristoro del pregiudizio subito da una delle posizioni giuridiche soggettive che, per coloro che lo ammettono, costituisce appunto danno esistenziale.
Il Tribunale, pur non ponendosi esplicitamente il problema della novità della domanda, ma implicitamente ritenendola ammissibile, ha tuttavia escluso che la voce richiesta fosse autonomamente risarcibile, però operando una liquidazione del danno morale "maggiorata" proprio per la considerazione degli aspetti sottopostigli e disancorando tale liquidazione dal parametro suggerito e per lo più adottato costituito dal danno biologico.
Tale soluzione, sulla quale il contraddittorio in questo grado si è sviluppato linearmente -atteso che l’appellata, affermando che il danno vantato quale "esistenziale" è stato valutato nella liquidazione di quello morale e difende la congruità della quantificazione operata dal Giudice di prime cure- esime la Corte da compiere indagini sull’ammissibilità della domanda, dovendosi ritenere, in sostanza, come già detto, che il primo Giudice abbia compreso nella liquidazione anche il danno esistenziale vantato dalla R., cosicché dal thema decidendum in appello esula in realtà ogni questione attinente all’ an della pretesa, poiché la mancata liquidazione del danno biologico (nel quale dovrebbe altrimenti comprendersi la voce vantata, secondo una tesi sostenuta in giurisprudenza) esclude qualsiasi rischio di duplicazione risarcitoria.
Solo per completezza, deve condividersi comunque la soluzione che riconosce l’autonoma risarcibilità del c.d. "danno esistenziale", sul quale sembra a questa Corte che Cass. S.U. 24-3-2006 n. 6572, in ambito di danno esistenziale da demansionamento, abbia posto un notevole "mattone" ermeneutico.
La controversia, quindi, persiste solo sull’aspetto quantitativo della liquidazione operata e si tratta di valutare se essa, tenendo conto dei beni cui lo stesso Tribunale ha fatto riferimento, possa dirsi congrua, ovvero se debba essere aumentata, sia pure nel contenitore rappresentato dalla mera considerazione del danno morale ed operazione preliminare a tale valutazione è l’accertamento della logicità dei criteri seguiti dal giudice di primo grado.
Non sussiste nemmeno contrasto sulla sussistenza della tipologia di danno vantato, che peraltro può essere desunta anche da valutazioni prognostiche e presunzioni ed è stato anche condivisibilmente ritenuto, in tema di danno da uccisione, che, provato il fatto-base della sussistenza di un rapporto di coniugio o di filiazione, la privazione illecita di tale rapporto determina presuntivamente ripercussioni, ancorché non necessariamente permanenti, sull’assetto dei rapporti stabili ed armonici del nucleo familiare ed anche all’interno dello stesso nei confronti dei terzi, spettando alla parte sfavorita dalla presunzione di fornire elementi che la contrastino (Cass. 12-6-2006 n. 13546; Cass. 24-3-2006 n. 6572).
Nella fattispecie non esiste dubbio sui rapporti intercorrenti tra gli attori e la vittima, così come risulta -né è oggetto di contestazione- che si trattava di cittadini extracomunitari (Albanesi) e che il defunto era l’unico membro della famiglia a produrre reddito.
E’ ormai pacifico che la liquidazione in parola, che non deve essere irrisoria o simbolica, debba avvenire in via equitativa ed è fatto notorio che l’esigenza di garantire uniformità di trattamento, oltre che stimolare un notevole dibattito, ha provocato iniziative legislative (dapprima parziali con il L. n. 57/01 concernenti le tabelle nazionali per le micropermanenti e poi il Nuovo Codice delle Assicurazioni di cui al D. L.vo 7-9-2005 n. 209 prevedente la tabella nazionale delle macropermanenti) e prassi giurisprudenziali pressoché costanti in tema di liquidazione del danno biologico, facenti riferimento a tabelle a punti elaborate da diversi Uffici Giudiziari, prassi che ha trovato l’avallo della Corte di legittimità, pur nell’ambito della valutazione di condizioni soggettive personalizzanti. La stessa Corte ( v. per tutte Cass. 13-1-2006 n. 517) ha anche ritenuto corretto, negli stessi limiti, l’utilizzazione, quale criterio di liquidazione del danno morale, del riferimento ad una frazione dell’importo riconosciuto o riconoscibile a titolo di danno biologico.
