La particolare tenuità del fatto nei reati che prevedono soglie di punibilità

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Il Tribunale di Monza aveva affermato la responsabilità dell’imputato in ordine al reato di cui all’art. 186, commi 2, lettera b), e 2-bis, del codice della strada commesso il 15 marzo 2011. Successivamente la sentenza di primo grado era stata parzialmente riformata dalla Corte di appello di Milano, che ne aveva escluso l’aggravante di cui al richiamato comma 2 bis e ne aveva rideterminato la pena. L’imputato, pertanto, presentava ricorso per cassazione deducendo in particolare tre motivi. Con il primo motivo lamentava violazione di legge e vizio della motivazione in ordine alla mancata concessione della sospensione condizionale della pena. Infatti, contrariamente a quanto ritenuto nella pronuncia impugnata, l’imputato non ha mai subito condanne per reati analoghi e la precedente concessione del beneficio non era ostativa alla sua reiterazione. Con il secondo motivo invocava l’applicazione della causa di esclusione della punibilità di cui all’art. 131-bis cod. pen., ed infine denunziava la mancanza di motivazione in ordine alla richiesta di riduzione della pena. La Quarta Sezione penale, cui il ricorso era stato assegnato, aveva, pertanto rimesso alle Sezioni Unite la questione relativa alla compatibilità della causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto.

La decisione

La Suprema Corte, investita della questione “se la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto sia compatibile con il reato di guida in stato di ebbrezza”, con la sentenza n. 13681/2016 ha risolto il contrasto giurisprudenziale rappresentato dall’ordinanza di rimessione della Quarta Sezione n. 49824/201547. Preliminarmente va osservato come la decisione in commento prenda le mosse dalle coordinate ermeneutiche espresse nella sentenza Longoni, la quale aveva dato risposta positiva al quesito riconoscendo un principio di diritto assolutamente condivisibile: “la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto di cui all’art. 131 bis c.p. è applicabile anche al reato di guida in stato di ebbrezza non essendo incompatibile con il giudizio di particolare tenuità la previsione di diverse soglie di rilevanza penale all’interno della fattispecie tipica”. Si osserva nell’ordinanza “che trattandosi di reati intesi a proteggere la regolarità della circolazione e della sicurezza stradale, si potrebbe dedurre che non vi sia la possibilità di “graduare” l’offesa, come invece accadrebbe se il bene tutelato consistesse nell’incolumità del singolo”. Ed, in effetti, in relazione ai reati in esame lo stesso Legislatore pare aver predeterminato, configurandole quali aggravanti, le situazioni connotate da maggior pericolo per la sicurezza, quali ad es. l’ora notturna. Si potrebbe dunque ritenere che il Legislatore abbia già implicitamente escluso la possibilità di ritenere “particolarmente tenue” uno dei reati in esame.

Tuttavia, per le Sezioni unite, il suddetto ragionamento muove da una premessa errata, e cioè che il nuovo istituto sia legato unicamente a valutazioni concernenti l’offensività, mentre, osserva la Corte, “il fatto particolarmente tenue va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: le modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo, il grado della colpevolezza”. Il reato, infatti, deve necessariamente essere offensivo, perché in caso contrario difetta di tipicità. Dunque il nuovo istituto della tenuità attiene a fatti che sono certamente offensivi e pienamente riconducibili alla fattispecie legale, “essendo in questione non la conformità al tipo, bensì l’entità del suo complessivo disvalore”. Pertanto la causa di non punibilità richiede una valutazione complessiva che abbia ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, secondo una valutazione di tutti i caratteri della fattispecie concreta, “e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto”. La conclusione che ne traggono le Sezioni unite è che non esistano reati per i quali non sia possibile “la considerazione della modalità della condotta; ed in cui sia quindi inibita ontologicamente l’applicazione del nuovo istituto”. Ed è dunque evidente, a questo punto, che la pronuncia in esame concluda necessariamente per l’applicabilità del nuovo istituto al reato di guida in stato di ebbrezza, qualunque sia la soglia predeterminata per legge, ma è anche chiaro che la medesima conclusione si impone, necessariamente, per ogni altro reato che preveda soglie di punibilità o di rilevanza penale.

Inoltre, chiarisce la Corte, che la previsione di una soglia relativa al tasso alcoolemico ha proprio la funzione di individuare un disvalore minimo della situazione pericolosa. È evidente, dunque, che tanto più ci si allontana dalla soglia tanto più è verosimile che si trovi di fronte a fatti non tenui, ma è altresì chiaro che una condotta di poco superiore al limite normativamente previsto potrà essere comunque “tenue” nel caso concreto, sulla base di considerazioni attinenti alla modalità della condotta o alla colpevolezza. Sulla questione di carattere processuale, lamentata dal ricorrente, la Corte conclude e afferma il principio per cui “quando la sentenza impugnata sia anteriore alla novella, l’applicazione dell’istituto nel giudizio di legittimità va ritenuta o esclusa senza che si debba rinviare il processo nella sede di merito. Ove esistano le condizioni di legge, l’epilogo decisorio è costituito, alla stregua degli artt. 620, comma 1, lett. l), e 129 c.p.p., da pronunzia di annullamento senza rinvio perché l’imputato non è punibile a causa della particolare tenuità del fatto”. La soluzione adottata dalle Sezioni Unite non è esente da dubbi interpretativi. In particolare, la Corte sembra non considerare la circostanza per la quale vi sono fattispecie che per la loro stessa natura escludono la possibilità di ritenere la tenuità del fatto.

È bene ricordare inoltre, che l’art. 131bis configura un giudizio di tipo strettamente normativo e non soggettivistico. Ai fini della sua applicazione, occorre, pertanto, fare riferimento ai soli indici dell’esiguità del danno o del pericolo, alla modalità della condotta oltre che all’abitualità del comportamento. L’interpretazione della Corte sembra, invece, alterare il dato normativo dell’art. 131 bis ipotizzando un “rapporto di autosufficienza” alternativa degli indici-requisiti, come se non fosse necessario che entrambi debbano risultare congiuntamente. Invero, la mancata ricorrenza di uno di tali indici impedisce l’applicazione della causa di non punibilità. Tuttavia, nella prassi, probabilmente non si verificherà una larga applicazione dell’istituto de quo alla fattispecie di cui all’art. 186 comma 2 , si pensi ad esempio al fatto che l’autorità di pubblica sicurezza effettua i controlli in zone non isolate e in orari in cui stringente è la necessità di tutelare la sicurezza stradale, per cui saranno rari i casi in cui le circostanze di tempo e di luogo rendono esiguo il pericolo.

D’altronde qualora si negasse, l’applicabilità dell’istituto al reato in esame, tali ipotesi potrebbero non essere considerate di particolare tenuità e verrebbero punite, pur presentando un grado di offensività assai ridotto. Diversamente, a voler ritenere sempre applicabile l’art. 131-bis c.p. si corre il rischio di trasformare i reati di pericolo astratto in reati di pericolo concreto e l’evento del reato in una condizione obiettiva di punibilità.

 

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Avv. Fornaro Pasquale

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