Corte Costituzionale 21/5/2001 n. 156; Pres. Santosuosso, F.

Redazione 21/05/01
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Sono inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate in riferimento agli artt. 3, 23, 32, 53 e 76 della Costituzione per i seguenti motivi:
1) è dovere del giudice a quo individuare la norma, o la parte di essa, nel corpo normativo concernente l’imposta regionale sulle attività produttive (Irap), la cui presenza nell’ordinamento determinerebbe la lamentata lesione delle disposizioni della Costituzione;
2) inoltre l’eccezione, sollevata dai giudici rimettenti circa l’indeducibilità dell’Irap ai fini delle imposte sui redditi, attiene al regime giuridico e alla fase applicativa delle imposte sui redditi ed è perciò irrilevante nei giudizi a quibus, nei quali le controversie concernono soltanto il tema del rimborso dell’acconto dell’Irap;
3) è, infine, altresì irrilevante la questione di legittimità costituzionale – sollevata in relazione all’art. 23 della Costituzione -, riguardante l’art. 45, comma 3, del d.lgs. n. 446/97, nella parte in cui prevede che “con decreto del Ministro delle finanze sono stabiliti (…) gli ammontari in valore assoluto e percentuale del maggior carico impositivo rispetto a quello derivante dai tributi e contributi soppressi ai sensi degli articoli 36 e 51, comma 1, in base ai quali fissare l’entità della riduzione dell’acconto dovuto ai fini della stessa imposta determinato ai sensi dell’art. 36”, in quanto l’eventuale caducazione per incostituzionalità della norma anzidetta, come richiesto dai giudici rimettenti, comporterebbe il venir meno della possibilità di riconoscere la riduzione dell’acconto dell’Irap, ma non certo la restituzione dell’acconto già versato che è oggetto dei giudizi a quibus (1).

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Non sono fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4, 8 e 11, comma 1, lett. c), numeri 1), 2), 3) e 4) del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali) – sollevate in riferimento agli artt. 3, 23, 32, 35, 53 e 76 della Costituzione -, nelle parti in cui assumono, quale presupposto dell’Irap, l’esercizio abituale di un’attività economica organizzata alla produzione o allo scambio di beni o alla prestazione di servizi, indipendentemente dal risultato economico di tale attività e indicano quale base imponibile il valore della produzione netta – al netto degli ammortamenti – costituita dalla differenza tra ricavi e costi, esclusi gli interessi passivi ed i costi relativi al personale, per i seguenti motivi:
1) il legislatore ha individuato, quale nuovo indice di capacità contributiva, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate; ossia la nuova ricchezza, creata dalla singola unità produttiva, viene assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l’organizzazione dell’attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori;
2) è apodittica e indimostrata l’affermazione dei giudici rimettenti, secondo cui l’onere derivante dall’Irap a carico dei lavoratori autonomi risulterebbe maggiore di quello da cui questi erano in precedenza gravati per effetto dei tributi soppressi dall’art. 36 del d.lgs. n. 446/97; comunque, su tale punto, la comparazione fra oneri è da effettuare con riguardo non alla sola Irap, ma all’intero carico fiscale gravante sul lavoro autonomo, prima e dopo la riforma;
3) la normativa istitutiva dell’Irap non opera alcuna ingiustificata equiparazione, ai fini del trattamento fiscale, tra redditi di impresa e redditi di lavoro autonomo, in violazione dei principi costituzionali di uguaglianza, di capacità contributiva e di tutela del lavoro in tutte le sue forme, poiché l’Irap non configura una imposta sui redditi ma sul valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate e in entrambi i casi, si presenta, quindi, identica l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza; e, di conseguenza, non sussiste il presupposto dell’imposta nel caso di un’attività professionale che sia svolta in assenza di elementi di organizzazione (il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto);
4) inoltre, la normativa dell’Irap non determina alcuna ingiustificata disparità di trattamento in danno dei lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori subordinati, non assoggettati all’imposta, poiché l’imposta non colpisce il reddito personale del contribuente, bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate; e pertanto, comprende, come soggetti passivi, i lavoratori autonomi – in quanto, appunto, esercenti attività autonomamente organizzate – e non anche i lavoratori dipendenti che svolgono attività per definizione prive del connotato rappresentato dall’autonoma organizzazione (2).

