Cessione del credito ipotecario successiva alla trascrizione del sequestro, cosa accade?

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Nel caso in cui la cessione di un credito ipotecario precedentemente insorto avvenga successivamente alla trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione del bene sottoposto a garanzia, tale circostanza non è in quanto tale preclusiva dell’ammissibilità della ragione creditoria, né determina di per sè uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest’ultimo dimostrare la buona fede.

(Annullamento con rinvio)

(Normativa di riferimento: D.lgs. n. 159 del 2011, art. 52)

Il fatto

Il Tribunale di Palermo rigettava l’istanza di ammissione del credito vantato dalla I. R. s.r.l. su beni oggetto di confisca nel procedimento di prevenzione nei confronti di G. G. e M. G..

Il credito di cui si chiedeva l’ammissione derivava da un contratto di mutuo, garantito da ipoteca iscritta il 7 aprile 1984, concesso dalla C. C. di Risp. per le P. S., a cui succedevano prima la S. s.p.a. e poi il B. di S. s.p.a., in favore della C. s.r.l. per l’acquisto di immobili, poi ceduto al G. e alla G. il 16 aprile 1986. Detto credito era ceduto, in blocco con altri in sofferenza, il 28 dicembre 2001 dal B. di S. alla I. F. s.r.I., e da quest’ultima in seguito alla I. R. s.r.I..

Il Tribunale, premesso che l’acquisto del credito da parte della I. R. era avvenuto successivamente alla trascrizione del sequestro di prevenzione disposto sugli immobili, risalente al 24 ottobre 2000, richiamava a sostegno della decisione reiettiva l’orientamento giurisprudenziale per il quale la tutela prevista dall’art. 1, comma 200, legge 24 dicembre 2012, n. 228, per i terzi titolari di crediti garantiti sui beni sottoposti a sequestro e a confisca di prevenzione, vale per i cessionari di tali crediti a condizione che risulti anche nei loro confronti la sussistenza, oltre che dei requisiti dell’assenza di strumentalità del credito all’attività illecita o dell’ignoranza in buona fede di tale strumentalità, anche dell’ulteriore condizione indicata dall’art. 52 d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159, richiamato dal citato comma 200, dell’anteriorità rispetto al sequestro, riferita in tal caso all’acquisto del credito. Rilevata per quanto detto l’insussistenza di tale condizione nel caso in esame e si osservava altresì come il requisito della buona fede non potesse comunque essere ravvisato per il solo fatto che la cessione del credito fosse avvenuta nella forma della cessione in blocco prevista dall’art. 58 d.lgs. 1 settembre 1993, n. 385, non incidente sugli oneri di diligenza imposti al titolare del credito garantito a fronte del pubblico interesse all’apprensione di beni provenienti dall’attività illecita.

Motivi addotti nel ricorso per Cassazione

La I. R. s.r.l. e la mandataria di quest’ultima C. C. M. s.p.a. proponevano ricorso per cassazione deducendo violazione di legge sulla ritenuta insussistenza dei presupposti per l’ammissione del credito, premettendo che la normativa vigente in materia non disciplina l’ipotesi della cessione del credito, e rilevando che la soluzione adottata con il provvedimento impugnato negherebbe qualsiasi tutela al creditore cedente in buona fede, di fatto impedendogli un’alienazione del credito che attribuirebbe al cessionario una presunzione assoluta di malafede, peraltro irragionevole nel caso della cessione in blocco dei crediti, corrispondente a quello esaminato, nel quale non sarebbe esigibile dal cessionario un dovere di diligenza che si spinga fino al controllo di ogni singolo credito acquisito.

Osservavano di contro i ricorrenti che al terzo cessionario in buona fede di un credito iscritto anteriormente al provvedimento di sequestro del bene non potesse che spettare la medesima tutela riconosciuta al creditore originario, e che la sussistenza del requisito della buona fede dovesse ritenersi insita nell’acquisto in blocco di crediti nell’ambito di un’attività professionale  evidenziando in proposito il contrasto dell’indirizzo giurisprudenziale seguito dal Tribunale con altro di segno contrario e con la giurisprudenza civilistica nel senso dell’assorbente rilevanza della buona fede del creditore, intesa come assenza di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita.

