Simulazione di donazione: è sufficiente la controdichiarazione sottoscritta

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La prova della simulazione tra le parti soggiace ad un requisito di forma scritta ad probationem tantum, non anche a quello solenne ed ulteriore eventualmente richiesto ad substantiam per l’atto della cui simulazione si tratta. Pertanto, la prova della parziale simulazione soggettiva di una donazione non richiede anch’essa l’atto pubblico, ma può essere fornita mediante una semplice controdichiarazione sottoscritta dalle stesse parti o da quella contro cui questa è prodotta.

 

Il fatto.

Nel caso di specie l’attrice agiva per sentir dichiarare, tra l’altro, la simulazione di una donazione obnuziale, avente ad oggetto un bene immobile, posta in essere dalla stessa in favore della futura moglie del figlio. A sostegno della domanda veniva prodotta una controdichiarazione in cui si affermava che il trasferimento immobiliare doveva intendersi effettuato anche in favore del figlio della donante. L’attrice chiedeva che la simulata donazione fosse dichiarata priva di effetti ovvero annullata. La domanda era respinta, in primo grado, dall’adito Tribunale di Tivoli e, in secondo grado, dalla Corte d’appello di Roma. Quest’ultima precisava che l’appellante non avesse provato la simulazione assoluta della donazione, in quanto dalla controdichiarazione emergeva la volontà di rendere beneficiari entrambi i futuri coniugi e che, tantomeno, potesse essere dichiarata la simulazione relativa dell’atto in quanto la controdichiarazione era priva della forma dell’atto pubblico, richiesta ad substantiam per le donazioni ex art. 782 c.c. Avverso la sentenza della Corte d’Appello veniva proposto ricorso in Cassazione, tra l’altro, per violazione dell’art. 1414 c.c., sostenendo che tale norma non imponga che la controdichiarazione sia assistita dal medesimo requisito di forma solenne prescritto per il contratto simulato.

 

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La decisione.

La Corte ha ritenuto il ricorso fondato ritenendo, con specifico riguardo all’assunta violazione dell’art. 1414 c.c., che le controdichiarazioni non necessitino del medesimo requisito di forma richiesto per gli atti a cui accedono, essendo finalizzate non a creare un nuovo accordo, modificativo del precedente, realmente voluto e concluso, ma a fornire la prova della simulazione di un patto e, di conseguenza, destinate a rimanere segrete tra le parti.

Al riguardo, è opportuno chiarire che la simulazione costituisce un’operazione contrattuale, derivante dall’interrelazione tra un negozio simulato e un accordo simulatorio, attraverso la quale le parti dichiarano di porre in essere un negozio giuridico, ma in realtà non vogliono che lo stesso produca effetti (simulazione assoluta) o vogliono effetti diversi (simulazione relativa).

Di conseguenza, attraverso il negozio simulato le parti creano una situazione giuridica apparente e tramite l’accordo simulatorio individuano la reale portata giuridica delle loro dichiarazioni di volontà.

Inoltre, ai fini della prova della simulazione, si ricorre generalmente alla c.d. “controdichiarazione” o “controscrittura”, attraverso la quale le parti del negozio dichiarano l’esistenza della simulazione richiamando il contenuto dell’accordo simulatorio. Sul punto è opportuno notare come la natura giuridica della controdichiarazione sia stata a lungo dibattuta. In particolare, la più tradizionale opinione dottrinale e giurisprudenziale configurava la stessa come espressione di volontà dichiarativa e, pertanto, come un contratto di accertamento. Importante corollario di tale impostazione consisteva nella necessità che la controscrittura fosse assistita dai requisiti di forma richiesti per il contratto simulato.

Diversamente, l’opinione oggi prevalente, a cui è riconducibile la sentenza in commento, ritiene che la controdichiarazione costituisca una dichiarazione di scienza a cui, di conseguenza, non siano applicabili le norme sui contratti. In tal senso, detta dichiarazione si caratterizza per la natura ricognitiva e, pertanto, può essere anche successiva alla stipula del negozio simulato, diversamente dall’accordo simulatorio, il quale, invece, deve essere contestuale o precedente, atteso che, in tale ultimo caso, non ricorrerebbe un’ipotesi di simulazione, ma un nuovo negozio volto a modificare il precedente assetto di interessi.

