Emissioni odorose provenienti dal ristorante, s’incorre in contravvenzione

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Probabilmente siamo abituati a ritenere come solo comportamenti come lo sbattimento di qualche tappeto, lo scuotimento delle tovaglie o l’innaffiare le piante sul balcone imbrattando l’appartamento sottostante (Cfr.: Cass. pen. n. 15956/2014), possa integra una condotta penalmente rilevante e, in particolare, la contravvenzione di all’art. 674 c.p., a mente del quale, chiunque getta o versa, in un luogo di pubblico transito o in un luogo privato ma di comune o di altrui uso, cose atte a offendere o imbrattare o molestare persone, è punito con l’arresto fino ad un mese o con l’ammenda fino a 206 euro.

In realtà, risponde del reato contravvenzionale di “getto pericolo di cose”, previsto dalla suddetta norma, anche chi, fuori dai casi consentiti dalla legge, provoca emissioni di gas, di vapori o di fumo, atti a cagionare offese, imbrattare o molestare le persone.

Appare evidente dalla lettura della fattispecie sanzionatoria – rientrante nelle contravvenzioni disposte dal codice penale per le quali è prevista la pena alternativa dell’arresto ovvero della ammenda – che la norma è posta a salvaguardia della pubblica incolumità, pertanto, la condotta del soggetto attivo consistente nel lancio di cose ovvero nell’emissione di gas, vapori o fumi, deve comportare l’imbrattamento o la molestia delle persone, risultando conseguentemente escluso il reato in caso di danno a cose o oggetti.

 

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Ciò posto, un ristoratore capitolino è stato ritenuto dal Tribunale di Roma colpevole della contravvenzione di cui all’art. 674 Cp e condannato alla pena di 500,00 euro di ammenda, per avere provocato l’emissione di fumi e vapori maleodoranti nel cortile condominale, con conseguente molestia in danno degli utenti del condominio.

Propone appello, poi convertito in ricorso per cassazione l’imputato, il quale muove diverse censure nei confronti della sentenza di condanna.

La Corte di Cassazione, con l’ordinanza n. 44257, depositata in data 26 settembre 2017, dichiara inammissibile il ricorso, in considerazione del fatto che risulta impedito al giudice di legittimità la rilettura degli elementi di fatto (istruttori) posti a fondamento della decisione ma, in ogni caso, sostiene come “la sentenza in esame ha fatto buon governo del principio a mente del quale il reato di cui all’art. 674 cod. pen. (Getto pericoloso di cose) è configurabile anche in presenza di “molestie olfattive” promananti da impianto munito di autorizzazione per le emissioni in atmosfera (e rispettoso dei relativi limiti, come nel caso di specie), e ciò perché non esiste una normativa statale che preveda disposizioni specifiche – e, quindi, valori soglia – in materia di odori>> e che, al fine di valutare la presenza o meno della molestia, si deve tener conto del concetto di <<normale tollerabilità, previsto dall’art. 844 cod. civ. in un’ottica strettamente individualistica”.

Principio già sostenuto in precedenza, allorquando si è affermato che “la configurabilità dell’art. 674 cod. pen. è esclusa in presenza di immissioni provenienti da attività autorizzata e contenute nei limiti di legge, o dell’autorizzazione; osserva il Collegio, infatti, che queste pronunce si riferiscono a casi ben diversi dal presente, nei quali vi era piena corrispondenza “qualitativa” e “tipologica” tra le immissioni riscontrate e quelle oggetto del provvedimento amministrativo o disciplinate dalla legge, tra quelle accertate e quelle che l’agente si era impegnato a contenere entro determinati limiti; situazione nella quale, invero, il rispetto di questi ultimi implica una presunzione di legittimità del comportamento, concepita dall’ordinamento come necessaria per contemperare le esigenze di tutela pubblica con quelle della produzione economica (Sez. 3, n. 37495 del 13/7/2011; Sez. 3, n. 40849 del 21/10/2010; Sez. 3, n. 15707 del 9/1/2009)” (Cass. pen., n. 12019/2015)

Concludendo, in simili fattispecie, trovano applicazione i principi per cui: “a) l’evento del reato consiste nella molestia, che prescinde dal superamento di eventuali valori soglia previsti dalla legge, essendo sufficiente quello del limite della stretta tollerabilità; b) qualora difetti la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l’intensità delle emissioni, il giudizio sull’esistenza e sulla non tollerabilità delle stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni di testimoni, specie se a diretta conoscenza dei fatti, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell’espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma consistano nel riferimento a quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti”.

Sentenza collegata

52903-1.pdf 123kB

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Avv. Accoti Paolo

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