Questioni prospettate nell’ordinanza di rimessione

Con ordinanza del 9 gennaio 2018, la Quinta Sezione penale, investita dell’impugnazione, rilevava l’esistenza sul punto di due orientamenti giurisprudenziali contrastanti e, segnatamente, l’uno per il quale il terzo cessionario di un credito garantito da ipoteca su beni sottoposti a sequestro e a confisca di prevenzione gode della medesima tutela attribuita al creditore originario a condizione che risulti anche nei suoi confronti l’esistenza del dato temporale, individuabile nell’anteriorità della cessione rispetto al sequestro, quale presupposto necessario per la verifica della buona fede del cessionario, e l’altro per cui invece il riconoscimento di una situazione di affidamento incolpevole del cessionario non è precluso dal fatto che la cessione del credito sia avvenuta successivamente al sequestro, pur registrandosi all’interno di tale indirizzo una difformità fra pronunce che limitano tale conclusione al caso della cessione in blocco dei crediti ed altre, più recenti, che la estendono a tutte le fattispecie di cessione.

Detta Sezione, pertanto, rimetteva la questione alle Sezioni Unite per la soluzione del contrasto.

Argomentazioni svolte dalla Procura generale presso la Corte di Cassazione

Premesso che con decreto del 28 febbraio 2018 il Primo Presidente assegnava il ricorso alle Sezioni Unite, fissando per la trattazione l’odierna udienza camerale, il Procuratore generale, con requisitoria scritta, concludeva per il rigetto dei ricorsi rilevando, per un verso, la condivisibilità dell’orientamento giurisprudenziale per il quale non è necessaria l’anteriorità dell’acquisto del credito da parte del terzo cessionario rispetto al sequestro, ma, per altro, l’impossibilità in re ipsa di ravvisare l’ulteriore requisito della buona fede in una situazione nella quale il creditore cessionario, a differenza del cedente, acquisisce il credito successivamente alla trascrizione del sequestro, con l’onere di verificare la sussistenza di vincoli sui beni sottoposti ad ipoteca, il cui adempimento nel caso di acquisto di crediti in blocco è più difficoltoso, ma non inesigibile per un istituto bancario.

Valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni unite

Le Sezioni unite, prima di tutto, delimitavano il perimetro applicativo della questione sottoposta al loro scrutinio giurisdizionale nei seguenti termini: “Se la cessione, avvenuta dopo la trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione, del credito ipotecario precedentemente insorto, determini o meno di per sè uno stato di mala fede in capo al nuovo titolare, come tale preclusivo dell’ammissibilità della sua ragione creditoria”.

Posto ciò, si reputava all’uopo opportuno premettere che la questione, così come appena definita, dovesse essere tenuta distinta da quella relativa all’incidenza, sulla ravvisabilità del requisito della buona fede del cessionario, della circostanza per la quale la cessione del credito in discussione sia stata realizzata nell’ambito di un’operazione di acquisto in blocco di crediti, secondo le modalità previste dall’art. 58 d.lgs. n. 385 del 1993 trattandosi di una tematica in effetti adombrata nel provvedimento impugnato, e più ampiamente affrontata dai ricorrenti come fosse innegabile che le decisioni coinvolte nel contrasto giurisprudenziale segnalato sulla questione rimessa alle Sezioni Unite abbiano per lo più ad oggetto fattispecie concrete nelle quali la cessione del credito avveniva nelle modalità indicate fermo restando però che quest’ultima considerazione verte tuttavia su un profilo di mero fatto, che non assume effettiva rilevanza rispetto al problema della necessità o meno, ai fini dell’ammissione del credito, che la cessione dello stesso, con qualunque forma sia stata effettuata, sia avvenuta in epoca anteriore al sequestro o alla confisca del bene oggetto del credito; e, del resto, nello stesso decreto impugnato la problematica della significatività o meno della collocazione della cessione del credito in un’operazione di acquisto in blocco era accennata in via subordinata rispetto all’argomento, ritenuto decisivo per il rigetto dell’istanza, vertente sulla posteriorità della cessione rispetto al sequestro del bene.