Di talché, dovendosi configurare come mera dichiarazione di scienza e non come contratto, la controscrittura non necessita della forma richiesta per l’atto simulato, in quanto finalizzata esclusivamente a fornire la prova della simulazione del patto e, in quanto tale, destinato a restare segreto tra le parti. In tal senso, le controdichiarazioni si distinguono dalle mutazioni dei patti i quali, dando luogo ad un nuovo accordo modificativo del precedente, esigono la stessa forma richiesta per l’atto da modificare.

Tanto è confermato anche dall’art. 1417 c.c. il quale, nel consentire la prova testimoniale in relazione a detta dichiarazione solo laddove la domanda sia proposta dai creditori o dai terzi o quando le parti agiscano per l’illiceità del contratto dissimulato, impone implicitamente che la controscrittura abbia forma scritta ad probationem tantum e non anche quella eventualmente richiesta ad substantiam per l’atto della cui simulazione si tratta.

Va, tuttavia, considerato che quella portata all’attenzione dei Giudici di Piazza Cavour è un’ipotesi di simulazione relativa, la quale ricorre nei casi in cui le parti prevedono che, in luogo del contratto simulato, si costituisca un rapporto diverso, nel caso di specie, sotto il profilo soggettivo.

In dette ipotesi, dunque, le parti, oltre a qualificare il contratto simulato come non voluto, individuano il diverso rapporto che vogliono costituire attraverso il contratto dissimulato. Non di rado accordo simulatorio e contratto dissimulato sono contenuti materialmente nel medesimo documento, in relazione al quale, tuttavia, si discute sulla forma necessaria, atteso che il contratto dissimulato costituisce la fonte del regolamento degli interessi effettivamente voluto dalle parti.

Sul punto, infatti, l’art. 1414 c. 2. c.c. richiede espressamente, affinché il contratto dissimulato abbia effetto, la sussistenza dei requisiti di forma e sostanza. In tal senso, pertanto, con specifico riguardo al contratto di donazione dissimulato, lo stesso dovrebbe sempre essere munito della forma solenne, pena inefficacia.

D’altra parte, è opportuno osservare come i requisiti di forma e sostanza del contratto dissimulato siano richiesti ex art. 1414 c.c. solo quando quest’ultimo sia diverso dal contratto simulato, ossia, nel caso in cui il primo appartenga ad un tipo legale differente dal secondo. Diversamente, nel caso di specie, sia il contratto simulato che quello effettivamente voluto consistono in donazioni aventi ad oggetto, peraltro, il medesimo bene immobile, distinguendosi, invece, sotto il profilo soggettivo, ancorché parzialmente. In tali casi, dunque, secondo l’opinione prevalente, i requisiti di forma eventualmente richiesti dalla legge per il contratto dissimulato si intendono soddisfatti dal contratto simulato, in quanto da quest’ultimi mutuati.

Tale soluzione trova conferma anche alla luce della ratio che giustifica la forma solenne richiesta in materia di donazioni. Al riguardo, in particolare, la necessità dell’atto pubblico ad probationem si giustifica, da un lato, nell’esigenza di responsabilizzare il donante che compie un atto di liberalità, dall’altro, nel garantire la certezza dei rapporti giuridici, specie a tutela dei terzi, nonché, nel bisogno di consentire il controllo delle cause, atteso che la donazione si caratterizza per essere un contratto a causa debole in cui, cioè, la causa donandi si accompagna ad un interesse non patrimoniale.

Nel caso di simulazione relativa di un contratto di donazione sotto il profilo soggettivo, invece, tale ratio risulta attenuata non solo perché i requisiti di forma sono già soddisfatti dal contratto simulato, ma anche in quanto, diversamente opinando, la necessità della forma solenne del contratto dissimulato vanificherebbe l’esigenza di mascherare lo stesso. Peraltro, l’ordinamento conosce casi in cui la donazione non è contenuta nell’atto pubblico, in particolare nell’ipotesi di donazione indiretta in relazione al quale è lo stesso legislatore a non richiamare nell’art. 809 c.c. il vincolo della forma solenne ex art 782 c.c..

Di talché, la scelta della Cassazione di ritenere sufficiente la controdichiarazione sottoscritta dalle parti, ai fini della prova della simulazione relativa soggettiva di una donazione, si pone nel più innovativo alveo giurisprudenziale, coniugando l’esigenza di rispettare i canoni imposti dal legislatore con quella di soddisfare l’interesse delle parti a mascherare il rapporto effettivamente voluto.

Sentenza collegata

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Mariateresa Magistà

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