Corte d’Appello Civile Bologna 27/1/2009 n. 123; Pres. de Robertis L.

Redazione 27/01/09
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Svolgimento del Processo

Con ricorso depositato il 24 dicembre 2003, X conveniva avanti al Tribunale di Piacenza Y dalla quale era separato dal 18 dicembre 2000, con separazione omologata con decreto del 16 gennaio 2001, chiedendo pronunziarsi la cessazione degli effetti civili del matrimonio da loro contratto con il rito concordatario in Coli (Piacenza) il 23 ottobre 1971, da cui erano nati *****, il 23.07.1972, e *******, il 23.11.1985, alle medesime condizioni della separazione.

Y si costituiva aderendo alla richiesta di cessazione degli effetti civili, ma chiedendo un "piccolo assegno di mantenimento".

Il Tribunale di Piacenza, con sentenza del 25.07/15.11.2007, pronunciava la cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto in Coli (Piacenza) il 23 ottobre 1971 da X ed Y; poneva a carico del X il versamento in favore della Y di un assegno divorzile mensile di € 200,00; compensava, infine, interamente tra le parti le spese di lite.

Avverso tale sentenza, notificata l’ 11 luglio 2005, X proponeva appello con ricorso depositato il 22 ottobre 2008, lamentando il riconoscimento a favore della Y dell’assegno divorzile.

L’appellata Y si costituiva, chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

Il Pubblico Ministero interveniva, chiedendo il rigetto dell’appello.

All’udienza camerale del 5 dicembre 2008 la causa veniva trattenuta in decisione sulle conclusioni trascritte in epigrafe.

Motivi della Decisione

Non va assegnato all’appellante X termine per ulteriori difese, perché la comparsa di risposta dell’appellata Y non contiene elementi di novità, e la documentazione prodotta (CUD degli anni successivi) ripropone la medesima situazione evidenziata dal Tribunale; del resto occorre tener conto delle esigenze di concentrazione proprie del rito camerale.

Nel merito, si sottolinea che con l’unico motivo di appello, X lamenta il riconoscimento in favore di Y di un assegno divorzile per € 200,00 mensili, negando l’esistenza dei presupposti per il suo riconoscimento.

La donna, si evidenzia, è autosufficiente, è proprietaria di immobili e convive con i due figli maggiorenni ed economicamente autosufficienti; inoltre, la stessa non ha prodotto le dichiarazioni dei redditi, come ordinato dal Giudice, e nulla ha provato in ordine al tenore di vita goduto dalla coppia in costanza di matrimonio.

Il Tribunale ha riconosciuto in favore della Y l’importo di € 200,00 mensili, sul presupposto che tra i due vi era un, seppur minimo, squilibrio economico, come emergeva dai CUD prodotti, e sulla base della circostanza che sin dalla separazione personale consensuale, alla donna era stato riconosciuto il diritto di abitazione sulla casa coniugale in comproprietà, circostanza che dimostrava la situazione di sua maggiore debolezza. L’importo riconosciutole corrispondeva al vantaggio dalla stessa ottenuto con il godimento esclusivo della casa coniugale.

Di tanto si duole l’appellante.

L’appello è fondato.

Ed invero, ciò di cui si discute è se alla donna spetti o meno un assegno divorzile.

Secondo il Tribunale a tale domanda deve darsi risposta affermativa, dal momento che con il riconoscimento dell’assegno in questione, di importo minimale, si ristabiliva il medesimo vantaggio riconosciutole dal X in sede di separazione consensuale, con il diritto di abitazione sulla casa coniugale in comproprietà.

Il X sostiene che il Tribunale aveva erroneamente valutato la circostanza, posto che in sede di separazione la casa coniugale era stata assegnata alla Y in quanto convivente con i figli.

La circostanza è errata, posto che lo stesso appellante sottolinea, nel prosieguo dell’appello che sin da prima della separazione i figli erano maggiorenni ed economicamente autosufficienti, sì che alcun rilievo in tal caso ed ai fini che riguardano la casa coniugale, poteva ormai essere riconosciuto alla circostanza della convivenza con gli stessi.

Sottolinea le proprietà immobiliari della donna.

