Corte d’Appello Civile Bologna sez. I 27/2/2009 n. 255; Pres. de Robertis L.

Redazione 27/02/09
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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso ritualmente notificato al coniuge Y, X ha proposto appello avverso la sentenza n. 673/2008 resa dal Tribunale di Modena il 20.3.2008 e depositata il 18.4.2008, nella parte in cui la decisione, nel dichiarare la separazione personale tra i coniugi, ha pronunciato l’addebito a carico del ricorrente ed ha posto a suo carico un contributo mensile di mantenimento a favore della moglie di € 1.807,60, ed a favore della figlia maggiorenne S. di € 516,46, entrambi decorrenti dal 11.5.2000 con rivalutazione annuale Istat.

Nei motivi di gravame l’appellante ha lamentato che:

1) nel pronunciare l’addebito il Tribunale aveva erroneamente imputato il fallimento del rapporto matrimoniale alla relazione extra coniugale instaurata dal marito sul finire degli anni ‘90, senza accertare l’efficacia causale di tale comportamento rispetto al fallimento del rapporto e senza procedere ad una valutazione complessiva del comportamento di entrambi i coniugi, né considerare che tale infedeltà rappresentava la conseguenza della degenerazione della convivenza tra i coniugi, iniziata sin dai primi anni ’80.

2) quanto al contributo di mantenimento della moglie, nulla era stato provato in giudizio, né motivato dal Tribunale, in ordine alla inadeguatezza dei redditi propri di Y, ed in particolare circa la esistenza di un tenore di vita della coppia tale da giustificare l’ammontare del contributo mensile di € 1.807,60; viziate e prive di valido conforto probatorio apparivano in ogni caso le valutazioni del primo giudice sulla effettiva capacità di reddito del marito poste a fondamento della decisione;

3) non vi erano i presupposti del contributo di mantenimento a favore della figlia maggiorenne, in quanto la ragazza, attualmente occupata presso la ditta Delta e Gamma di Modena con mansioni di corrispondente per l’estero, era divenuta economicamente indipendente.

Sulla base di tali motivi X ha insistito per la riforma della sentenza, chiedendo la esclusione dell’addebito (o in subordine l’addebito ad entrambi i coniugi), la revoca dell’assegno disposto a favore della figlia e la revoca o la riduzione del contributo di mantenimento della moglie, come in epigrafe riportato.

Nel giudizio si è costituita Y contestando il fondamento del gravame e chiedendone il rigetto, e in via di appello incidentale chiedendo la riforma del capo della sentenza relativo alle spese di lite, integralmente compensate dal primo giudice nonostante l’appellata fosse risultata vittoriosa in primo grado.

All’udienza camerale del 24.10.2008 le parti hanno insistito nelle rispettive deduzioni e conclusioni come in epigrafe trascritte e la Corte ha trattenuto la causa in decisione.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. L’appello principale di X.

Il gravame non è fondato e non merita accoglimento.

Le premesse sono parte delle presenti motivazioni.

1.1. L’addebito della separazione.

Lamenta l’appellante X che nel pronunciare l’addebito il Tribunale avrebbe attribuito esclusiva valenza alla relazione extra coniugale instaurata dal marito sul finire degli anni ’90 con (omissis), sorella dell’appellata e sua attuale compagna, senza valutare la complessiva situazione familiare creatasi tra i coniugi (anche per le inclinazioni della moglie al regno del soprannaturale e dell’occulto), né considerare che tale infedeltà rappresentava la conseguenza della totale degenerazione della convivenza tra i coniugi, iniziata sin dai primi anni ’80.

Per rispondere a tali argomenti può, in primo luogo, ricordarsi che l’obbligo di valutazione comparativa del comportamento dei coniugi, imposto al giudice in tema di addebito della separazione, trova in ogni caso un limite quando la condotta di uno di essi sia tale da integrare la trasgressione di norme inderogabili e in alcun modo giustificabili come reazione al contegno dell’altro, in quanto si traducano nella lesione di beni e diritti fondamentali, quali la integrità morale o la dignità della persona (Cass. n. 15101/2004).

