Corte Costituzionale 20/3/2009 n. 78; Pres. Amirante F.

Redazione 20/03/09
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ORDINANZA

Nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 22, comma nono, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 1934, n. 36, sostituito dall’art. 1-bis, del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180 e degli artt. 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma, del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), promosso dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, sezione distaccata di Brescia, sul ricorso proposto da S.M. contro il Ministero della Giustizia ed altra, con ordinanza del 15 aprile 2008, iscritta al n. 285 del registro ordinanze 2008 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell’anno 2008.

Visto l’atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio dell’11 febbraio 2009 il Giudice relatore ****************.

Ritenuto che, con ordinanza del 15 aprile 2008, il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia – ha sollevato, con riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo e secondo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, nono comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 1934, n. 36, sostituito dall’art. 1-bis, decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, e degli artt. 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma, del regio decreto 23 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), nella parte in cui non prevede l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di voto stesso relative alle prove scritte d’esame per l’abilitazione alla professione forense;

che, secondo il rimettente, avendo egli respinto, con sentenza non definitiva gli altri due motivi dedotti dal ricorrente, assumerebbe rilevanza, per la decisione della controversia sottoposta al suo esame, l’esame del terzo motivo, basato sull’asserita incostituzionalità dell’interpretazione giurisprudenziale che afferma la sufficienza dell’espressione alfanumerica del voto a fini motivazionali e di giustificazione del risultato;

che, nel merito, il rimettente ricorda che, in base all’orientamento del Consiglio di Stato, consolidato in un vero e proprio diritto vivente, l’onere di motivazione della valutazione nell’esame di abilitazione alla professione forense sarebbe sufficientemente adempiuto con l’attribuzione di un punteggio alfanumerico, che sarebbe idonea ad esternare adeguatamente il giudizio tecnico delle Commissioni giudicatrici, per cui anche tale censura dovrebbe essere respinta;

che, tuttavia, il rimettente ritiene che il punteggio numerico non può essere considerato, come affermato dal Consiglio di Stato, una motivazione sintetica, ma solo la mera espressione di un valore relativo che si manifesta in termini matematici, come tale inidonea a dar conto del processo ponderativo retrostante;

che la normativa censurata, interpretata in base al descritto diritto vivente, si porrebbe in contrasto con i precetti di cui agli artt. 111, primo e secondo comma, 113, primo comma, e 24, primo e secondo comma, Cost.;

che, invero, le Commissioni giudicatrici, all’esito della procedura di correzione degli elaborati, esprimono un giudizio tecnico discrezionale che ha un vasto spessore di merito e che, in mancanza di adeguata motivazione, rimarrebbe estraneo al potere di indagine del giudice, il quale potrebbe solo verificare la sussistenza di evidenti profili di patenti irrazionalità, di abnormi arbitrarietà o di macroscopiche sproporzioni;

che ciò, secondo il rimettente, impedirebbe lo svolgersi di un giusto processo, in contrasto con il principio espresso dall’art. 111, primo comma, Cost., poiché la pubblica amministrazione continuerebbe a conservare, ingiustificatamente, un’area di impenetrabile insindacabilità, visto che al giudice non sarebbe consentito di ricostruire l’iter argomentativo conclusosi con un mero voto alfanumerico;

che, allo stesso tempo, la parte istante verrebbe privata di ogni potestà probatoria e ciò determinerebbe una compressione del diritto della stessa alla tutela giurisdizionale, in particolare degli interessi legittimi, in spregio ai principi espressi nell’art. 24, primo e secondo comma, e nell’art. 113, primo comma Cost.;

che, inoltre, l’interpretazione consolidata della giurisprudenza amministrativa, pur risultando senza dubbio funzionale alla celerità ed economicità dell’azione amministrativa, comprimerebbe, illegittimamente, le aspirazioni dei candidati all’esame di avvocato a venire giudicati in maniera trasparente e tradirebbe la funzione della motivazione, che, anche in altri ordinamenti giuridici, sarebbe quella di far comprendere le ragioni delle decisioni assunte e valutare le loro possibilità di contestarle;

