Novità della Consulta: Messa alla prova per la seconda volta

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L’art. 168-bis, co. 4, c.p. è incostituzionale: vediamo come

     Indice

  1. La questione
  2. La soluzione adottata dalla Consulta
  3. Conclusioni

1. La questione

Il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale ordinario di Bologna sollevava, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui, disponendo che la sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato non può essere concessa più di una volta, non prevede(va) che l’imputato ne possa usufruire per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.

In particolare, il giudice a quo – preso atto che, secondo l’ordinamento giuridico vigente, la richiesta di messa alla prova successivamente avanzata in altro procedimento – pur relativo a un reato connesso ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen. – è destinata a una declaratoria di inammissibilità, giusta il disposto dell’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. – ravvisava, in tale disposizione legislativa così strutturata, un precetto normativo atto a determinare una irragionevole disparità di trattamento tra l’imputato sottoposto a simultaneus processus in relazione a reati connessi ex art. 12, lettera b), cod. proc. pen. – il quale potrebbe fruire della sospensione del procedimento con messa alla prova per tutti i reati contestatigli – e l’imputato che affronta giudizi distinti (ancorché connessi), che invece avrebbe diritto a richiedere il beneficio solo la prima (e unica) volta.

Oltre a ciò, il giudice rimettente faceva altresì presente che, a suo avviso, alla luce del tenore letterale, la disposizione censurata non poteva essere soggetta ad un’interpretazione costituzionalmente orientata data l’impossibilità di considerare la seconda richiesta di messa alla prova, non come ulteriore e nuova richiesta, ma come prosecuzione oppure integrazione di quella già avanzata in altro procedimento.

Di conseguenza, sempre secondo il giudice a quo, si sarebbe dunque in presenza di una situazione di contrarietà interna del sistema delineato dall’istituto della messa alla prova sotto il profilo della irriducibilità della regola contenuta nel quarto comma dell’art. 168 bis c. p. al rispetto dei principi ispiratori della norma che, a sua volta, determinerebbe un vulnus all’art. 3 Cost..

2. La soluzione adottata dalla Consulta 

La Corte costituzionale riteneva la questione fondata.

Si osservava a tal proposito innanzitutto che preclusioni analoghe a quella in oggetto erano già state dichiarate costituzionalmente illegittime da sentenze risalenti emesse dal Giudice delle leggi, rilevandosi, subito dopo, che, come rilevato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (sezione seconda penale, sentenza 12 marzo 2015, n. 14112), di cui la stessa Consulta aveva recentemente preso atto (sentenza n. 146 del 2022), la preclusione posta dall’art. 168-bis, quarto comma, cod. pen. non osta a che uno stesso imputato possa essere ammesso al beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova anche qualora gli vengano contestati più reati nell’ambito del medesimo procedimento, sempre che i limiti edittali di ciascuno di essi siano compatibili con la concessione del beneficio, e ciò vale, evidentemente, anche nel caso specifico in cui tali reati siano avvinti dalla continuazione, essendo stati commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso dato che, in una tale situazione, l’ordinamento considera unitariamente i reati ai fini sanzionatori prevedendo l’inflizione di una sola pena che tenga conto del loro complessivo disvalore.

Da ciò se ne faceva conseguire come sarebbe del tutto logico che, ove tutti i singoli reati siano compatibili, in ragione dei rispettivi limiti edittali, con il beneficio della messa alla prova, l’imputato possa essere ammesso ad un percorso unitario di risocializzazione e riparazione, nel quale si sostanzia il beneficio medesimo e il cui esito positivo comporta l’estinzione dei reati contestati.

In ipotesi come quella verificatasi nel giudizio a quo, dunque, per i giudici di legittimità costituzionale, se tutti i reati commessi in continuazione fossero stati contestati nell’ambito di un unico procedimento, i relativi imputati ben avrebbero avuto la possibilità di chiedere e – sussistendone tutti i presupposti – di ottenere il beneficio della sospensione del procedimento con messa alla prova in relazione a tutti i reati, il cui esito positivo avrebbe determinato l’estinzione dei reati medesimi.

Da tale premessa, di conseguenza, il Giudice delle leggi giungeva alla conclusione secondo cui risultava essere, allora, irragionevole che quando, per scelta del pubblico ministero o per altre evenienze processuali, i reati avvinti dalla continuazione vengano invece contestati in distinti procedimenti, gli imputati non abbiano più la possibilità, nel secondo procedimento, di chiedere ed ottenere la messa alla prova, allorché siano stati già ammessi al beneficio nel primo in quanto ciò equivarrebbe a far dipendere la possibilità di accedere a uno dei riti alternativi previsti dal legislatore – possibilità che costituisce «una modalità, tra le più qualificanti, di esercizio del diritto di difesa» dell’imputato di cui all’art. 24 Cost. (ex multis, sentenza n. 192 del 2020, nonché sentenze n. 19 e n. 14 del 2020, n. 131 del 2019) – dalle scelte contingenti del pubblico ministero o da circostanze casuali, sulle quali l’imputato stesso non può in alcun modo influire.

