Rca: danni provocati da animali randagi e responsabilità degli Enti

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In punto di diritto in tema di danni causati da un animale su strada pubblica ai fini dell’affermazione della responsabilità degli enti (qui Comune ed Asl) è necessaria la precisa individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile agli stessi. Ciò implica che non è possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, in mancanza della puntuale allegazione e della prova.

Il principio è stato affermato dalla Corte di Cassazione, Sezione VI Civile, con l’ordinanza del 14 maggio 2018, n. 11591, mediante la quale ha accolto il ricorso e cassato con rinvio, in relazione ad esso (regime delle spese) quanto già deciso, nel caso de quo, dal Tribunale di Santa Maria Capua Vetere quale giudice d’appello.

La vicenda

La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che CAIO deduceva, davanti al Giudice di Pace di Capua, che nel 2006 la propria autovettura Mercedes aveva subito ingenti danni a causa dell’attraversamento improvviso da parte di un cane randagio della strada percorsa dal veicolo.

Per tale motivo evocava in giudizio la Asl competente per territorio ed il Comune di Utopia in Campania chiedendone la condanna in solido al risarcimento dei danni.

Con sentenza del 2008il Giudice di Pace dichiarava il difetto di legittimazione passiva del Comune di Utopia e rigettava la domanda, per difetto di prova circa la dinamica del sinistro.

Avverso tale sentenza Caio proponeva appello per ottenere la condanna dei convenuti, i quali chiedevano la conferma della impugnata sentenza.

Il Tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza n. 16XX/2016 rigettava l’impugnazione condannando l’appellante al pagamento delle spese di lite nei confronti dei due enti pubblici.

Avverso la decisione del Tribunale di Santa Maria Vetere Caio propone ricorso per cassazione affidandosi a tre motivi.

I motivi di ricorso

Per quanto è qui di interesse, il ricorrente con il primo motivo deduce la violazione dell’articolo 2043 c.c. e dell’articolo 40 del codice penale, oltreché degli articoli 2697 e 2700 c.c., nonché dell’articolo 115 c.p.c. avendo il Tribunale operato una errata valutazione delle prove.

In particolare, il verbale redatto dai carabinieri conteneva una ulteriore relazione di servizio proveniente dalla ASL in cui si attestava che i veterinari intervenuti nell’immediatezza provvidero a svincolare materialmente il cane randagio dall’autovettura e che vi era una fuoriuscita di liquidi dal radiatore, consentendo di desumere che l’auto, di ultima generazione, si era arrestata proprio a causa dell’impatto con l’animale.

Il ricorrente con il secondo motivo deduce la violazione degli articoli 2043 c.c, 115 e 116 c.pc. e dell’articolo 111 Cost, nonché vizio di motivazione rilevando che la presenza e l’attraversamento della strada da parte del cane risultavano acclarati sulla base delle relazioni di servizio descritte al punto precedente.

La decisione

La Corte di Cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 11591/2018, ha ritenuto i motivi non fondati ma fondato il terzo, riferito alle spese e qui non di interesse, ed ha accolto il ricorso.

Sui punti controversi, in particolare il secondo, la Suprema Corte ha osservato che il motivo è infondato, poiché “ai fini dell’affermazione della responsabilità degli enti evocati in giudizio è necessaria la precisa individuazione di un concreto comportamento colposo ascrivibile agli stessi. Ciò implica che non è possibile riconoscere una siffatta responsabilità semplicemente sulla base della individuazione dell’ente cui la normativa nazionale e regionale affida in generale il compito di controllo e gestione del fenomeno del randagismo e neanche quello più specifico di provvedere alla cattura ed alla custodia degli animali randagi, in mancanza della puntuale allegazione e della prova”.

Tale onere spetta all’attore danneggiato, in base alle regole generali e consiste nella allegazione e successiva dimostrazione della condotta obbligatoria esigibile dall’ente (nel caso di specie, omessa), e della riconducibilita dell’evento dannoso al mancato adempimento di tale condotta obbligatoria e ciò in base ai principi sulla causalità omissiva.

Questo equivale a dire che, applicandosi i principi generali in tema di responsabilità per colpa di cui all’art, 2043 c.c., non è sufficiente – per affermarne la responsabilità in caso di danni provocati da un animale randagio – individuare semplicemente l’ente preposto alla cattura dei randagi ed alla custodia degli stessi, non essendo materialmente esigibile – anche in considerazione della possibilità di spostamento di tali animali – un controllo del territorio così penetrante e diffuso, ed uno svolgimento dell’attività di cattura così puntuale e tempestiva da impedire del tutto che possano comunque trovarsi sul territorio in un determinato momento degli animali randagi.

Occorre dunque che sia specificamente allegato e provato dall’attore che, nel caso di specie, la cattura e la custodia dello specifico animale randagio che provocato il danno era nella specie possibile ed esigibile, e che l’omissione/tali condotte sia derivata da un comportamento colposo dell’ente preposto (ad esempio perché vi erano state specifiche segnalazioni della presenza abituale dell’animale in un determinato luogo, rientrante nel territorio di competenza dell’ente preposto, e c’è nonostante quest’ultimo non si era adeguatamente attivato per la sua cattura).

Diversamente, si finirebbe per applicare ad una fattispecie certamente regolata dai principi generali della responsabilità ordinaria per colpa di cui all’art. 2043 c.c., principi analoghi o addirittura più rigorosi di quelli previsti per e ipotesi di responsabilità oggettiva da custodia di cui agli artt. 2052 e 2053 c.c.

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Sentenza collegata

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Avv. Mancusi Amilcare

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