Il concordato fallimentare e le società correlate

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Sono escluse dal voto sulla proposta di concordato fallimentare e dal calcolo delle maggioranze le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo“. Questo è quanto ha sancito la Suprema Corte con la sentenza n. 17186/18, su ricorso contro il decreto della Corte d’appello che ha negato che nella procedura di concordato fallimentare sia configurabile un conflitto d’interessi.

 Il fatto

Le società creditrici A e B proponevano un concordato a chiusura del fallimento della società C, prevedendo il pagamento del 30% dei creditori chirografari, ad eccezione di quelli spettanti alle società Alfa e Beta, che sarebbero stati regolati a parte. La proposta delle società A e B veniva approvata con il voto favorevole anche delle società Alfa e Beta.

L’omologazione veniva negata dal Tribunale di Roma a seguito dell’opposizione di Tizio, Caio e della società D. Il Tribunale di Roma riteneva che la proposta fosse stata approvata da una maggioranza illegittima poiché comprendente anche il voto delle società Alfa e Beta che, essendo parte del gruppo societario di appartenenza delle proponenti, dovevano, invece, essere escluse dalla votazione a causa di un conflitto di interesse. D’Altro canto, la Corte d’appello negava la configurabilità del conflitto di interessi nella procedura di concordato fallimentare e, dunque, accoglieva il reclamo delle società proponenti.

Il concordato fallimentare

Il concordato fallimentare è una sub-procedura che esplica la sua essenza all’interno di una procedura fallimentare già in corso che è incamminata già verso un percorso liquidatorio.  Il concordato costituisce un vero e proprio modo di chiusura della procedura fallimentare in itinere.

In generale, la procedura, ponendosi su un piano privatistico, consente ai creditori di pronunciarsi su una proposta tendente ad una loro parziale “soddisfazione”, con esdebitazione del fallito per la parte residua dei crediti. Il contenuto della proposta di concordato fallimentare ha, quindi, come finalità principale la soddisfazione dei creditori.

I soggetti a cui è assegnato il potere di iniziativa rendono il concordato fallimentare peculiare e differente rispetto al concordato preventivo. In effetti, la proposta potrà essere presentata soltanto da uno o più creditori, ovvero da un terzo (l’assuntore nel concordato con assunzione). Il fallito potrà presentare tale proposta solo dopo il decorso di un anno dalla dichiarazione di fallimento.

La proposta concordataria deve essere successivamente presentata con ricorso al giudice delegato che, acquisiti i pareri del curatore e del comitato dei creditori, procederà alla comunicazione ai creditori della proposta unitamente ai pareri al fine di consentire la votazione – della proposta – dei creditori.

I legittimati al voto saranno i creditori chirografari e, equiparati a questi ultimi, i creditori muniti di privilegio, pegno o ipoteca, ma solo nella misura in cui la proposta non ne preveda l’integrale pagamento ovvero qualora rinuncino, anche parzialmente, al diritto di prelazione.

La pronuncia della Corte

Proprio per quanto attiene ai legittimati alla votazione si va a incardinare la problematica risolta, tramite la sentenza in esame, dalla Suprema Corte. Difatti, l’art. 127 V e VI comma del R.D. 267/1942 (legge fallimentare) sancisce chiaramente che sono esclusi dal voto e dal computo delle maggioranze il coniuge del debitore, i suoi parenti ed affini fino al quarto grado e coloro che sono diventati cessionari o aggiudicatari dei crediti di dette persone da meno di un anno prima della dichiarazione di fallimenti, nonché le società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo, mentre nulla afferma relativamente al creditore proponente o le società che controllano la società proponente o sono da essa controllate o sono sottoposte a comune controllo (c.d. società correlate).

Innanzitutto è necessario esaminare la situazione del creditore proponente essendo tale questione pregiudiziale rispetto a quella delle società correlate. La problematica concerne il fatto che egli, avendo la maggioranza necessaria, possa riuscire ad approvare da solo la sua stessa proposta e se, dunque, data la forte componente privatistica della vicenda, sia applicabile l’istituto del conflitto d’interessi.

La Suprema Corte risolve la problematica con la sentenza in esame chiarendo, preliminarmente, che “perché sia configurabile un conflitto di interessi di un soggetto, in quanto parte di una collettività” è necessario che si verifichi un “contrasto” tra “un suo interesse individuale con l’interesse comune all’intera collettività”.

Successivamente la Corte afferma che è “un dato di fatto la mancanza, nella legge fallimentare, di una norma generale (…), che disciplini il conflitto d’interesse dei creditori nel voto sul concordato”. Tuttavia, nonostante questa carenza,  lo stesso art. 127 comma V l. fall., negando la legittimazione alla votazione a determinati soggetti (ad es. il coniuge), indica alcuni casi che possono essere ricompresi proprio nelle tipiche ipotesi di conflitto di interesse.

Gli Ermellini proseguono affermando che “l’esigenza di sterilizzazione dei conflitti d’interesse” è “imposta dal fondamentale principio dell’autonomia privata, nella quale anche il concordato fallimentare si iscrive per i suoi (…) profili contrattualistici” e che “tra chi formila la proposta di concordato e i creditori che tale proposta sono chiamati ad accettare (…) vi è un contrasto di interessi di carattere immanente”, essendo interessato “il primo, a concludere l’accordo con il minor esborso possibile” e, d’altro canto, “gli altri a massimizzare la soddisfazione dei loro crediti”.

Prendendo in considerazione il principio di autonomia privata, l’ipotetica situazione in cui lo stesso proponente possa andare a votare la proposta “si collocherebbe al di fuori del sistema”  poichè andrebbe a confliggere con la nozione di contratto andando ad “assoggettare i creditori alla volontà, in ipotesi decisiva, della loro stessa controparte”. Occorre ora analizzare, invece, la questione relativa alle società correlate alla società proponente.

Il comma VI dell’art. 127 l. fall., come precedentemente visto, indica che la disciplina di cui al comma V “si applica ai crediti delle società controllanti o controllate o sottoposte a comune controllo”. Secondo la Corte, interpretando estensivamente tale assunto, è possibile applicarlo “anche a tutte le ipotesi di esclusione dal voto per conflitto di interessi” relativo alle società correlate, poiché “la loro volontà (voto) è efficacemente condizionata o condizionabile dai soggetti che direttamente versano in situazione di conflitto” e che “non vi è alcua ragione per ritenere che tale logica valga esclusivamente quanto al conflitto d’interesse dei creditori congiunti del fallito (V comma), e non anche quanto a quello del creditore proponente”.

In conclusiva può affermarsi che sia il creditore (rectius, la società) proponente sia le società correlate alla società proponente non potranno votare la proposta concordataria poiché in conflitto di interessi.

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