Chiarito ciò, veniva altresì rilevato come l’attribuzione di tale decisività all’elemento cronologico indicato (ossia, come appena visto, la posteriorità della cessione rispetto al sequestro del bene) fosse per il vero coerente con la struttura testuale dell’art. 52, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011, che pone il dato dell’anteriorità al sequestro quale precondizione per l’ammissione del credito, disponendo al primo periodo che la confisca non pregiudica i diritti di credito dei terzi, che risultino da atti aventi data certa precedente al sequestro, e i diritti reali di garanzia costituiti in epoca anteriore a tale provvedimento; e prevedendo rispettivamente alle successive lettere a) e b) le ulteriori condizioni della mancanza, nella disponibilità del proposto, di altri beni idonei a garantire il soddisfacimento del credito, e dell’assenza di strumentalità del credito all’attività illecita o a quella che ne costituisca il frutto o il reimpiego ovvero della dimostrazione, da parte del creditore, della propria buona fede e dell’inconsapevole affidamento con riguardo a tale circostanza (altri requisiti sono prescritti alle lettere c) e d) per i casi, diversi da quello qui esaminato, in cui la pretesa del terzo sia fondata su una promessa di pagamento, una ricognizione di debito o un titolo di credito); si tratta difatti di presupposti che, ai sensi del comma 2 dell’appena citato art. 52, legittimano il creditore a concorrere al riparto sul valore del bene.

Prima di proseguire nel ragionamento decisorio, i giudici di Piazza Cavour si soffermavano sulla ratio che connota questo precetto normativo, così come individuato dalla Corte Costituzionale nell’ambito della decisione dichiarativa dell’illegittimità dell’art. 1, comma 198, legge n. 228 del 2012, nella parte in cui non includeva fra i creditori ipotecari, da soddisfare nei modi e limiti indicati dalla norma, i titolari di crediti da lavoro subordinato (Corte cost., sent. n. 94 del 2015); in questa pronuncia, difatti, i giudici di legittimità costituzionale osservavano come la necessità dell’insussistenza dì altri beni idonei al soddisfacimento del credito fosse funzionale allo scopo di impedire che i proventi dell’attività illecita siano utilizzati per liberare altri beni nella disponibilità del proposto; e che la prescrizione della mancanza di strumentalità del credito all’attività illecita fosse funzionale all’esigenza di escludere dalla tutela i crediti scaturiti da prestazioni connesse a quella attività ferma la possibilità, offerta al creditore, di dimostrare la propria buona fede in ordine alla strumentalità del credito, che si traduce, secondo i principi affermati sul punto dalla giurisprudenza di legittimità, nella mancanza di collusione del creditore nell’attività illecita, nell’inconsapevolezza dello stesso con riguardo a tale attività e nell’errore scusabile del predetto sulla situazione apparente del debitore (Sez. 6, n. 55715 del 22/11/2017, omissis, Rv. 272232; Sez. 6, n. 25505 del 02/03/2017, omissis, Rv. 270028; Sez. 6, n. 32524 del 16/06/2015, omissis, Rv. 264374; Sez. 2, n. 41353 del 11/06/2015, omissis, Rv. 264655; Sez. 5, n. 6449 del 16/01/2015, omissis, Rv. 262735).

Oltre a ciò, si evidenziava, sempre in relazione a quanto dedotto in sede di diritto vivente, come, anche per il presupposto dell’anteriorità, ossia quello che rilevava nel caso trattato dalla Cassazione nella pronuncia in commento, la Corte Costituzionale avesse evidenziato la funzione specifica della relativa previsione identificandola nel fine di evitare che gli effetti della misura di prevenzione patrimoniale vengano elusi attraverso la simulazione di crediti incidenti sul valore del bene confiscato.

Considerato quindi che la problematica sulla quale, secondo la Cassazione, andava posta in primo luogo l’attenzione, fosse quella della collocazione temporale della cessione del credito rispetto al sequestro del bene a cui il credito afferisce — naturalmente anche nel caso in cui lo stesso sia stato adottato contestualmente alla confisca, possibile secondo i principi affermati da queste Sezioni Unite (Sez. U, n. 20215 del 23/02/2017, omissis, Rv. 269589) — si trattava, sempre ad opinione degli ermellini, di stabilire se il requisito dell’anteriorità rispetto al provvedimento ablativo del bene, indicato dalla legge fra le condizioni per l’ammissione del credito, debba o meno connotare non solo il momento della costituzione del credito, ma anche quella della cessione dello stesso.