Nel caso di specie non pare dubbio che la reiterata e documentata violazione del dovere di fedeltà, e segnatamente la relazione extraconiugale con (omissis), sorella della moglie, manifestatasi una prima volta negli anni precedenti, quando la figlia della coppia era in tenera età, ma nuovamente scoperta sul finire degli anni ’90, in concomitanza con l’iniziativa di separazione da parte della donna, abbia assunto connotati particolarmente gravi e lesivi della sensibilità e della dignità della resistente, per le modalità e l’identità delle persone coinvolte e l’ambiente familiare in cui i fatti si sono svolti (in tal senso: Cass. n. 1501/2004; Cass. n 5090/2004; Cass. n. 13592/2006; Cass. n. 6976/1988).

Fondato è pertanto ravvisare in tale comportamento del marito una ragione tale da determinare per sé stessa l’intollerabilità della convivenza, ponendosi come autonoma violazione dell’ordine familiare.

A fronte di tale patente, grave e reiterata violazione dei doveri nascenti dal matrimonio, l’appellante ha genericamente preteso di ricondurre il venire meno della comunione spirituale all’intima natura dei coniugi, troppo differente per il permanere della loro unione, al diverso modo di interpretare l’esistenza, ed ha indicato nell’asserita inclinazione della donna per il regno del soprannaturale e dell’occulto la ragione principale dell’allontanamento progressivo della coppia.

L’argomento non ha alcun pregio, né trova riscontro nelle deposizioni testimoniali assunte o nelle produzioni documentali.

La pratica professionale e l’interesse di Y per la psicologia e la psicoterapia (documentato dalla pubblicazione da lei redatta e dall’attestato Reiki prodotti in giudizio) non possono essere confusi con inclinazione al regno dell’occulto. Né vi sono elementi per affermare che tramite il circolo ASPIC di Modena (associazione culturale che ha come scopo la formazione e la specializzazione, nell’ambito delle scienze umane, del counseling e della psicologia) l’appellante svolga attività di magia o cartomanzia.

Il motivo di gravame va dunque disatteso.

Sul punto le motivazione della sentenza sono pienamente condivisibili.

1.2. Il contributo di mantenimento della moglie

Secondo l’appellante X nulla sarebbe provato, né motivato dal Tribunale, in ordine alla inadeguatezza dei redditi propri di Y, quale presupposto per il riconoscimento del contributo, ed in particolare circa la esistenza di un tenore di vita della coppia in costanza di matrimonio tale da giustificare l’ammontare dell’assegno mensile di E 1.807,60 fissato in sentenza; viziate e prive di conforto probatorio sarebbero in ogni caso le valutazioni del Tribunale sulla effettiva capacità di reddito di X.

Le deduzioni sono del tutto immeritevoli.

La lettura delle motivazioni della sentenza, che doverosamente si richiamano, dimostrano, al contrario, che la decisione del primo giudice si fonda su una ricostruzione dettagliata e circostanziata delle risultanze documentali, bancarie e societarie acquisite in giudizio (produzioni delle parti e accertamenti della Guardia di Finanza), e sulla conseguente analisi della posizione economico patrimoniale dei coniugi, nel rispetto dei principi e dei criteri indicati dalla giurisprudenza di legittimità.

Carenti e volutamente riduttivi appaiono invece gli argomenti difensivi dell’appellante, che al fine di accreditare la presenza di un quadro economico-patrimoniale modesto e peggiorativo, ha del tutto trascurato passaggi fondamentali della pronuncia: non ultima l’attività di dissimulazione delle proprie sostanze e di sottrazione della garanzia patrimoniale attuata da X mediante sistematica alienazione, dopo l’avvio della causa di separazione, dei propri beni mobili ed immobili (le quote di partecipazione nella società Alfabeta ******************** s.r.l., pari al 50% del capitale sociale, costituite in pegno e poi cedute alla attuale convivente e socia (omissis); la proprietà e l’usufrutto dei due immobili siti in San Damaso di Modena, ceduti a favore della stessa convivente e del fratello M.), fino alla estinzione dei numerosi rapporti bancari (conti correnti e conti di gestione titoli) a lui intestati presso Cassa di Risparmio di Carpi, Banco Popolare di Verona e Novara e Unicredit Banca.

Si tratta di circostanze non contestate, ed accertate nell’ambito di separato giudizio dal Tribunale di Modena, che con sentenza 21.4/ 10.7.2004, accogliendo la domanda revocatoria proposta da Y, ha dichiarato inefficaci nei confronti della moglie e della figlia S. i menzionati atti di alienazione.