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. – Con le ordinanze indicate in epigrafe vengono sollevate, sotto profili e con riferimento a parametri in buona parte coincidenti, questioni di legittimità costituzionale di singole norme del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), ovvero dell’intero testo normativo.
I giudizi, stante l’evidente connessione, vanno pertanto riuniti per essere unitariamente decisi.
2. – Va preliminarmente dichiarata l’inammissibilità delle questioni sollevate, con riferimento all’intero decreto legislativo n. 446 del 1997, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con l’ordinanza emessa il 6 ottobre 1999, dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con entrambe le ordinanze, dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza. E ciò in quanto secondo la costante giurisprudenza di questa Corte, il rimettente – salvo il caso in cui specificamente argomenti che il vulnus derivi da un intero corpo normativo – è tenuto ad individuare, a pena appunto di inammissibilità, la norma, o la parte di essa, la cui presenza nell’ordinamento determinerebbe la lamentata lesione della Costituzione (cfr., ex multis, ordinanze n. 208 del 2000 e n. 185 del 1996).
3. – L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce inoltre l’inammissibilità, per difetto di rilevanza, delle questioni riferite all’art. 1 del decreto legislativo n. 446 del 1997, nella parte in cui dispone la non deducibilità dell’imposta regionale sulle attività produttive (Irap) ai fini delle imposte sui redditi, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza.
L’eccezione va accolta. Quella prospettata, in termini sostanzialmente coincidenti, dai suddetti rimettenti è infatti questione che attiene al regime giuridico ed alla fase applicativa delle imposte sui redditi, ed è perciò irrilevante nei giudizi a quibus, aventi tutti ad oggetto controversie in tema di rimborso dell’acconto Irap (cfr. sentenze n. 111 del 1997 e n. 21 del 1996).
4. – Del pari inammissibile è la questione di legittimità costituzionale riguardante l’art. 45, comma 3, del decreto legislativo n. 446 del 1997, sollevata, in riferimento all’art. 23 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10 maggio 2000, dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza.
La norma denunciata prevede che “con decreto del Ministro delle finanze sono stabiliti (…) gli ammontari in valore assoluto e percentuale del maggior carico impositivo rispetto a quello derivante dai tributi e contributi soppressi ai sensi degli articoli 36 e 51, comma 1, in base ai quali fissare l’entità della riduzione dell’acconto dovuto ai fini della stessa imposta determinato ai sensi dell’articolo 31”.
L’eventuale caducazione di detta norma, richiesta dai rimettenti, comporterebbe il venir meno della stessa possibilità di riduzione dell’acconto ma non certo la restituzione dell’acconto già versato, che costituisce l’oggetto dei giudizi a quibus.
La questione risulta pertanto del tutto irrilevante.
5. – L’Avvocatura generale dello Stato eccepisce ancora l’inammissibilità della questione sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, in considerazione dell’asserito difetto di legittimazione passiva della Regione Liguria, unica convenuta nel giudizio a quo, avente ad oggetto il ricorso proposto da un contribuente avverso il provvedimento di reiezione di un’istanza di rimborso dell’acconto Irap versato.
L’eccezione va disattesa.
La questione riguardante la legittimazione passiva della Regione Liguria risulta già introdotta, in via di eccezione, nel giudizio a quo, ed il rimettente motiva specificamente, nell’ordinanza, riguardo alle ragioni per le quali egli ritiene invece la regione medesima passivamente legittimata al giudizio. Ciò è sufficiente per escludere che questa Corte possa pervenire, sovrapponendo il proprio giudizio a quello del giudice del merito, ad una declaratoria di inammissibilità della questione di costituzionalità per difetto di rilevanza, rimanendo ovviamente impregiudicata ogni ulteriore valutazione, da compiersi nel giudizio a quo, riguardo all’esattezza delle conclusioni cui il rimettente è pervenuto sul punto.
