Agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope

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Per la configurabilità del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 79, comma 2, si richiede che un soggetto il quale abbia la disponibilità di un immobile, di un ambiente o di un veicolo, lo adibisca, o consenta che altri lo adibiscano a luogo di convegno abituale di persone che si diano all’uso di sostanze stupefacenti.

(Ricorso dichiarato inammissibile)

Orientamento confermato.

(Normativa di riferimento: d.P.R. 9-10-1990, n. 309, art. 79, c. 2)

Il fatto

Con sentenza emessa in data 22/10/2015, il Tribunale di Catania dichiarava: S.G. colpevole dei reati di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 79, comma 2, (capo A dell’imputazione), agli artt. 81 e 385 c.p. e alla L. n. 354 del 1975, art. 47-ter (capo B dell’imputazione) e lo condannava alla pena di anni tre di reclusione ed Euro 4000,00 di multa; M.A. colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 110 c.p. e al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 1, (capo D dell’imputazione) e lo condannava alla pena di anni quattro, mesi tre di reclusione ed Euro 18.000,00 di multa.

Con la sentenza n. 2840/16 del 05/10/2016, la Corte di Appello di Catania, adita dagli imputati, in riforma della sentenza di primo grado, qualificato il reato ascritto a M.A. ai sensi del D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, determinava la pena inflitta al predetto imputato in anni due e mesi undici di reclusione ed Euro 12.000,00 di multa, confermando nel resto.

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questa decisione ricorrevano gli imputati per il tramite dei loro difensori attraverso la formulazione dei seguenti motivi: (per il primo imputato) I) vizi motivazionali in riferimento alla responsabilità penale dell’imputato deducendosi che la parte motiva della sentenza non dava contezza di tutte le osservazioni della difesa e non offriva un vaglio critico degli atti processuali, limitandosi ad una sommaria affermazione della responsabilità, contenuta in poche righe, senza alcuna motivazione concreta in ordine, in particolare, alle dichiarazioni rese dai testi, le quali fondavano la sussistenza del c.d. uso di gruppo; II) vizi motivazionali in riferimento alla severità della pena atteso che la Corte, nel riconoscere i fatti in contestazione rientranti nella ipotesi criminosa di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5, era partita dal massimo della pena prevista dalla fattispecie incriminatrice in questione, ignorando la condizione di tossicodipendenza di uno degli imputati; III) violazione di legge per non aver considerato le concesse attenuanti generiche anche in riferimento alla sanzione ritenuta in continuazione interna dato che la Corte territoriale aveva ritenuto di concedere le attenuanti generiche e pertanto aveva diminuito la pena base, senza tuttavia diminuire anche l’ulteriore segmento di pena, aggiunto a titolo di continuazione interna; (per il secondo imputato): I.A.) violazione di legge in relazione al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 79, comma 2 osservandosi altresì che la norma si riferisce all’”incentivare il consumo“, e quindi non riguarda il caso che occupa poichè trattasi di soggetti tutti tossicodipendenti da diversi anni; la norma che si presume violata richiede il fine di lucro ma agli atti non vi era prova alcuna che si fosse integrato l’elemento costitutivo richiesto; altro elemento necessario è quello dell’abitualità degli incontri ma manca nella motivazione un dettagliato riferimento ad elementi che indichino le cadenze periodiche stabilite, le frequentazioni assidue; II.A.) vizi motivazionali stante il fatto che non si rinveniva alcuna motivazione nella sentenza ricorsa la quale si limita a fare rinvio alla sentenza di primo grado senza tuttavia argomentare le ragioni per le quali gli elementi addotti a difesa non sono stati ritenuti meritevoli di accoglimento.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Corte di Cassazione

La Corte di Cassazione riteneva i suddetti ricorsi inammissibili per le seguenti ragioni.

Innanzitutto, in punto di rito, gli ermellini osservavano in via preliminare che, nel caso di c.d. doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione mentre, per contro, i ricorrenti ignorano le analitiche ragioni esplicitate dal giudice di appello per rigettare analoghi motivi di gravame sebbene la Corte territoriale avesse fornito puntuale spiegazione del ragionamento posto a base della propria sentenza procedendo alla coerente e corretta disamina di ogni questione di fatto e di diritto.

