Iva e tributi armonizzati: sì al contraddittorio preventivo

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Viene in rilievo la sentenza in epigrafe con la quale la Suprema Corte si è nuovamente occupata dell’applicabilità dell’art. 12 dello Statuto del contribuente (Legge n. 212 del 2000) anche con riferimento alle verifiche fiscali conseguenti ad accertamenti bancari, ovvero “a tavolino”.

La decisione della Corte di legittimità

Ebbene la Suprema Corte, facendo leva su di un proprio precedente reso a Sezioni Unite nel 2015 (sent. n. 24823), ha ricordato come la citata previsione legislativa, in tema di tributi non armonizzati (quale l’IVA nel caso di specie) trovi applicazione solo nel caso in cui l’Amministrazione finanziaria proceda ad accertamenti conseguenti ad accessi, ispezioni e verifiche fiscali effettuate nei locali ove si esercita l’attività imprenditoriale o professionale del contribuente.

E ciò, a ben vedere – come ribadito dalla pronuncia in commento – a prescindere dal fatto che l’operazione abbia o meno comportato la constatazione di violazioni fiscali, in ragione delle peculiarità di dette verifiche, in quanto caratterizzate  dall’autoritativa intromissione dell’Amministrazione nei luoghi di pertinenza del contribuente alla diretta ricerca, quivi, di elementi valutativi a lui sfavorevoli: peculiarità, dunque, che giustifica, quale controbilanciamento, il contraddittorio, proprio al fine di correggere, adeguare e chiarire, nell’interesse del contribuente e della stessa Amministrazione, gli elementi acquisiti presso i locali aziendali.

Una interpretazione, questa, che sembrerebbe peraltro suggerita anche dal dato testuale della rubrica, intitolata ‘diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali’; nonché dal testo stesso dell’art. 12 cit. che, esplicitamente, si riferisce agli “accessi, ispezioni e verifiche fiscali nei locali destinati all’esercizio di attività commerciali, industriali, agricole, artistiche o professionali”.

Il contraddittorio endoprocedimentale

Inoltre, come ricordato dalle Sezioni Unite nel 2015, differentemente dal diritto dell’Unione europea, il diritto nazionale, allo stato della legislazione, non pone in capo all’Amministrazione fiscale che si accinga ad adottare un provvedimento lesivo dei diritti del contribuente, in assenza di specifica previsione, un generalizzato obbligo di contraddittorio endoprocedimentale, comportante, in caso di violazione, l’invalidità dell’atto.

Ne consegue che, in tema di tributi “non armonizzati”, l’obbligo dell’Amministrazione di attivare il contraddittorio endoprocedimentale, pena l’invalidità dell’atto, sussiste esclusivamente in relazione alle ipotesi, per le quali siffatto obbligo risulti specificamente sancito.

 

Invece, in tema di tributi “armonizzati”, avendo luogo la diretta applicazione del diritto dell’Unione, la violazione dell’obbligo del contraddittorio endoprocedimentale da parte dell’Amministrazione comporta in ogni caso, anche in campo tributario, l’invalidità dell’atto, purché, in giudizio, il contribuente assolva l’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere, qualora il contraddittorio fosse stato tempestivamente attivato, e che l’opposizione di dette ragioni (valutate con riferimento al momento del mancato contraddittorio), si rilevi non puramente pretestuosa e tale da configurare, in relazione al canone generale di correttezza e buona fede ed al principio di lealtà processuale, sviamento dello strumento difensivo rispetto alla finalità di corretta tutela dell’interesse sostanziale, per le quali è stato predisposto.

 

Sentenza collegata

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Avv. Cusumano Celine

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