6. – Nel merito, un primo gruppo di questioni riguarda la conformità ai principi di eguaglianza e capacità contributiva delle norme del decreto legislativo relative alla stessa individuazione del presupposto d’imposta ed alla determinazione della base imponibile.
Rientrano in questo gruppo le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 4 del decreto legislativo sollevate, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con le due ordinanze in data 23 settembre 1999, e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 8 e 11, comma 1, lett. c), numeri 1), 2), 3) e 4), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Genova; le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4, 8 e 11 sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Milano e, in riferimento al solo art. 53 Cost., dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 4, 8 e 11 del decreto legislativo sollevata, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Parma; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 4 e 8 del decreto legislativo sollevata, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia.
Deducono in buona sostanza i rimettenti che le norme denunciate, assumendo quale presupposto dell’imposta il mero esercizio abituale di una attività economica organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi (art. 2), indipendentemente dal risultato economico di tale attività, ed indicando quale base imponibile il valore della produzione netta, al netto degli ammortamenti, costituita dalla differenza tra ricavi e costi, esclusi tuttavia gli interessi passivi ed i costi relativi al personale (artt. 4, 8 e 11), si porrebbero in contrasto con il principio di capacità contributiva e perciò, in definitiva, con il principio di eguaglianza, in quanto assoggetterebbero il contribuente ad un prelievo fiscale basato su una mera potenzialità di capacità contributiva, suscettibile di non tradursi in reddito nel caso in cui l’ammontare di retribuzioni ed interessi passivi sia uguale o superiore al valore della suddetta produzione netta, attesa anche la mancata previsione di qualsivoglia meccanismo di rivalsa.
6.1. – Le questioni sono infondate.
6.2. – È costante nella giurisprudenza di questa Corte l’affermazione secondo la quale rientra nella discrezionalità del legislatore, con il solo limite della non arbitrarietà, la determinazione dei singoli fatti espressivi della capacità contributiva che, quale idoneità del soggetto all’obbligazione di imposta, può essere desunta da qualsiasi indice che sia rivelatore di ricchezza e non solamente dal reddito individuale (sentenze n. 111 del 1997, n. 21 del 1996, n. 143 del 1995, n. 159 del 1985).
Nel caso dell’Irap il legislatore, nell’esercizio di tale discrezionalità, ha individuato quale nuovo indice di capacità contributiva, diverso da quelli utilizzati ai fini di ogni altra imposta, il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate.
La scelta di siffatto indice – diversamente da quanto i rimettenti assumono – non può dirsi irragionevole, né comunque lesiva del principio di capacità contributiva, atteso che il valore aggiunto prodotto altro non è che la nuova ricchezza creata dalla singola unità produttiva, che viene, mediante l’Irap, assoggettata ad imposizione ancor prima che sia distribuita al fine di remunerare i diversi fattori della produzione, trasformandosi in reddito per l’organizzatore dell’attività, i suoi finanziatori, i suoi dipendenti e collaboratori.
L’imposta colpisce perciò, con carattere di realità, un fatto economico, diverso dal reddito, comunque espressivo di capacità di contribuzione in capo a chi, in quanto organizzatore dell’attività, è autore delle scelte dalle quali deriva la ripartizione della ricchezza prodotta tra i diversi soggetti che, in varia misura, concorrono alla sua creazione.
Irrilevante, ai fini della valutazione della conformità dell’imposta al principio di capacità contributiva, è d’altro canto la mancata previsione del diritto di rivalsa da parte del soggetto passivo dell’imposta stessa nei confronti di coloro cui pure il valore aggiunto prodotto è, pro quota, riferibile (e cioè i lavoratori ed i finanziatori).