A fronte di ciò, sempre la Corte di Cassazione evidenziava che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia la oggettiva tenuta sotto il profilo logico argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti (tra le varie, cfr. Sez. 4, n. 31224 del 16/06/2016); in particolare, secondo giurisprudenza di legittimità costante, l’illogicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi, dovendo il sindacato di legittimità ai riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè – come nel caso in esame- siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (cfr. Sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794) tenuto conto altresì che, ai sensi di quanto disposto dall’art. 606 c.p.p., comma 1, lett. e), il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene nè alla ricostruzione dei fatti nè all’apprezzamento del giudice di merito, ma è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. (cfr. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542).

Posto ciò, declinando tali principi di diritto al caso di specie, la Corte mettevano in risalto, proprio alla luce di questo panorama giurisprudenziale, come il sindacato demandato a questa Corte sulle ragioni giustificative della decisione fosse, per esplicita scelta legislativa, un orizzonte circoscritto e quindi non vi era, come richiesto invece nei ricorsi in scrutinio, la possibilità di andare a verificare se la motivazione corrispondesse alle acquisizioni processuali e ciò proprio perché il giudice di legittimità non può procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito.

Tal che la Corte ne faceva discendere, come logica conseguenza a quanto sin qui esposto, come i ricorrenti, sotto il profilo del vizio di motivazione e dell’asseritamente connessa violazione nella valutazione del materiale probatorio, avessero tentato di sottoporre a questa Corte di legittimità un nuovo giudizio di merito mentre, in tema di motivi di ricorso per cassazione, non sono deducibili censure attinenti a vizi della motivazione diversi dalla sua mancanza, dalla sua manifesta illogicità, dalla sua contraddittorietà (intrinseca o con atto probatorio ignorato quando esistente, o affermato quando mancante), su aspetti essenziali ad imporre diversa conclusione del processo; per cui sono inammissibili tutte le doglianze che “attaccano” la persuasività, l’inadeguatezza, la mancanza di rigore o di puntualità, così come quelle che sollecitano una differente comparazione dei significati probatori da attribuire alle diverse prove o evidenziano ragioni in fatto per giungere a conclusioni differenti sui punti dell’attendibilità, della credibilità, dello spessore della valenza probatoria del singolo elemento (cfr. Sez., 2, n. 38393 del 20/07/2016; Sez. 6, n. 13809 del 17/03/2015, Rv. 262965).

In particolare per quanto attiene al primo motivo prospettato dal primo imputato (ovvero quello numerato sub numero I), i giudici di Piazza Cavour osservavano che son da considerarsi correttamente disattese le deduzioni difensive le quali, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè – come nel caso in esame – siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento (sez. 3, n. 35397 del 20/6/2007; Sez. Unite n. 24 del 24/11/1999, Spina, Rv. 214794) anche perché i giudici di merito avevano fatto buon uso dei consolidati principi fissati da questa Corte secondo i quali non ricorre l’ipotesi di consumo di gruppo di sostanze stupefacenti, che implica l’irrilevanza penale del fatto, quando difetti la prova della parziale coincidenza soggettiva parziale tra acquirente e assuntore dello stupefacente; della certezza sin dall’origine dell’identità dei componenti il gruppo; della condivisa volontà di procurarsi la sostanza destinata al paritario consumo personale; dell’intesa raggiunta in ordine al luogo e ai tempi del consumo; dell’immediatezza degli effetti dell’acquisizione in capo agli interessati senza passaggi intermedi (cfr. ex multis Sez. 4, n. 6782 del 23/01/2014 Ud. – dep. 12/02/2014 – Rv. 259285).

Quanto al motivo sub numero II), gli ermellini rilevavano – tenuto conto che, a valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena, rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p., come nel caso di specie) è censurabile in cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico – come questo vaglio prognostico negativo dovesse essere escluso nel caso di specie atteso che, a detta della Cassazione, la Corte territoriale aveva congruamente motivato la individuazione della;peno dando atto che “La misura della pena deve essere dunque rideterminata tenendo conto della cornice edittale di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73, comma 5 in relazione a droghe cd pesanti, trattandosi di eroina e in un’occasione cocaina, oltre che metadone. La pluralità delle cessioni, nei termini indicati nel capo di imputazione, se non esclude la sussistenza dell’ipotesi lieve, tuttavia determina il riconoscimento di una notevole gravità del reato dovendosi procedere ad una nuova valutazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p. alla luce dei diversi limiti di pena. Pur nel novero dell’ipotesi lieve, le modalità della condotta e la personalità del soggetto (reiterazione nel tempo, capacità di procurare droghe di diversa tipologia e natura, capacità a delinquere) inducono a stabilire la misura della sanzione in misura notevolmente superiore al minimo edittale“.