Chiarito ciò, i giudici di Piazza Cavour evidenziavano come nella giurisprudenza di legittimità vi fossero due orientamenti divergenti.

Secondo un primo indirizzo, la posteriorità della cessione del credito rispetto al sequestro precluderebbe di per sé al cessionario l’ammissione del credito (Sez. 2, n. 38821 del 28/03/2017, omissis, Rv. 271181; Sez. 2, n. 7694 del 11/02/2016, omissis, Rv. 266204; Sez. 2, n. 38821 del 01/07/2015, omissis, Rv. 264831; Sez. 2, n. 28839 del 03/6/2015, omissis, Rv. 264299; Sez. 2, n. 10770 del 29/01/2015, omissis, Rv. 263297; Sez. 2, n. 28841 del 03/6/2015, omissis), e si addiveniva a tale opzione ermeneutica sulla scorta del dato testuale per il quale l’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 non prevede alcuna distinzione, fra i crediti di cui si chiede l’ammissione, in base alla natura originaria ovvero derivata degli stessi; desumendone l’intento legislativo di attribuire al creditore cessionario una tutela analoga a quella offerta al creditore originario, e quindi soggetta alle stesse condizioni ed essendovi fra queste ultime quella dell’anteriorità rispetto all’apprensione del bene a cui il credito è relativo, e dovendo tale condizione essere riferita al momento dell’insorgenza della pretesa del creditore, per il cessionario dovrebbe aversi riguardo al titolo per il quale lo stesso ha specificamente acquisito il credito; e dunque all’atto di cessione, del quale sarebbe pertanto necessaria l’anteriorità rispetto al sequestro fermo restando che a questo deve aggiungersi, per la posizione giurisprudenziale in esame, il dato sistematico della tendenziale preferenza per l’interesse dello Stato all’acquisizione del bene oggetto di confisca, emergente dal complesso della normativa in tema di misure di prevenzione patrimoniali; che indurrebbe ad un’interpretazione restrittiva delle condizioni che consentono il soddisfacimento dei crediti dei terzi.

Secondo un secondo indirizzo, invece, per il quale l’essere la cessione del credito intervenuta in epoca posteriore al sequestro non ne esclude per ciò solo l’ammissione, viene in rilievo sempre il dato letterale rilevabile dal testo del citato art. 52, osservandosi che lo stesso non contempla l’ipotesi della cessione del credito ma, per un verso, la circostanza viene tuttavia valorizzata nel senso dell’esclusivo riferimento della norma ai crediti sorti anteriormente al sequestro e della conseguente irrilevanza delle vicende successive di tali crediti e, fra esse, della loro eventuale cessione (Sez. 6, n. 39368 del 15/06/2017, omissis, Rv. 271194; Sez. 6, n. 43126 del 15/06/2017, omissis), per altro verso, l’estensione del requisito dell’anteriorità al sequestro alla cessione del credito è stata considerata in questa prospettiva come una non consentita analogia in malam partem (Sez. 1, n. 57848 del 23/11/2017, omissis, Rv. 271618); sottolineandosi altresì, in questa ed in altre decisioni (Sez. 1, n. 39148 del 13/04/2017, omissis, Rv. 271190; Sez. 6, n. 2555 del 02/03/2017, omissis, Rv. 270028), che una lettura integrata dei commi 1 e 3 dell’art. 52 suggerirebbe l’inerenza delle finalità perseguite dal legislatore al rapporto diretto fra il creditore ed il proposto, evidentemente estraneo all’ipotesi nella quale il credito sia ceduto ad un terzo.