Come si verifica per qualsiasi altro costo (anche di carattere fiscale) gravante sulla produzione, l’onere economico dell’imposta potrà essere infatti trasferito sul prezzo dei beni o servizi prodotti, secondo le leggi del mercato, o essere totalmente o parzialmente recuperato attraverso opportune scelte organizzative.
7. – Un secondo gruppo di questioni riguarda specificamente l’inclusione tra i soggetti passivi dell’imposta degli esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi approvato con decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917.
8. – Vengono in primo luogo in considerazione, a tale proposito, le questioni di legittimità costituzionale – da intendersi evidentemente riferite all’art. 3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo – sollevate, in riferimento all’art. 76 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 23 marzo 2000, e dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze.
Assumono i rimettenti che, attraverso l’assoggettamento ad Irap dei lavoratori autonomi, si sarebbe violato il criterio direttivo stabilito dall’art. 3, comma 143, della legge 23 dicembre 1996, n. 662 (Misure di razionalizzazione della finanza pubblica), rappresentato dalla riduzione del costo del lavoro e del prelievo complessivo che grava sul lavoro autonomo.
8.1. – Anche tale censura è infondata.
8.2. – L’assunto da cui i rimettenti muovono – che cioè l’onere derivante dall’Irap sia, per i lavoratori autonomi, maggiore di quello da cui erano precedentemente gravati per effetto dei tributi e contributi soppressi dall’art. 36 del decreto legislativo – è infatti apodittico ed indimostrato. Oltre a ciò va considerato che il criterio direttivo cui i medesimi rimettenti fanno riferimento riguarda non solamente l’istituzione dell’Irap, ma il complesso delle riforme del sistema tributario indicate nello stesso art. 3, comma 143, della legge n. 662 del 1996, tra le quali, ad esempio, figura anche, alla lett. b), la revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’imposta sul reddito delle persone fisiche. Con la conseguenza che la comparazione andrebbe semmai effettuata con riguardo non alla sola Irap, ma all’intero carico fiscale gravante sul lavoro autonomo prima e dopo la riforma.
Da ultimo – ed il rilievo è di per sé decisivo – va comunque osservato che è la stessa legge delega n. 662 del 1996 a prevedere, all’art. 3, comma 144, lett. b), che l’istituenda imposta regionale sulle attività produttive venga applicata anche nei confronti degli esercenti arti e professioni.
9. – Altri rimettenti dubitano della legittimità costituzionale della normativa istitutiva dell’Irap, nella parte in cui questa opererebbe una ingiustificata equiparazione, ai fini del trattamento fiscale, tra redditi di impresa e redditi di lavoro autonomo, con violazione vuoi del principio di eguaglianza, vuoi del principio di capacità contributiva, vuoi, infine, del principio di tutela del lavoro in tutte le sue forme.
Vengono sotto tale profilo in considerazione le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3 e 35 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con le due ordinanze emesse il 23 settembre 1999, in riferimento all’art. 53 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost., e dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, in riferimento all’art. 3 Cost.; le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 2 e 3 del medesimo decreto legislativo sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, in riferimento all’art. 3 Cost., e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento all’art. 53 Cost.; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lett. c), 4 e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 23 marzo 2000, in riferimento agli artt. 3 e 53 Cost.; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 2, 3, comma 1, lett. c), e 8 del medesimo decreto sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost.; la questione di legittimità costituzionale degli artt. 3, comma 1, lett. c), 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 Cost..
9.1. – Le questioni stesse sono infondate alla stregua delle considerazioni che seguono.
9.2. – Va innanzitutto ribadito che l’Irap non è un’imposta sul reddito, bensì un’imposta di carattere reale che colpisce – come già si è osservato – il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate.
Non riguardando, dunque, la normativa denunciata la tassazione dei redditi personali, le censure riferite all’asserita equiparazione del trattamento fiscale dei redditi di lavoro autonomo a quello dei redditi di impresa risultano fondate su un presupposto palesemente erroneo.