Quanto al motivo sub numero III), si rilevava l’ineccepibilità dell’approdo a cui era giunta la Corte del merito giacchè, in tema di reato continuato, l’applicazione delle circostanze attenuanti va distinto dall’aumento di pena ex art. 81 cpv. c.p. con la conseguenza che, mentre la prima operazione deve riguardare solo il reato più grave, le eventuali circostanze che abbiano relazione con i reati satelliti vanno considerate al solo scopo di adeguare l’aumento complessivo per l’un cita del disegno criminoso (cfr. Sez. 3, n. 26340 del 25/03/2014, Rv. 260057; sez. 6, n. 10266 del 25/06/1991, Capozza, Rv. 188266) e quindi, in tema di reato continuato, determinata la pena base (e operata sulla stessa la riduzione per le circostanze attenuanti), l’aumento di pena ex art. 81 cpv c.p. deve essere dosato anche tenendo conto delle circostanze riguardarti ciascuno dei reati-satellite (cfr. Sez. 1, n. 47249 del 30/06/2011, Rv. 251403).

Orbene, l’osservanza di questi criteri ermeneutici risultava ampiamente rispettato anche perché, se da un lato, come suesposto anche prima, la valutazione dei vari elementi rilevanti ai fini della dosimetria della pena rientra nei poteri discrezionali del giudice il cui esercizio (se effettuato nel rispetto dei parametri valutativi di cui all’art. 133 c.p. come nel caso di specie) è censurabile cassazione solo quando sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico (cosa questa non sussistente nella fattispecie in esame), dall’altro, in tema di determinazione della pena nel reato continuato non sussiste l’obbligo di specifica motivazione per gli aumenti di pena effettuati ai sensi dell’art. 81 c.p., valendo a questi fini le ragioni a sostegno della quantificazione della pena-base (v. Sez. 6, n. 44633 del 15/09/2017; Sez. 5, n. 27382 del 28/04/2011, Franceschin, Rv. 250465).

Venendo all’altro ricorso proposto nell’interesse del secondo imputato, quanto al motivo sub I.A.), la Corte faceva presente che, come correttamente affermato nella sentenza impugnata, per la configurabilità del delitto di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 79, comma 2, si richiede che un soggetto il quale abbia la disponibilità di un immobile, di un ambiente o di un veicolo, lo adibisca, o consenta che altri lo adibiscano a luogo di convegno abituale di persone che si diano all’uso di sostanze stupefacenti e pertanto il reato non è escluso per il fatto che anche il titolare del luogo faccia uso di dette sostanze nè dall’intenzione del medesimo di fornire un aiuto ad altri tossicodipendenti, profilo che attiene alle motivazioni della condotta ma che non incide sulla sussistenza degli elementi costitutivi del reato, tutti presenti alla luce delle risultanze dibattimentali. In particolare, quanto all’elemento soggettivo, la norma incriminatrice non richiede il fine di lucro nè alcuna altra finalità qualificabile in termini di dolo specifico, essendo necessaria e sufficiente la consapevolezza in capo al titolare del luogo dell’uso abituale del consumo di stupefacenti da parte di altri soggetti.

Ebbene, nel caso in questione, la Corte del merito aveva incensurabilmente ritenuto che, nella specie. ricorressero tutti gli elementi richiesti per l’integrazione della fattispecie contestata posto che l’imputata era presente in casa (ove scontava la detenzione domiciliare) prestava a fornire materiale e ad aiutare gli altri consumatori ad assumere lo stupefacente, consentiva che l’eroina fosse introdotta nell’abitazione; tutto ciò non in modo occasionale o sporadico ma con modalità ripetute e frequenti di tal che la condotta ha certamente assunto il carattere dell’abitualità fermo restando che neppure incideva sulla configurabilità del reato lo stato di tossicodipendenza e cronica intossicazione da stupefacenti che l’appellante assunse quale situazione determinante il reato introducendo, incidenter tantum, l’aspetto dell’imputabilità posto che dagli atti risulta che costei era assuntrice di eroina ma non emerge in alcun modo un suo stato di cronica intossicazione.

Risultava infine del pari inammissibile la censura sub II.A.) dato che, come già sopra detto, nel caso di doppia conforme, le motivazioni della sentenza di primo grado e di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione. Inoltre la logicità della motivazione per essere apprezzabile come vizio denunciabile, deve essere evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi dovendo il sindacato di legittimità al riguardo essere limitato a rilievi di macroscopica evidenza, restando ininfluenti le minime incongruenze e considerandosi disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata, purchè – come nel caso in esame – siano spiegate in modo logico e adeguato le ragioni del convincimento.