Sempre alla luce di questo orientamento nomofilattico, l’elemento testuale viene peraltro sviluppato con l’ulteriore rilievo per il quale la norma riferisce il requisito dell’anteriorità al credito, e non alla posizione giuridica del creditore; il che porterebbe a concludere che in tanto tale requisito possa essere attribuito anche all’atto con il quale il credito viene ceduto in quanto la cessione determini una sostanziale novazione del credito, dando vita ad un diverso rapporto del quale debba essere verificata la costituzione in epoca anteriore o successiva al sequestro ma si osserva per contro che la normativa civilistica esclude che la cessione del credito dia luogo ad una siffatta novazione dell’obbligazione, nel momento in cui prevede che il credito è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie e gli altri accessori (Sez. 1, n. 39157 del 4/5/2017, omissis) e dunque, per effetto della cessione, si verificherebbe unicamente la sostituzione al creditore originario del creditore cessionario, che si limiterebbe a subentrare nella stessa posizione giuridica del primo, comprendente, ove sussista in concreto, l’anteriorità del credito al sequestro (Sez. 5, n. 1841 del 24/11/2016, dep. 2017, omissis, Rv. 269123).

Infine, si evidenziava che, se per il contrario indirizzo, si fa riferimento al preminente interesse dello Stato all’acquisizione del bene confiscato, per quello appena esaminato, invece, viene presa in considerazione la tutela dei diritti del terzo pregiudicati dalla confisca (Sez. 1, n. 57848 del 23/11/2017, omissis, Rv. 271618), secondo i principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità (Sez. U, n. 9 del 28/04/1999, omissis, Rv. 213511).

Orbene, una volta analizzati questi due orientamenti ermeneutici, le Sezioni Unite ritenevano condivisibile il secondo orientamento, nel senso che la condizione dell’anteriorità rispetto al sequestro del bene oggetto di confisca, ai fini dell’ammissione al riparto del credito assistito da garanzia sul bene confiscato, è prevista per la costituzione del credito e non anche per l’eventuale cessione dello stesso.

Al riguardo si metteva in risalto prima di tutto che, se è vero come non vi fosse alcun dubbio che l’ipotesi della cessione del credito non sia assolutamente considerata nella disciplina dettata dall’art. 52 d. Igs. n. 159 del 2011 in tema di requisiti di ammissibilità del credito incidente sul bene confiscato, è altrettanto vero che tale dato negativo, tuttavia, non è di per sé univocamente indicativo a sostegno dell’una o dell’altra delle soluzioni fin qui assegnate dalla giurisprudenza di legittimità al problema in discussione essendo significativo in tal senso che ciascuno degli orientamenti in contrasto abbia valorizzato la circostanza a favore della tesi proposta, apprezzandosi la mancanza di riferimenti al caso della cessione, in un primo senso, quale dimostrativa dell’intento legislativo di ritenere necessarie per tale fattispecie tutte le condizioni prescritte per la costituzione del credito, ivi compresa l’anteriorità al sequestro; ma, nel senso opposto, attribuendosi tale mancata previsione alla volontà del legislatore di limitare il requisito dell’anteriorità al solo momento dell’insorgenza del credito, escludendolo per quella della cessione.

Non si reputava inoltre neppure decisivo il richiamo alla tendenziale preferenza dell’ordinamento per l’interesse dello Stato all’acquisizione dei beni confiscati dato che tale principio deve infatti essere coordinato con quello, anch’esso affermato nella giurisprudenza di legittimità in precedenza menzionata, della tutela delle posizioni creditorie dei terzi; tutela della quale devono per l’appunto essere definiti i limiti rispetto alle finalità perseguite con le misure di prevenzione.

Si rinvenivano invece plurimi elementi favorevoli all’ammissibilità del credito ceduto anche in epoca successiva al sequestro.

In primo luogo, si considerava la puntuale osservazione, presente in parte dell’indirizzo giurisprudenziale orientato nel senso appena indicato, sul dato normativo per il quale la disciplina prevista dall’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 appare testualmente riferita al credito, oggettivamente considerato, e non alla posizione creditoria del terzo dato che l’anteriorità rispetto al sequestro è in effetti menzionata al comma 1 quale attributo del diritto di credito; e al credito sono associate le ulteriori condizioni dell’impossibilità di soddisfacimento su beni diversi da quelli confiscati, alla lett. a), e dell’assenza di strumentalità all’attività illecita, alla lett. b).