Ogni valutazione limitata agli emolumenti (€ 24.962 per l’anno 2002) percepiti da X quale amministratore unico della società Alfabeta ******************** s.r.l. (da lui posseduta al 50% e controllata assieme a (omissis), sorella della appellata e sua attuale compagna), ovvero alle altre trascurabili componenti che figurano nella annuale dichiarazione dei redditi acquisita dalla Guardia di Finanza, sarebbe comunque inadeguata e riduttiva.

Come noto, le denunce fiscali non possono avere efficacia vincolante per il giudice, il quale al contrario, ai fini della determinazione dell’onere di mantenimento ben può fondare il proprio convincimento anche su altre circostanze, ed in particolare sulla consistenza del patrimonio dell’onerato, espressa da ogni forma di utilità, compreso il valore intrinseco delle partecipazioni sociali e dei beni immobili (Cass. n. 706/1995).

La giurisprudenza insegna che nella quantificazione del contributo di mantenimento, il giudice deve tenere conto della complessiva potenzialità economico patrimoniale delle parti interessate, ed in genere delle aspettative e delle prospettive di vita corrispondenti al livello economico-sociale dell’onerato.

Nel caso concreto, se quelli denunciati al fisco fossero i guadagni e le disponibilità effettive dell’appellante, sarebbe ben difficile comprendere il significato delle frequenti e rilevantissime (centinaia di milioni di lire) movimentazioni bancarie registrate sui conti correnti, sui conti di deposito e di gestione titoli intestati ovvero personalmente utilizzati da X presso i menzionati istituti di credito, come hanno confermato anche le indagini di Polizia Tributaria e come il Tribunale ha minuziosamente ricostruito in sentenza, con puntuale indicazione degli importi, delle date e degli estremi dei conti interessati.

L’elevato tenore di vita dell’appellante negli anni precedenti la separazione emerge in particolare dall’estratto conto al 31.12.1998 della Cassa di Risparmio di Carpi, onde risultano prelievi e pagamenti personali eseguiti nel corso dell’anno, soltanto su tale conto, per £. 207.924.630.

La sua rilevante capacità economico patrimoniale trova sostanziale riscontro anche nei bilanci della società Alfabeta ******************** s.r.l., che, a prescindere dal risultato negativo dell’esercizio 1998, denotano una impresa in salute, con elevato valore della produzione industriale, significativi ricavi ed immobilizzazioni.

Ha lamentato l’appellante che il primo giudice avrebbe essenzialmente fondato il proprio convincimento sul documento n. 5 prodotto da controparte, di cui ha contestato il significato ed in parte anche la paternità: si tratta di un appunto manoscritto costituito da due fogli separati, contenenti l’uno (riconosciuto nella grafia da X) l’indicazione di investimenti, conteggi ed importi per un totale di oltre 5 miliardi di lire e il riferimento a saldo di banca svizzera, e l’altro (di cui l’appellante ha disconosciuto la grafia) il riferimento più preciso a UBS (Unione Banche Svizzere) e ad investimenti in valuta ammontanti alla data del 23.3.1998 a £. 5.434.921.445.

La deduzione non è meritevole.

Comunque si voglia considerare tale contestato documento, è tuttavia certo che esso non è l’unico elemento a sostegno della decisione del Tribunale, che lo ha valutato nel contesto degli ulteriori e numerosi elementi di prova acquisiti in giudizio, nel loro complesso significativi della affettiva capacità economico patrimoniale dell’appellante.

All’epoca di avvio della causa di separazione (1999), prima di disfarsi di tutti i suoi beni a favore della convivente e del fratello, X, oltre che proprietario di due immobili, era titolare di un significativo patrimonio industriale, posseduto attraverso la partecipazione nella società Alfabeta ******************** s.r.l., da lui interamente controllata assieme alla convivente; intratteneva inoltre numerosi rapporti (conti correnti, conti di gestione titoli), per rilevanti importi, con più istituti di credito.

Come già esposto, l’elevato tenore di vita è attestato dalla movimentazione di tali rapporti, anch’essi sistematicamente estinti dopo l’avvio della vertenza di separazione.

Si tratta, si ripete, di circostanze pacifiche e documentate, la cui valenza prescinde dalla contestata esistenza del deposito presso U.B.S.

