Truffa, è reato attivare servizi telefonici non richiesti

Redazione 22/09/17
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Commette reato, ed è quindi costretto a risarcire i clienti, chi fa sottoscrivere contratti per servizi di telefonia non richiesti o a condizioni ben diverse da quelle promesse. Lo ha confermato la seconda sezione penale della Corte di Cassazione con la recentissima sentenza n. 42515 del 18 settembre 2017, che ha respinto il ricorso di un uomo già condannato in primo e in secondo grado perché faceva credere di lavorare per la Telecom e proponeva invece contratti per conto di un’altra società.

Gli ignari clienti si vedevano quindi recapitare bollette e fatture salatissime per servizi che non avevano mai voluto attivare. Vediamo allora che cosa ha deciso la Cassazione in merito.

 

Condannato per truffa il venditore

Tutto nasce da un primo contatto con un venditore, che fa credere (più o meno esplicitamente) ai potenziali acquirenti di lavorare per una determinata società e propone contratti con un’altra azienda che nascondono costi ben maggiori di quelli pattuiti. Una situazione che sta diventando purtroppo sempre più frequente, come sanno numerosi clienti truffati per cifre nell’ordine delle migliaia di euro.

Nel caso giunto all’attenzione della Cassazione, un uomo era stato accusato e condannato per essersi finto un funzionario della Telecom quando in realtà lavorava per una seconda società che si limitava a vendere prodotti al gigante della telefonia. Il raggiro consisteva nel fatto che i clienti, ignari delle vere intenzioni dell’uomo, firmavano contratti che attivavano servizi mai richiesti per conto di questa seconda azienda.

 

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Contratti di leasing all’insaputa dei clienti

Una delle vittime si era visto quindi recapitare una bolletta da oltre 1.900 euro da saldare in due settimane. Una cifra esorbitante che risultava da fatto che il compratore aveva, totalmente a sua insaputa, attivato un contratto di leasing con la società del truffatore. I primi sospetti la vittima li aveva avuti quando due tecnici che non lavoravano per Telecom hanno installato la centralina richiesta; alle rimostranze dell’uomo si era giunti all’incontro con i tecnici Telecom, che però avevano confermato che la centralina non era stata installata per conto della loro società.

All’arrivo della prima fattura, la certezza: di fronte a una cifra così alta da pagare, l’uomo si è accorto di essere stato truffato e si è rivolto al tribunale.

Cassazione: il danno va risarcito

I giudici di primo e secondo grado, come abbiamo visto, hanno entrambi riconosciuto la colpevolezza dell’accusato e accolto le richieste della vittima. Di parere identico la Cassazione: l’uomo si è macchiato del reato di truffa e deve quindi risarcire le parti offese. La condanna inflitta dalla corte d’appello, si legge nella sentenza, “è completa, priva di vizi logici, conforme alle risultanze fattuali emerse durante il processo” e in ultimo compatibile con il senso comune.

Stessa sorte hanno avuto le altre iniziative del venditore, che similmente hanno a che fare con il ramo della telefonia. In un altro caso, un privato aveva intenzione di stipulare un semplice contratto per un’utenza privata ma si era trovato a dover pagare anche per i servizi internet e una nuova sim card.

Da quando decorre la querela?

Né sono valse a qualcosa le opposizioni del condannato in merito ai vizi di forma della querela. In primo luogo, i termini di scadenza per proporre querela non sono scaduti poiché decorrono dal momento in cui si acquisisce piena cognizione del danno subito e non prima. Nel caso di specie, quindi, dalla data di ricevimento della fattura di 1.900 euro.

Privo di fondamento, infine, il ricorso basato sul fatto che la querela della parte offesa si fosse rivolta inizialmente alla Telecom e non alla società effettivamente colpevole. La Cassazione ha infatti ricordato che la querela deve in ogni caso ritenersi indirizzata agli effettivi responsabili del reato, anche quando la vittima non abbia identificato correttamente i colpevoli.

Sentenza collegata

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