La Cassazione su anatocismo, accettazione tacita e oneri probatori

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Di recente la Cassazione è nuovamente intervenuta sulla questione dell’onere probatorio nelle controversie riguardanti i rapporti bancari in conto corrente e, con la sentenza in esame, ha cristallizzato un orientamento che appariva già stabile.

La sentenza di appello successivamente impugnata per Cassazione, per la parte che a noi qui interessa, aveva trattato le questioni del “saldo zero” (affermando che se il credito esistente in un dato periodo, successivo all’inizio dei rapporti bancari, può essere ricostruito con prove diverse dagli estratti conto, “esso non può ritenersi pari a zero”), dell’omessa contestazione degli estratti conto e dell’errata applicazione di clausole invalide.

Per i Giudici di Legittimità, anzitutto, l’approvazione anche tacita degli estratti di conto corrente non implica l’insussistenza di addebiti illegittimi da parte della banca: essa non si estende alla validità ed efficacia dei rapporti obbligatori sottostanti, ma ha solo la funzione di certificare la verità storica dei dati riportati nel conto. Pertanto la omessa contestazione dell’estratto conto e la connessa (implicita) approvazione delle operazioni in esso annotate riguardano solo gli accrediti e gli addebiti considerati nella loro realtà effettuale. Da tanto si può far anche discendere che l’accettazione tacita seguente l’omessa contestazione, mancando un adeguato supporto probatorio da parte di chi avanza una determinata pretesa, non può costituire base di calcolo utilmente spendibile, dovendosi invece partire dall’azzeramento del saldo.

 

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Poi la Suprema Corte passa ad analizzare la questione principale, affermando che nei rapporti bancari in conto corrente, se è stata esclusa la validità della pattuizione degli interessi ultralegali a carico del correntista per mancanza dei requisiti di legge, grava sull’istituto di credito l’onere di provare l’entità degli importi mediante la produzione degli estratti a partire dall’apertura del conto. A tal riguardo inoltre la banca, al fine di sottrarsi a questo onere, non può neppure invocare l’insussistenza dell’obbligo di conservazione ultradecennale delle scritture contabili, essendo esso cosa diversa dall’obbligo di prova del proprio credito: in caso contrario, l’inesistenza di tale obbligo, per il decorso del tempo, potrebbe determinare una condizione di favore per la banca rispetto a una posizione creditoria solo prospettata, sollevandola dall’onere di dare piena dimostrazione del credito vantato. La banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione poiché tale obbligo è semmai volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale e non ad esimere dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore.

Tanto vale anche in ipotesi di illegittima applicazione di interessi anatocistici non dovuti: negata la validità della clausola sulla quale sono stati calcolati gli interessi, solo la produzione degli estratti conto a partire dall’apertura del conto corrente consente di determinare il saldo (creditore o debitore) attraverso l’integrale ricostruzione delle poste di dare ed avere, con l’applicazione del tasso legale.

La prova del saldo alla chiusura del conto, come tale inclusivo di capitali ed interessi, non consente di pervenire allo stesso livello di prova. Tale saldo infatti non solo non consente di conoscere quali addebiti, nell’ultimo periodo di capitalizzazione, siano dovuti ad operazioni passive per il cliente e quali alla capitalizzazione degli interessi, ma a sua volta discende da una base di computo che è il risultato di precedenti capitalizzazioni degli interessi. La produzione incompleta degli estratti conto, a maggior ragione se viene accertata una non consentita capitalizzazione degli interessi da parte dell’istituto di credito, non consente di avere a riferimento il saldo debitore di apertura del primo degli estratti conto prodotti, proprio perché in esso confluiscono interessi che in realtà non vanno contabilizzati poiché applicati in violazione di legge.

Si tratta di un principio ormai consolidato, rinvenibile da ultimo in Cass. 20.1.2017 n. 1584 e, andando più a ritroso, in Cass. 9.8.2016 n. 16829, Cass. 20.4.2016 n. 7972, Cass. 18.9.2014 n. 19696, Cass. 26.1.2011 n. 1842, Cass. 25.11.2010 n. 23974, Cass. 10.5.2007, n. 10692.

Pertanto la VI Sezione così conclude: nei rapporti bancari in conto corrente, una volta che sia stata esclusa la validità della pattuizione relativa agli interessi a carico del correntista, la banca ha l’onere di produrre gli estratti a partire dall’apertura del conto, né essa banca può sottrarsi all’assolvimento di tale onere invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni, perché non si può confondere l’onere di conservazione della documentazione contabile con quello di prova del proprio credito. Ed infine, una volta accertata la pattuizione di interessi non dovuti, il giudice di merito non può ritenere che la disposizione contrattuale non abbia trovato applicazione nel periodo non documentato negli estratti conto, salvo che la banca non alleghi e non provi il fatto modificativo o estintivo che determini la caducazione, totale o parziale, della disposizione stessa, o comunque la sopravvenuta sua inettitudine a regolamentare il rapporto in conformità di quanto in essa prescritto.

Sentenza collegata

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Palmo Matarrese

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