L’assoggettamento all’imposta in esame del valore aggiunto prodotto da ogni tipo di attività autonomamente organizzata, sia essa di carattere imprenditoriale o professionale, è d’altro canto pienamente conforme ai principi di eguaglianza e di capacità contributiva – identica essendo, in entrambi i casi, l’idoneità alla contribuzione ricollegabile alla nuova ricchezza prodotta – né appare in alcun modo lesivo della garanzia costituzionale del lavoro.
È tuttavia vero – come taluni rimettenti rilevano – che mentre l’elemento organizzativo è connaturato alla nozione stessa di impresa, altrettanto non può dirsi per quanto riguarda l’attività di lavoro autonomo, ancorché svolta con carattere di abitualità, nel senso che è possibile ipotizzare un’attività professionale svolta in assenza di organizzazione di capitali o lavoro altrui.
Ma è evidente che nel caso di una attività professionale che fosse svolta in assenza di elementi di organizzazione – il cui accertamento, in mancanza di specifiche disposizioni normative, costituisce questione di mero fatto – risulterà mancante il presupposto stesso dell’imposta sulle attività produttive, per l’appunto rappresentato, secondo l’art. 2, dall’”esercizio abituale di un’attività autonomamente organizzata diretta alla produzione o allo scambio di beni ovvero alla prestazione di servizi”, con la conseguente inapplicabilità dell’imposta stessa.
10. – L’art. 3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo – in combinato disposto, secondo la prospettazione di taluni rimettenti, con l’art. 2 – è ancora fatto oggetto di censura, in riferimento all’art. 3 Cost., per l’ingiustificata disparità di trattamento che ne deriverebbe in danno dei lavoratori autonomi rispetto ai lavoratori subordinati, non assoggettati all’imposta.
10.1. – L’infondatezza della questione – sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con entrambe le ordinanze, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10 maggio 2000, e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza – risulta evidente sulla base delle medesime considerazioni sopra svolte riguardo alla natura e all’oggetto dell’imposta.
Una volta chiarito, infatti, che l’Irap non colpisce il reddito personale del contribuente, bensì il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate, nessuna ingiustificata disparità di trattamento può ravvisarsi nella inclusione tra i soggetti passivi dell’imposta dei lavoratori autonomi – in quanto appunto esercenti attività autonomamente organizzate – e non anche dei lavoratori dipendenti, la cui attività è per definizione priva del connotato rappresentato dall’autonoma organizzazione.
11. – La Commissione tributaria provinciale di Como, con entrambe le ordinanze, la Commissione tributaria provinciale di Milano, la Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, e la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ritengono, sotto altro aspetto, in contrasto con il principio di eguaglianza l’inclusione tra i soggetti passivi dell’imposta degli esercenti arti e professioni di cui all’art. 49, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi e non anche degli altri lavoratori autonomi indicati ai commi 2 e 3 della stessa norma.
11.1. – Anche in tal caso la censura è priva di fondamento, in quanto l’assoggettamento ad Irap dei soli soggetti che svolgono un’attività di lavoro autonomo per professione abituale, ancorché non esclusiva, trova fondamento in una non irragionevole presunzione circa la mancanza del requisito dell’autonoma organizzazione nelle diverse ipotesi, previste dai commi 2 e 3 del menzionato art. 49, di lavoro autonomo occasionale o comunque non abituale.
12. – L’art. 3 del decreto legislativo è infine ulteriormente censurato, in riferimento all’art. 3 Cost., dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con entrambe le ordinanze, dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10 maggio 2000, e dalla Commissione tributaria provinciale di Parma in quanto porrebbe a carico solamente di alcune categorie di contribuenti il finanziamento del Servizio sanitario nazionale, essendo stati soppressi dall’art. 36 del decreto legislativo, contestualmente all’entrata in vigore dell’Irap, i previgenti contributi.