Sappiamo inoltre, perché affermato nelle sue difese, che alla fine degli anni ’90 l’appellante aveva realizzato una importante ristrutturazione dell’impresa, con costruzione di un nuovo capannone e innovazione tecnologica dell’azienda, per un investimento complessivo di circa 5 miliardi di lire.

Ben diversa, e largamente inferiore, è la posizione lavorativa ed economico patrimoniale di Y.

L’appellata percepisce un reddito annuale da lavoro dipendente (quale insegnate di storia dell’arte) pari a € 15.034, 00, ed ha ereditato nel 1998, alla morte del padre, una quota di 2/9 dell’appartamento dei genitori, attualmente abitato dalla madre.

Come ha motivato il Tribunale, non è contestato che l’appellata svolga in forma professionale anche una attività di consulenza e formazione nella disciplina del Reiki, di cui è autrice di testi. Dagli accertamenti di Polizia Tributaria è emerso che nel corso del 2002 ha percepito un reddito da lavoro autonomo dalla ASPIC Consultino & Cultura di € 1.363,00.

Ma al di fuori di questi modesti e limitati riferimenti, non vi sono, né sono stati forniti concreti elementi per ritenere che da tale attività l’appellata tragga ricavi costanti e significativi, tali da determinare una effettiva modifica della sua capacità economica e del notevolissimo divario esistente rispetto alla situazione del marito.

Dopo oltre vent’anni di matrimonio (X e Y sono sposati dal 1977), dedicati in larga parte alla cura della famiglia e della figlia, è comprensibile che la resistente – che oggi ha più di 60 anni – incontri difficoltà economiche e non sia in grado di conservare il tenore di via goduto o che avrebbe potuto godere in costanza di matrimonio.

Non si può dimenticare che l’adeguatezza dei redditi propri del richiedente l’assegno ex art. 156 c.c. va commisurata al tenore di vita corrispondente alle potenzialità economiche dei coniugi, indipendentemente dal fatto che esso abbia di fatto tollerato o comunque subito, prima della separazione, condizioni diverse ed inferiori (Cass. n. 18547/2006; Cass. n. 20638/2004; Cass. n. 18327/2002).

Anche sotto questo aspetto le motivazioni della sentenza appaiono coerenti ed equilibrate.

Non vi sono pertanto contraddizioni né incongruenze nelle motivazioni e nelle decisioni assunte dal Tribunale sotto il profilo economico e patrimoniale.

1.3. Il contributo di mantenimento della figlia maggiorenne S..

Come già si era verificato avanti il Tribunale, la pretesa indipendenza economica della figlia S., divenuta maggiorenne nel corso del giudizio di primo grado – peraltro non convenuta in appello nonostante la sua legittimazione emerga dalla disposizione della seconda parte dell’art. 155 quinquies comma 1 c.c. in relazione al dispositivo della sentenza impugnata, che nulla ha previsto circa il versamento dell’assegno – è circostanza dedotta dall’appellante, ma priva di idoneo riscontro.

La sola affermazione che la ragazza è attualmente occupata presso la ditta Delta & Gamma di Modena, senza alcun riferimento alla esistenza di un rapporto di lavoro a tempo indeterminato e quindi non precario, e soprattutto senza menzione alcuna, neppure indicativa, della retribuzione percepita, non consente l’accoglimento del gravame.

2. L’appello incidentale di Y.

Il gravame non è meritevole.

La sentenza impugnata ha sì accolto la domanda di mantenimento della moglie e della figlia di X, ma ha fissato il contributo in misura di gran lunga inferiore alle richieste della moglie (£. 20.milioni).

Indipendentemente da ogni altro rilievo e dal richiamo fatto dal Tribunale al comportamento non lealmente collaborativo di entrambe la parti, vi sono pertanto giusti motivi di compensazione delle spese di lite di primo grado.

3. La reciproca soccombenza e la natura della causa consigliano la integrale compensazione delle spese processuali relative al presente grado.

P.Q.M.

La Corte, definitivamente decidendo, disattesa ogni contraria istanza,

Rigetta l’appello proposto da X avverso la sentenza n. 637/2008 resa dal Tribunale di Modena il 20.3.2008 e depositata il 18.4.2008, nonché l’appello incidentale proposto da Y, tale decisione integralmente confermando.

Dichiara le spese di lite relative al grado integralmente compensate tra le parti.

Così deciso in Bologna, nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile della Corte di Appello, il 12.12.2008.

Redazione