Ora, come si è già accennato, il Tribunale di Spoleto, procedendo alla liquidazione con apprezzamenti equitativi e correttamente valorizzando gli aspetti di cui si è detto, ha respinto il parametro di liquidazione proposto dall’attrice, affermando, esattamente ma inutilmente, che il danno morale è diverso da quello biologico, senza tener conto che l’assimilazione era stata fornita al solo fine di quantificazione e non ha poi offerto alcun criterio alternativo (nemmeno una media delle liquidazioni precedenti) controllabile e diverso da una mera affermazione di congruità.
Reputa la Corte che, per verificare detta congruità sia maggiormente corretto rifarsi invece, per le esigenze di uniformità di trattamento sopra evidenziate, agli standards di liquidazione utilizzati normalmente dagli Uffici Giudiziari del distretto e cioè operare, intanto, la liquidazione del danno morale con un criterio tabellare, precisamente con riferimento alle tabelle elaborate dal Tribunale per la liquidazione del danno biologico, tabelle che individuano, sia pure in rapporto a parametri presuntivi, ma largamente diffusi, criteri di indennizzo quanto più possibili aderenti alla realtà della lesione come percepita dal danneggiato: età del danneggiato ed entità della lesione. Una prima fase di indicizzazione del danno fa riferimento al progressivo aumento del "valore punto" in ragione della maggiore percentuale del danno permanente ed una seconda fase tende a far decrescere l’importo ottenuto in ragione dell’incremento dell’età del leso.
La metodica usuale di liquidazione prevede che il danno morale sia liquidato da ¼ ad ½ del danno biologico ed in caso di morte ai superstiti è attribuita una quota (fino a 2/3 per il coniuge od il figlio) del danno morale che sarebbe stata attribuita al defunto se fosse sopravvissuto con un’invalidità permanente del 100%.
Operando in concreto la quantificazione, all’epoca del decesso S. R. aveva quasi 37 anni e pertanto, secondo le citate tabelle (rivalutate del 10% rispetto all’aggiornamento risalente al 2002), gli sarebbe stato riconosciuto un danno biologico di € 507.304,48 (valore del punto=6.186,64 x 100=618.664,00 x il coefficiente moltiplicatore 0,820). Operando su valori appena inferiori alla media, attesa la repentinità del decesso, può ritenersi congruo riconoscere al defunto un ipotetico danno morale pari ad € 170.000,00; a ciascuno dei superstiti spetterebbe, quindi, per lo stesso titolo, una somma massima di € 113.000,00.
Reputa la Corte che, tenendo conto delle condizioni di minorata protezione socio-familiare intrinsecamente connessa alla posizione di immigrati extracomunitari e quindi al maggior valore che la figura del marito e padre riveste per la piccola comunità familiare, anche come produttore del reddito, la liquidazione effettuata dal Giudice di prime cure possa dirsi equa, perché prossima al massimo per la madre ( € 103.000,00) ed elevata per il figlio (€ 77.000), seppur diminuita in ragione della minor durata della convivenza per quest’ultimo ipotizzabile, criterio, come si è detto, contestato solo genericamente. In questa valutazione il Tribunale ha dunque tenuto adeguato conto non solo del dolore in senso stretto, ma altresì delle componenti che valgono a qualificare il danno c.d. esistenziale, con ricorso ad equità misurato sulla situazione concreta e personale dei congiunti.
Ne consegue che la quantificazione complessiva del risarcimento corrisponde ad equità, anche tenendo in ulteriore conto le concrete aspettative economiche e di vita che la qualità del nucleo familiare colpito, secondo l’id quod plerumque accidit, poteva ragionevolmente aspettarsi.
L’appello e dunque infondato e va respinto, mentre le spese, attese le ragioni della decisione e l’oggettiva insufficienza della motivazione della sentenza impugnata, vanno equamente compensate per l’intero.

P.Q.M.

La Corte d’Appello, definitivamente pronunciando sull’impugnazione di cui in epigrafe, respinge l’appello proposto da R. C. R., in proprio e quale esercente la potestà sul figlio minore A. R., avverso la sentenza 18-12-2002 del Tribunale di Spoleto in composizione monocratica e compensa integralmente le spese.

Redazione