Sotto il medesimo profilo la Commissione tributaria provinciale di Piacenza solleva invece questione di legittimità costituzionale dell’art. 36 del decreto legislativo, sempre in riferimento all’art. 3 Cost., mentre la Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia dubita, in riferimento allo stesso parametro, della legittimità costituzionale sia dell’art. 3 che dell’art. 36.
12.1. – Le questioni sono prive di fondamento.
La circostanza che i contributi per il servizio sanitario nazionale – unitamente ad altre imposte e contributi – siano stati soppressi a decorrere dalla data di entrata in vigore del decreto legislativo n. 446 del 1997 e che il servizio sanitario sia finanziato anche dalla nuova imposta non esclude che il prelievo operato dall’Irap si inquadri nella fiscalità generale e che nessuna identificazione sia perciò richiesta tra i soggetti passivi dell’imposta ed i beneficiari dei servizi pubblici al cui finanziamento il gettito è, in parte, destinato.

P.Q.M.
LA CORTE COSTITUZIONALE
riuniti i giudizi,
a) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con l’ordinanza emessa il 6 ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3, 23, 53 e 76 della Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999, in riferimento agli artt. 3, 32 e 76 della Costituzione, e con l’ordinanza emessa il 23 marzo 2000, in riferimento all’art. 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento all’art. 76 della Costituzione;
b) dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 1 del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevate dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, in riferimento all’art. 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze, in riferimento all’art. 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione; dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia, in riferimento all’art. 53 della Costituzione, e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, in riferimento all’art. 3 della Costituzione;
c) dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell’art. 45, comma 3, del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento all’art. 23 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999; dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con l’ordinanza emessa il 10 maggio 2000; dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia e dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza;
d) dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale: dell’art. 3, comma 1, lett. c), del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 35 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 18 ottobre 1999; degli artt. 3, comma 1, lett. c), e 4 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, con le due ordinanze emesse il 23 settembre 1999; degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Milano; degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Parma; degli artt. 3, comma 1, lett. c), 4 e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Como, con l’ordinanza emessa il 23 marzo 2000; degli artt. 2, 3, comma 1, lett. c), e 8 del medesimo decreto legislativo sollevata dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione; degli artt. 2, 3, 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 53 e 76 della Costituzione, dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, con tutte e tre le ordinanze; degli artt. 8 e 11, comma 1, lett. c), numeri 1), 2), 3) e 4), del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Genova; degli artt. 2, 3, comma 1, lett. c), 4, 8 e 11 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3, 35 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia; degli artt. 2, 3, 4 e 36 del medesimo decreto legislativo sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 53 della Costituzione, dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza. (Omissis).

(1-2) I giudizi di legittimità costituzionale del decreto legislativo 15 dicembre 1997, n. 446 (Istituzione dell’imposta regionale sulle attività produttive, revisione degli scaglioni, delle aliquote e delle detrazioni dell’Irpef e istituzione di una addizionale regionale a tale imposta, nonché riordino della disciplina dei tributi locali), sono stati promossi con ordinanze emesse il 6 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, il 18 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Como, il 23 settembre 1999 (2 ordinanze) dalla Commissione tributaria provinciale di Torino, il 27 ottobre 1999 dalla Commissione tributaria provinciale di Milano, il 21 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Parma, il 23 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Como, il 19 giugno 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Trapani, il 10 maggio 2000 ed il 26 maggio 2000 (2 ordinanze) dalla Commissione tributaria di primo grado di Bolzano, il 3 luglio 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Genova, il 27 marzo 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Lecco, il 5 giugno 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Reggio Emilia ed il 29 febbraio 2000 dalla Commissione tributaria provinciale di Piacenza, rispettivamente iscritte ai nn. 707 e 725 del registro ordinanze 1999 ed ai nn. 23, 24, 53, 289, 330, 554, 571, 576, 577, 637, 642, 684 e 694 del registro ordinanze 2000 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 52, prima serie speciale, dell’anno 1999 e nn. 3, 6, 9, 23, 25, 41, 42, 43, 45, 46 e 48, prima serie speciale, dell’anno 2000.

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