Chirurgia estetica: vanno risarciti i danni psicologici?

Redazione 31/10/17
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Interessante sentenza dalla Corte di Cassazione in tema di responsabilità medica: il chirurgo e la clinica responsabili di un intervento chirurgico al seno non completamente riuscito devono risarcire il paziente non solo dei danni fisici, ma anche di quelli psicologici e relazionali. Nel caso in cui l’aspetto fisico del paziente sia importante per la sua attività lavorativa, è necessario risarcire anche il mancato guadagno da perdita di chance. Questo quanto stabilito dalla Suprema Corte con l’ordinanza n. 25109 del 24 ottobre 2017.

 

Il risarcimento per intervento non riuscito

La vicenda, piuttosto complessa, riguarda una donna che nel 1995 si era sottoposta a interventi di ingrandimento del seno, liposuzione delle cosce e rinoplastica presso una clinica privata. L’intervento di chirurgia al seno non era riuscito perfettamente, e la donna, allora solo ventenne, si era ritrovata con delle cicatrici deturpanti che non è stato possibile eliminare neanche con successivi interventi riparatori. La paziente aveva quindi fatto causa alla clinica e al chirurgo e aveva ottenuto il rimborso di grosse somme sia in primo che in secondo grado, oltre al riesame e alla rivalutazione del danno in Corte d’Appello come stabilito dalla Cassazione.

Il problema era reso più grave dal fatto che la donna aveva appena iniziato la carriera di indossatrice e dimostratrice di capi d’abbigliamento prodotti dall’azienda di famiglia, e che aspirava a diventare una modella. Carriera che, a detta della donna, le era ora preclusa per sempre.

 

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Il danno da perdita di chance

La Cassazione definisce il danno inflitto alle possibilità lavorative della paziente come danno da perdita di chance, ed effettivamente la Corte d’Appello ha riconosciuto che le cicatrici lasciate dall’intervento chirurgico hanno avuto conseguenze negative per la carriera della donna. Il caso però non è così semplice: la ricorrente afferma che all’epoca dei fatti avesse già iniziato la professione di modella e fotomodella, ma per legge deve essere proprio la donna a fornire elementi obiettivi di valutazione dell’entità dei suoi guadagni prima dell’operazione, dei suoi contatti e della sua introduzione nel mondo della moda per poter permettere alla Corte di valutare l’effettiva perdita economica e lavorativa che si è determinata.

Questo secondo i giudici non è stato fatto, e dunque la modella non ha diritto a un risarcimento più grande di quello già ampio valutato dalla Corte d’Appello. Tanto più che i giudici di secondo grado hanno rilevato che le cicatrici riportate non precludessero l’attività di modella di capi di abbigliamento con le modalità risultanti dalle fotografie in atti fino a quel momento.

Il risarcimento della depressione

Capitolo a parte riguarda il risarcimento da danno psicologico, con la ricorrente che lamenta “una grave malattia psichica di tipo depressivo” che sarebbe sorta in seguito all’intervento andato male. Malattia depressiva che invero era stata valutata dalla Corte d’Appello e che, seppure migliorata con il tempo, aveva lasciato la paziente in uno stato di sofferenza permanente.

Tale malattia però, a differenza di quanto sostiene la donna, non ha avuto una precisa incidenza sulla sua carriera di modella. O, perlomeno, questa non è stata dimostrata: le dichiarazioni della paziente che la depressione “avrebbe compromesso la serenità necessaria” al suo lavoro perché le avrebbe fatto sviluppare “un’esagerata compulsiva attenzione al proprio aspetto fisico” sono troppo generiche e non provate. Dunque, per la Cassazione la Corte d’Appello ha valutato tutti i profili di danno nel loro complesso e in maniera adeguata.

Sentenza collegata

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