Conclusioni

Dalla lettura della sentenza commentata si evince innanzitutto chiaramente la difficoltà di proporre una valida impugnazione per vizi di motivazione in sede di legittimità.

Difatti, per poter validamente ricorrere per Cassazione per casi di questo tipo non è sufficiente dedurre cericamente che la sentenza impugnata sia affetta da una motivazione mancante, contraddittoria o manifestamente illogica ma occorre molto di più atteso che, come rilevato nella pronuncia in commento, il vaglio prognostico, a cui si deve attenere la Corte di Cassazione nei casi in cui sia proposto un ricorso per Cassazione a norma dell’art. 606, c. 1, lett. e), c.p.p., è circoscritto alla verifica che il testo dell’atto impugnato risponda a due requisiti che lo rendono insindacabile: a) l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato; b) l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento.

A fronte di tale perimetrazione del margine di giudizio demandato alla Corte di Cassazione, si aggiunge un ulteriore profilo di criticità per il difensore che ricorre per Cassazione nelle ipotesi di c.d. doppia conforme, ovvero quando nella sentenza di primo grado e in quella di secondo grado si decida allo stesso modo (esempio: si assolve o si condanna sia da parte del Tribunale, che da parte della Corte di Appello) atteso che in tale evenienza procedurale l’oggetto di ciò che si impugna non può concernere la sola sentenza emessa nel secondo grado di giudizio, ma pure quella adottata nel primo grado e ciò proprio alla luce di un orientamento costante (e richiamato anche nella decisione qui in esame) secondo cui, nei casi di doppia conforme, occorre fare riferimento, per giudicare della congruità della motivazione, alle motivazioni della sentenza di primo grado e a quelle di appello, proprio perché queste, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile.

E’ dunque evidente che nell’impugnare una sentenza in Cassazione a norma dell’art. 606, c. 1, lett. e), c.p.p., non è sufficiente limitarsi a contestare la motivazione della sentenza impugnata, se emessa nel secondo grado di giudizio, ma si deve valutare, assieme a questa, anche l’iter argomentativo adottato dal giudice di prime cure.

Posto ciò, la sentenza in commento si appalesa condivisibile negli altri punti in essa trattati.

In particolare, per quanto attiene il ragionamento giuridico svolto circa il reato continuato, l’argomentazione ivi sostenuta secondo la quale dall’applicazione delle circostanze attenuanti va distinto dall’aumento di pena ex art. 81 cpv. c.p. con la conseguenza che, mentre la prima operazione deve riguardare solo il reato più grave, le eventuali circostanze che abbiano relazione con i reati satelliti vanno considerate al solo scopo di adeguare l’aumento complessivo per l’un cita del disegno criminoso, trova conferma, come si evince dagli stessi richiami fatti in questa medesima pronuncia, in diversi precedenti in cui la Cassazione è addivenuta alle medesime conclusioni (cfr. Sez. 3, n. 26340 del 25/03/2014, Rv. 260057; sez. 6, n. 10266 del 25/06/1991, Capozza, Rv. 188266).

Anche per quel che riguarda il reato di agevolazione dell’uso di sostanze stupefacenti o psicotrope (art. 79, c. 2, d.P.R. n. 309/90), l’affermazione decisoria secondo la quale, quanto all’elemento soggettivo, la norma incriminatrice non richiede il fine di lucro nè alcuna altra finalità qualificabile in termini di dolo specifico, essendo necessaria e sufficiente la consapevolezza in capo al titolare del luogo dell’uso abituale del consumo di stupefacenti da parte di altri soggetti trova conferma già in precedenti pronunce emesse dalla Cassazione in subiecta materia in cui è stati parimenti stabilito “che la realizzazione di un provento non è elemento costitutivo del reato previsto dall’art. 79 T.U. Stup., essendo sufficiente che il soggetto sia conscio dell’utilizzo del locale nella sua disponibilità quale sede di frequente ritrovo per il consumo di sostanze stupefacenti e si astenga dall’intervenire nella consapevolezza dell’agevolazione che dal suo comportamento omissivo può derivare a tale uso (Sez. 4, n. 25240 del 30/04/2014 Ahmad, Rv. 25924101)” (Cass. pen., sez. IV, n. 25573/2017).

Va da sé dunque che ove in una prospettazione accusatoria si mette in relazione questo illecito penale con il fine di profitto, potrà utilizzarsi questa argomentazione giuridica per sostenere una valida linea difensiva a favore dell’accusato di tale reato.

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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