Denuncia il datore lavoro, niente licenziamento

Redazione 19/06/18
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La proposizione, da parte del dipendente, di denuncia penale nei confronti del datore del lavoro per fatti illeciti dei quali sia venuto a conoscenza, non costituisce giusta causa o giustificato motivo di licenziamento, ma legittimo esercizio di diritti derivanti dagli articoli 21 e 24 Cost.. Ciò, a meno che non si dia prova della precipua volontà di danneggiare il datore di lavoro mediante false accuse, ovvero del superamento della soglia del rispetto della verità oggettiva con colpa grave o dolo, e fatta salva l’ipotesi in cui il dipendente, nel propagare la notizia in ambito lavorativo, abbia arrecato offesa all’onore ed alla reputazione del datore di lavoro.

Irrilevante la risonanza mediatica della denuncia

Anche la risonanza mediatica della denuncia, di per sé, costituisce elemento irrilevante ai fini disciplinari e non può essere addebitabile al dipendente, tranne nei casi in cui essa sia provocata artatamente dalla condotta dello stesso denunciante, o quando il contenuto della notizia sia falsato per effetto del suo intervento.

Sulla base di questi principi la Corte di Cassazione, sezione lavoro, con ordinanza n. 14393 del 5 giugno 2018, ha respinto il ricorso di una s.r.l. avverso la pronuncia che aveva dichiarato illegittimo il licenziamento intimato ad un dipendente, confermandone la sussistenza del rapporto di lavoro subordinato e condannando la stessa società ricorrente al pagamento delle differenze retributive.

Denuncia del datore non lede, di per sé, l’obbligo di fedeltà

Respinta dunque la doglianza sollevata, circa la denuncia effettuata dal lavoratore di un comportamento datoriale di rilevanza penale. Ciò che non ha di per sé – spiegano gli Ermellini – alcuna efficacia dirimente in ordine alla lesione dell’obbligo di fedeltà del lavoratore. Per cui il richiamo della ricorrente al predetto obbligo, si rivela del tutto incongruente rispetto all’individuazione codicistica dell’obbligo di fedeltà ex art. 2105 c.c.

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