In secondo luogo, si stimava di particolare rilevanza il riferimento del comma 1 dell’articolo commentato ai diritti reali di garanzia gravanti sul bene confiscato, che in concreto pongono in rapporto il terzo creditore, e in quanto tale titolare di siffatti diritti, con il bene dato che il requisito dell’anteriorità è specificamente previsto anche con riguardo a tali diritti; e, a questi fini, i diritti tutelati sono indicati in quelli «costituiti in epoca anteriore al sequestro» e il termine di valutazione dell’anteriorità rispetto al sequestro è dunque espressamente indicato nel momento della costituzione del diritto reale collegato al credito.

Tal che se ne faceva conseguire che, in presenza di questa chiara espressione normativa, l’attribuzione della condizione dell’anteriorità anche alla successiva evenienza della cessione del credito presupporrebbe un’interpretazione estensiva, o addirittura analogica come rilevato in talune pronunce di legittimità, tale da richiedere ulteriori elementi indicativi dell’assimilabilità della cessione del credito alla costituzione dello stesso mentre, e invece, come verrà esposto dalla Cassazione nel prosieguo del suo ragionamento decisorio (che vedremo da qui a poco), emergono elementi di segno contrario.

Difatti, un primo elemento in tal senso discende dal fatto che la stessa natura della fattispecie giuridica della cessione del credito a rendere quest’ultima non assimilabile ad un fenomeno costitutivo del credito stesso e dei diritti reali di garanzia ad esso associati; e ciò in quanto la cessione non integra alcuna novazione del rapporto obbligatorio ceduto atteso che la novazione è descritta dall’art. 1230 cod. civ. quale estinzione dell’obbligazione originaria a seguito della sostituzione della stessa, ad opera delle parti, con una nuova obbligazione avente oggetto o titolo diverso, accompagnata dall’inequivoca manifestazione della volontà di estinguere l’obbligazione precedente, e tanto non si verifica nell’ipotesi della cessione del credito, nella quale, come disposto dall’art. 1263, comma 1, cod. civ., «il credito ceduto è trasferito al cessionario con i privilegi, le garanzie personali e reali e gli altri accessori»; e quindi, come precisato dalla giurisprudenza civilistica di legittimità, con tutte le utilità che il creditore può trarre dall’esercizio del diritto ceduto, intendendosi come tale ogni situazione direttamente collegata con il diritto stesso e che, in quanto priva di profili di autonomia, integri il suo contenuto economico o ne specifichi la funzione (Sez. 1 civ., n. 2978 del 16/02/2016, Rv. 638677); pertanto, in conseguenza di ciò, la cessione del credito, secondo i principi pure affermati dalla Corte Suprema in sede civile, ha efficacia meramente derivativa (Sez. 5 civ., n. 9842 del 20/04/2018, Rv. 648359), e non novativa o sostitutiva dell’obbligazione; ad essere sostituito è solo il creditore originario, al quale il cessionario subentra nella stessa posizione giuridica (Sez. 3 civ., n. 20548 del 20/10/2004, Rv. 577782).

Da ciò si perveniva a concludere negativamente in ordine alla possibilità di riferire alla cessione del credito una previsione normativa, quale quella dell’art. 52 d.lgs. n. 159 del 2011 in tema di anteriorità al sequestro essendo tale norma dettata esplicitamente per la costituzione del diritto reale di garanzia afferente al credito mentre questa fattispecie non è ravvisabile nel mero trasferimento dello stesso diritto dal creditore originario al creditore cessionario, ma alla quale neppure tale trasferimento può essere in alcun modo ricondotto in termini tali da giustificare un’interpretazione che estenda allo stesso la disciplina prevista per il momento costitutivo del diritto.

Altro elemento, di segno positivo, sempre ostativo all’assimilabilità della cessione del credito alla costituzione dello stesso, consisteva nel fatto che la ricostruzione della cessione del credito, quale trasferimento al creditore cessionario delle garanzie reali e di tutti gli accessori del credito, nell’ampio significato in precedenza specificato per tale definizione, implica che il cessionario, subentrando nella stessa posizione giuridica del cedente, assume la titolarità del credito anche nella possibilità di far valere le condizioni, a quel credito afferenti, per l’ammissione dello stesso al riparto in caso di confisca del bene oggetto del diritto di garanzia associato al credito; e fra esse, pertanto, l’anteriorità della costituzione originaria del credito rispetto al sequestro del bene, che ove sussistente permane in capo al cessionario anche laddove lo stesso abbia acquisito il credito successivamente al sequestro (soluzione ermeneutica che, tra l’altro, trova ulteriore sostegno nella sua conformità alla ratio della previsione normativa della necessaria anteriorità del credito al sequestro, individuata dalla Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 94 del 2015, nella finalità di impedire l’elusione degli effetti della misura di prevenzione reale con la simulazione di crediti gravanti sul bene confiscato visto che è evidente come la cessione di un credito effettivamente esistente sia estranea ad un fenomeno simulatorio riguardante la stessa sussistenza del credito).