che, secondo il rimettente, le evidenziate incongruità non possono ritenersi giustificate dalla finalità di evitare un rallentamento dell’azione amministrativa, poiché se tale finalità fosse ritenuta perseguibile mediante una riduzione delle garanzie processuali, dovrebbero essere eliminate quasi tutte le norme del procedimento amministrativo;

che, infine, sottolinea il rimettente, in seguito alla modifica operata dal d.l. n. 112 del 2003, l’art. 22 del r.d. n. 1578 del 1933, al comma 9, stabilisce espressamente che «la commissione istituita presso il Ministero della giustizia definisce i criteri per la valutazione degli elaborati scritti», i quali devono essere comunicati alle varie Sottocommissioni;

che, secondo il rimettente, non sarebbe dato comprendere il significato della citata determinazione legislativa, in mancanza del correlativo obbligo di dare conto dell’applicazione dei criteri medesimi durante la correzioni degli elaborati;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, eccependo, in primo luogo, l’inammissibilità della questione, in quanto tesa ad ottenere implicitamente l’avallo di una data interpretazione giurisprudenziale, in assenza di un orientamento consolidato e qualificabile in termini di diritto vivente;

che, nel merito, l’interveniente ha sostenuto l’infondatezza della questione con riferimento a tutti i parametri invocati dal rimettente, sottolineando come anche i voti degli esami universitari sono espressi in termini numerici, senza che tale sistema abbia mai suscitato alcun dubbio di costituzionalità, che le valutazioni espresse dalle commissioni giudicatrici non sarebbero comunque sindacabili dal giudice amministrativo, se non nei casi di sviamento logico, errore di fatto o contraddittorietà rilevabili ictu oculi e, infine, che in ogni caso il giudice non si potrebbe ingerire nelle valutazioni costituenti discrezionalità tecnica dell’organo valutatore.

Considerato che il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sezione staccata di Brescia – dubita, con riferimento agli art. 24, primo e secondo comma, 111, primo e secondo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, della legittimità costituzionale dell’art. 22, nono comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 1934, n. 36, sostituito dall’art. 1-bis, decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, e degli artt. 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma, del regio decreto 23 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), nella parte in cui non prevedono l’obbligo di giustificare e/o motivare il voto verbalizzato in termini alfanumerici in occasione delle operazioni di voto stesso relative alle prove scritte d’esame per l’abilitazione alla professione forense;

che, come recentemente affermato da questa Corte (sentenza n. 20 del 2009, che ha dichiarato non fondata analoga questione di legittimità costituzionale), la disciplina censurata – che, in base al diritto vivente, non impone alla commissione una specifica modalità di motivazione delle determinazioni da essa assunte in merito alle prove scritte ed orali – concerne un’articolazione del procedimento amministrativo che regola gli esami per l’abilitazione alla professione forense;

che, dunque, detta disciplina incide esclusivamente sul profilo sostanziale dei requisiti di validità del provvedimento di esclusione del candidato e non chiama in gioco l’aspetto processuale degli strumenti predisposti dall’ordinamento per l’attuazione in giudizio dei diritti, non precludendo affatto il ricorso al giudice amministrativo;

che, pertanto, la stessa disciplina non può considerarsi idonea a interferire né con il diritto di difesa né con il principio del contraddittorio e si sottrae all’ambito di applicazione dei parametri invocati dal rimettente, i quali hanno tutti valenza in campo processuale;

che, quindi, la questione di costituzionalità è manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, comma 2, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 22, nono comma, del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578 (Ordinamento delle professioni di avvocato e procuratore), convertito, con modificazioni, dalla legge 22 novembre 1934, n. 36, sostituito dall’art. 1-bis, del decreto-legge 21 maggio 2003, n. 112 (Modifiche urgenti alla disciplina degli esami di abilitazione alla professione forense), convertito, con modificazioni, dalla legge 18 luglio 2003, n. 180, e degli artt. 17-bis, 22, 23 e 24, primo comma, del regio decreto 23 gennaio 1934, n. 37 (Norme integrative e di attuazione del regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, sull’ordinamento della professione di avvocato e di procuratore), sollevata, con riferimento agli artt. 24, primo e secondo comma, 111, primo e secondo comma, e 113, primo comma, della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia – Sezione distaccata di Brescia – con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Redazione