Ma, a parte la proprietà del 42% di tre terreni, il cui reddito, come emerge dalle dichiarazioni dei redditi della donna, è assolutamente minimale, le altre proprietà (la casa coniugale ed altra casa) sono in comproprietà con il X.

Evidenzia come egli, sin dal 2000, ha dovuto trovare una diversa sistemazione abitativa, pagando il canone annuo di € 2.500,00.

Orbene, per l’attribuzione e la liquidazione dell’assegno di divorzio, che è di carattere esclusivamente assistenziale, come ha più volte affermato la Suprema Corte, è necessario ed indefettibile che l’ex coniuge adempia all’onere della prova in merito all’impossibilità obiettiva di procurarsi mezzi adeguati (comprensivi di redditi, cespiti patrimoniali ed altre utilità di cui possa disporre) a conservare un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio; quindi, il comma 6 dell’art. 5 legge n. 898 del 1970 richiede l’inadeguatezza dei mezzi, nella cui presenza, e nel concorso dell’ulteriore requisito dell’obiettiva impossibilità di procurarseli, scattano i presupposti di spettanza dell’assegno divorzile (Cassazione civile, sez. I, 8 agosto 2003, n. 11975).

Non può riconoscersi l’assegno divorzile, pertanto, quando tale presupposto manchi.

Nella specie, come emerge dalla documentazione prodotta dalle parti e richiamata in sentenza, entrambi gli ex coniugi hanno un proprio reddito: il X di pensione, la Y di lavoro dipendente.

Da quanto emerge dalla sentenza, il X nel 2004 aveva percepito un reddito di € 26.756,00, laddove la Y nello stesso periodo aveva percepito un reddito di € 17.498,00, con una differenza di € 9.258 in favore del X, pari ad € 771,00 al mese, che si riduce ad € 560,00 circa, se dalla stessa detraiamo il canone mensile di locazione, pari ad attuali € 208,00.

Una differenza di € 500,00 al mese non può rappresentare certo uno squilibrio economicamente valutabile ed apprezzabile, considerato, altresì, che, in quanto reddito di pensione, quello del X non potrà certo essere incrementato.

Il Tribunale riconosce, quantificandolo come detto in € 200,00, l’assegno divorzile in favore della Y, in sostituzione del godimento esclusivo della casa coniugale in comproprietà tra gli ex coniugi, attribuendo ad essa una valenza economica sin dalla separazione consensuale.

Ma anche ove si voglia seguire questa impostazione, il che appare corretto, la questione non verrebbe minimamente spostata, posto che, sebbene la circostanza sia stata affermata in comparsa di risposta, non risulta che la casa coniugale attualmente non sia più goduta dalla donna o che non sia più in comproprietà.

Su cosa si possa basare il diritto della Y a percepire un assegno divorzile, seppur di € 200,00 mensili, non si comprende.

È ben vero che il X non ha provato l’asserito miglioramento delle condizioni economiche della Y, ma è altresì vero che la stessa non ha provato un peggioramento delle stesse che giustificano il riconoscimento di un assegno, anche minimo, per il suo mantenimento, non riconosciutole, se non sub species godimento della casa in comproprietà, in sede di separazione.

A maggior ragione, se si tiene presente la natura assistenziale che presenta l’assegno divorzile.

Allo stato attuale, in cui non risulta che l’immobile nel quale la donna viveva sia stato venduto, non vi è alcun motivo

di riconoscerle un assegno che sostituisca il relativo documento.

Ove la situazione dovesse in futuro cambiare, ben potrà, se ne ricorrono i presupposti, essere chiesta una modifica della situazione economica.

L’appello va, quindi, accolto con esclusione per la Y del diritto a percepire alcun assegno divorzile.

Le medesime ragioni tenute implicitamente presenti dal tribunale per compensare le spese del primo grado militano alla compensazione delle spese anche del presente grado.

P.Q.M.

La Corte di Appello di Bologna, decidendo definitivamente sull’appello proposto da X avverso la sentenza del Tribunale di Piacenza del 25.07/15.11.2007 così decide:

1. in accoglimento dell’appello proposto da X esclude il diritto della Y a percepire l’assegno divorzile;

2. compensa interamente tra le parti le spese processuali del grado.

Così deciso il 5 dicembre 2008 in Bologna nella Camera di Consiglio della Prima Sezione Civile della Corte di Appello

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