A questo punto della disamina gli ermellini osservano inoltre come le conclusioni appena acquisite in ordine alla possibilità, per il creditore cessionario, di avvalersi delle condizioni di ammissibilità del credito esistenti in capo al creditore originario, fra gli altri accessori del credito nei quali il cessionario subentra, si rilevavano decisive anche per la risposta al quesito su un ulteriore aspetto della questione rimessa alle Sezioni Unite, riguardante l’incidenza della posteriorità della cessione rispetto al sequestro sulla buona fede del creditore (la quale costituisce una condizione di ammissibilità del credito diversa ed ulteriore rispetto a quella dell’anteriorità al sequestro).

A questo proposito si faceva presente come tale distinzione (tra cessione del credito e sequestro) fosse stata del resto alla base delle conclusioni formulate nella requisitoria del Procuratore generale; con le quali per un verso si aderiva alla tesi che vede come non necessaria l’anteriorità della cessione del credito al sequestro, ma per altro si sosteneva che la posteriorità della cessione rispetto alla trascrizione del sequestro porrebbe inevitabilmente il cessionario in una situazione di malafede, incombendo sullo stesso l’onere di verificare la mancanza di vincoli sul bene oggetto della garanzia afferente al credito acquistato fermo restando che cotale posizione, tuttavia, si giustifica solo in quanto si intenda quale pregiudizievole, per la sussistenza del presupposto della buona fede del creditore, la conoscenza o la conoscibilità della mera apposizione sul bene del vincolo costituito dal sequestro il quale a sua volta altro non costituisce che il presupposto in presenza del quale la legge impone la verifica delle condizioni richieste perché il credito del terzo, incidente sul bene confiscato, possa essere ammesso al riparto; in altri termini, rilevava la Corte sempre in questa pronuncia, il sequestro del bene non esclude, per la stessa previsione normativa, che un credito garantito gravante sullo stesso possa essere soddisfatto, in presenza delle condizioni che lo consentono; di conseguenza, la conoscenza o la conoscibilità del sequestro non esclude che il creditore possa vantare comunque la sussistenza di quelle condizioni, in presenza delle quali la sua ragione di credito è tutelata anche a fronte dell’interesse dello Stato all’acquisizione del bene confiscato anche perché la buona fede del creditore, che integra una di tali condizioni, ha ad oggetto, nella previsione dell’art. 52, comma 1, lett. b) d.lgs n. 159/2011, l’assenza di strumentalità del credito rispetto all’attività illecita del proposto o a quella che ne costituisce il frutto o il reimpiego; e in quanto tale può ben ricorrere, come è del resto implicito nella previsione normativa di ammissibilità del credito in presenza di tale condizione, anche laddove il bene sia successivamente sottoposto a sequestro.

Di conseguenza, nel caso in cui il credito sia ceduto in epoca posteriore alla trascrizione del sequestro, il creditore cessionario può comunque avvalersi della condizione di buona fede sussistente in questi termini in capo al creditore originario al quale è subentrato nella stessa posizione; ed è pertanto irrilevante nei suoi confronti la possibilità che egli sia o possa essere a conoscenza, al momento dell’acquisto del credito, di un vincolo che non gli impedisce il soddisfacimento del credito per effetto di quella condizione.

Tal che le Sezioni unite davano risposta negativa alla questione posta con la rimessione con riguardo sia all’essere di per sé preclusiva delle ragioni creditorie la circostanza della cessione, in epoca successiva al sequestro, di un credito ipotecario sorto precedentemente al sequestro su un bene poi sottoposto a confisca, sia alla prospettata esclusione della buona fede del creditore cessionario per il solo fatto che il credito sia stato ceduto successivamente alla trascrizione del sequestro del bene.