Oltre a ciò, era altresì osservato che, sotto un diverso ma (stimato) connesso profilo, la preclusione censurata, applicata a ipotesi come quella al vaglio della Corte nel caso di specie, finiva per frustrare lo stesso intento legislativo di sanzionare in maniera unitaria il reato continuato attraverso un aumento della pena prevista per il reato più grave, secondo la regola generale posta dall’art. 81, secondo comma, cod. pen. – intento che, tra l’altro, non è precluso nemmeno dall’intervento del giudicato, come dimostra l’art. 671 cod. proc. pen. il quale, come è noto, consente al giudice dell’esecuzione di rideterminare la pena complessiva per più reati giudicati separatamente con sentenze o decreti penali irrevocabili, tenendo conto appunto della continuazione tra gli stessi dato che, se è vero che la messa alla prova dell’imputato maggiorenne ha anche una innegabile connotazione sanzionatoria rispetto al reato per il quale si procede (sentenze n. 146 del 2022, n. 139 e n. 75 del 2020, n. 68 del 2019), l’impossibilità di ammettere alla messa alla prova, chi abbia già avuto accesso al beneficio in relazione ad altro reato commesso in esecuzione di un medesimo disegno criminoso, si traduce nell’impossibilità di sanzionare in modo sostanzialmente unitario tutti i reati avvinti dalla continuazione, in contrasto con la logica del sistema del codice penale, fermo restando che tali considerazioni, sempre per la Consulta, valgono, a maggior ragione, per l’altra ipotesi di connessione prevista dall’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., che si verifica nel caso del concorso formale disciplinato dall’art. 81, primo comma, cod. pen. e, dunque, allorché più reati sono commessi dalla stessa persona con una sola azione od omissione; difatti, anche in questo caso, il legislatore prevede che il trattamento sanzionatorio sia commisurato unitariamente dal giudice secondo le medesime regole che vigono per il reato continuato, il che normalmente accade nell’ambito di un unico processo. Sicché, nelle ipotesi in cui il pubblico ministero abbia invece proceduto per reati in concorso formale nell’ambito di procedimenti distinti – e sempre che il secondo procedimento non sia di per sé precluso dall’art. 649 cod. pen. (sul punto, sentenza n. 200 del 2016, punto 12 del Considerato in diritto) –, risulterebbe irragionevole, per la Corte costituzionale, negare all’imputato la possibilità di accedere nuovamente alla messa alla prova nell’ambito di un procedimento che ha pur sempre ad oggetto la medesima condotta attiva od omissiva per la quale egli ha già fruito del beneficio.

Da tutto ciò se ne faceva discendere come la disposizione censurata dovesse essere dichiarata costituzionalmente illegittima nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), cod. proc. pen., con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso, fermo restando che, da un lato, in una simile ipotesi, spetterà al giudice, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen., una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato, dall’altro, in tale valutazione non potrà non tenersi conto – per un verso – della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, e – per altro verso – del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente già compiuto durante la prima messa alla prova.

Ad ogni modo, sempre alla luce di quanto postulato dalla Consulta nella pronuncia in commento, nel caso poi in cui ritenga di poter concedere nuovamente il beneficio, il giudice stabilirà la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque entro i limiti complessivi indicati dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen., valorizzando opportunamente il percorso già compiuto, alla luce dell’esigenza – sottesa al sistema – di apprestare una risposta sanzionatoria sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.


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3. Conclusioni

Con la decisione in esame la Consulta ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui non prevede che l’imputato possa essere ammesso alla sospensione del procedimento con messa alla prova nell’ipotesi in cui si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, con altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.

Di conseguenza, per effetto di questa pronuncia, è adesso concesso all’imputato di potere essere ammesso a questo rito speciale anche ove si proceda per reati connessi, ai sensi dell’art. 12, comma 1, lettera b), del codice di procedura penale, vale a dire, nel caso in cui una persona sia imputata di più reati commessi con una sola azione od omissione ovvero con più azioni od omissioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, rispetto ad altri reati per i quali tale beneficio sia già stato concesso.

Non solo.

La Corte costituzionale, alla luce di questa declaratoria di illegittimità costituzionale, ha anche specificato, sempre nella sentenza qui in commento, che, in una simile ipotesi, spetterà al giudice, ai sensi dell’art. 464-quater, comma 3, cod. proc. pen. – che, come è noto, dispone che la “sospensione del procedimento con messa alla prova è disposta quando il giudice, in base ai parametri di cui all’articolo 133 del codice penale, reputa idoneo il programma di trattamento presentato e ritiene che l’imputato si asterrà dal commettere ulteriori reati” (primo periodo) fermo restando che, a “tal fine, il giudice valuta anche che il domicilio indicato nel programma dell’imputato sia tale da assicurare le esigenze di tutela della persona offesa dal reato” (secondo periodo) – una nuova valutazione dell’idoneità del programma di trattamento e una nuova prognosi sull’astensione dalla commissione di ulteriori reati da parte dell’imputato e, in tale valutazione, non potrà non tenersi conto – per un verso – della natura e della gravità dei reati oggetto del nuovo procedimento, e – per altro verso – del percorso di riparazione e risocializzazione eventualmente già compiuto durante la prima messa alla prova.

Ciò posto, la Consulta ha infine individuato un ulteriore incombente a cui è tenuto il giudice in tale caso che consiste nello stabilire la durata del periodo aggiuntivo di messa alla prova, comunque entro i limiti complessivi indicati dall’art. 464-quater, comma 5, cod. proc. pen. (cioè non superiore a due anni quando si procede per reati per i quali è prevista una pena detentiva, sola, congiunta o alternativa alla pena pecuniaria e non superiore a un anno quando si procede per reati per i quali è prevista la sola pena pecuniaria), valorizzando opportunamente il percorso già compiuto, alla luce dell’esigenza – sottesa al sistema – di apprestare una risposta sanzionatoria sostanzialmente unitaria rispetto a tutti i reati in concorso formale o commessi in esecuzione di un medesimo disegno criminoso.

Con tale provvedimento, quindi, non solo è stata determinata l’illegittimità costituzionale dell’art. 168-bis, co. 4, cod. pen. nei termini già evidenziati in precedenza, ma è stato altresì chiarito cosa comporta per il giudice una siffatta declaratoria di illegittimità costituzionale.

Il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, proprio perché contribuisce a fare chiarezza su tale tematica giuridica, dunque, non può che essere positivo.

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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