Licenziamento illegittimo, se si fonda su e-mail semplici

Redazione 30/04/18
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La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con sentenza n. 6425 del 15 marzo 2018, ha confermato le statuizioni di merito e ribadito l’illegittimità del licenziamento per giusta causa intimato ad un dipendente, con le conseguenze reintegratorie e risarcitorie di cui alla Legge n. 300/1970.

La Corte d’appello aveva preso atto che le contestazioni mosse al dipendente (presunte irregolarità riscontrate in alcune procedure), si basavano in gran parte su messaggi di posta elettronica “semplice” prodotti dalla società datrice. Osservavano in proposito i giudici territoriali, come la valenza di detti messaggi acquisiti dal datore in relazione all’account aziendale del lavoratore, fosse dubbia, trattandosi di corrispondenza la cui acquisizione avrebbe richiesto determinate garanzie e l’intervento dell’autorità giudiziaria (in quanto lo stesso datore di lavoro, che aveva la piena disponibilità del server aziendale, avrebbe potuto modificarne il contenuto). Si trattava, d’altra parte, di e-mail tradizionali e non di posta elettronica certificata e sottoscritta con firma digitale, che avrebbe invece garantito la identificabilità dell’autore e l’identità del documento.

Avverso la statuizione di secondo grado, proponeva ricorso la società datrice, censurando, tra i vari altri motivi, la scelta di aver escluso valenza probatoria alle predette e mail prodotte dalla società – in violazione degli artt. 2702 e 2712 c.c. – rispetto alle quali sarebbe stato possibile, per il giudice di merito, articolare un ragionamento presuntivo.

Efficacia probatoria dei documenti informatici

Sul punto la Cassazione, respingendo la censura, ha chiarito come un messaggio di posta elettronica semplice non sia idoneo, di per sé, a provare i fatti da cui è dipeso il licenziamento del dipendente, andando poi a tracciare la differenza rispetto ad altro strumento informatico ritenuto più attendibile, ossia la posta elettronica certificata.

E- mail tradizionale è liberamente valutabile dal giudice

Nello specifico, il messaggio di posta elettronica rientra nella categoria dei documenti informatici ai sensi dell’art. 1 D.Lgs. n. 82/2005. La stessa normativa, tuttavia, all’art. 21, attribuisce l’efficacia di cui all’art. 2702 c.c., solo al documento sottoscritto con firma elettronica avanzata, qualificata e digitale, mentre è liberamente valutabile dal giudice, ex art. 20 cit. D.Lgs. n. 82/2005, l’idoneità di ogni diverso documento informatico (come appunto l’e-mail tradizionale) a soddisfare il requisito della forma scritta, in relazione alle sue caratteristiche oggettive di qualità, sicurezza, integrità ed immodificabilità.

Ora – prosegue la sezione lavoro – la pronuncia impugnata non mette in discussione la sussistenza di una corrispondenza sull’indirizzo di posta elettronica del dipendente, ma ritiene che non vi siano sufficienti elementi per far risalire il relativo contenuto e la paternità al dipendente (si rammenta, il contenuto avrebbe potuto essere modificato dal datore).

Fonti di convincimento del giudice, incensurabili in sede di legittimità

Oltretutto, concludono gli Ermellini, il libero convincimento del giudice, così come il mancato ricorso al ragionamento presuntivo, non è censurabile in sede di legittimità. La medesima Corte Suprema, in altre occasioni, ha avuto modo di chiarire che spetta, in via esclusiva, al giudice di merito individuare le fonti del proprio convincimento, controllarne l’attendibilità e concludenza, nonché scegliere tra le complessive risultanze, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti sottesi.

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