Da ciò se ne faceva conseguire, come logico corollario, che al creditore cessionario sia consentito provare l’esistenza delle condizioni per l’ammissione del credito garantito anche laddove abbia acquisito lo stesso successivamente al sequestro del bene oggetto della garanzia.

Altro tema trattato, nella pronuncia in esame, quale ulteriore conseguenza della ricostruzione dei rapporti fra il creditore originario ed il creditore cessionario nei termini della successione di quest’ultimo nella stessa posizione creditoria del primo, afferiva al fatto che — oltre al presupposto dell’anteriorità al sequestro — anche la condizione della buona fede del creditore sull’assenza di strumentalità all’attività illecita deve sussistere all’epoca della costituzione del credito e in capo al creditore originario dato che tale conclusione, peraltro indiscussa nel dibattito giurisprudenziale, comporta che il creditore cessionario è chiamato fra l’altro a provare, ai fini dell’ammissione del credito, la sussistenza originaria del requisito della buona fede nei termini appena indicati, oltre alla buona fede propria sotto il profilo, segnalato dalla giurisprudenza di legittimità, della mancanza di accordi fraudolenti con il proposto (Sez. 1, n. 57848 del 23/11/2017, omissis, Rv. 271618).

Si rilevava infine opportuno come ai fini di tale prova non potesse ritenersi decisiva la circostanza per la quale il credito sia stato acquisito nell’ambito di un’operazione di acquisto di crediti in blocco, conformemente a quanto previsto dall’art. 58 d.lgs. n. 385 del 1993 stante il fatto che il ricorso a questa pratica, che costituisce unicamente una particolare modalità di cessione del credito, non esime infatti il cessionario dagli oneri di verifica sulla originaria sussistenza dei 12 requisiti di ammissibilità dei crediti; il cui adempimento dovrà pertanto essere comunque dimostrato, non potendo in particolare il cessionario affidare la prova della buona fede al mero richiamo a tale particolare forma di acquisizione del credito.

Infine, si addiveniva a formulare il seguente arresto giurisprudenziale: “Nel caso in cui la cessione di un credito ipotecario precedentemente insorto avvenga successivamente alla trascrizione del provvedimento di sequestro o di confisca di prevenzione del bene sottoposto a garanzia, tale circostanza non è in quanto tale preclusiva dell’ammissibilità della ragione creditoria, né determina di per sè uno stato di mala fede in capo al terzo cessionario del credito, potendo quest’ultimo dimostrare la buona fede”.

Conclusioni

La sentenza in questione si appalesa condivisibile in quanto frutto di un articolato e ben ponderato ragionamento giuridico.

Nel rinviare, in ordine alle argomentazioni addotte per la scelta di un indirizzo ermeneutico, anziché di un altro, a quanto già enunciato in precedenza, è sufficiente rilevare come, attraverso la formulazione del principio di diritto appena citato, gli ermellini abbiano inteso tutelare anche la  posizione del cessionario del credito ipotecario nel caso in cui il credito sia ceduto in epoca posteriore alla trascrizione del sequestro in quanto il creditore cessionario può comunque avvalersi della condizione di buona fede sussistente in capo al creditore originario al quale è subentrato nella stessa posizione, oltre alla propria (nel senso di non avere pattuito accordi fraudolenti con il proposto) purchè vengano provate da costui.

Orbene, la condivisibilità di tale approdo ermeneutico discende proprio dal fatto che, nel momento in cui si appura che il terzo cessionario del credito ipotecario sia stato in buona fede, come il creditore originario, non si vedono le ragioni perché il terzo cessionario possa essere pregiudicato nelle sue ragioni creditorie.

In questo caso, difatti, viene in rilievo il principio che ispira l’orientamento recepito in questo arresto giurisprudenziale ossia, come visto prima, la tutela dei diritti del terzo pregiudicati dalla confisca che, nell’ottica di un ragionevole bilanciamento tra diversi interessi meritevoli di tutela da parte del nostro ordinamento giuridico, dovrebbe prevalere rispetto al preminente interesse dello Stato all’acquisizione del bene confiscato (al quale, come anche in questo caso già esaminato prima, si ispira l’altro filone interpretativo).

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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