Trascrizione integrale delle registrazioni, non serve ai fini delle misure cautelari

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La trascrizione integrale delle registrazioni (e la loro traduzione) con le forme e le garanzie previste per l’espletamento delle perizie è necessaria solamente per l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento e per la conseguente loro utilizzazione come prove in sede di giudizio e non anche per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. anche in relazione al diritto del difensore di chiedere ed ottenere dal Pubblico Ministero copia dei supporti magnetici o informatici delle registrazioni utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, poiché la prova dei fatti dalle stesse rappresentati non deriva dal riassunto o dalla interpretazione che di esse si faccia negli atti di polizia giudiziaria, ma dal contenuto stesso delle registrazioni documentate nei relativi supporti.

(Ricorso dichiarato inammissibile)

(Orientamento confermato)

(Normativa di riferimento: C.p.p. art. 273)

Il fatto

Il Tribunale di Catanzaro, con ordinanza del 25 luglio 2017, confermava l’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari di Castrovillari, del 28 giugno 2017, che aveva applicato la misura cautelare degli arresti domiciliari nei confronti dell’indagato per i reati di cui agli artt. 416 c.p., 110 c.p. (capo A), 73 T.U. Stup. (capi C, D e F bis), 110, 56, 629 c.p. (capo G bis).

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Ricorreva per cassazione, tramite il suo difensore, l’indagato, denunciando i seguenti motivi: a) violazione di legge e vizio di motivazione nell’individuazione delle gravi esigenze cautelari richieste ai fini della valida reiterazione dell’ordinanza cautelare; b) erronea applicazione della legge nell’omessa indicazione delle modalità di traduzione e trascrizione delle intercettazioni; c) omessa o insufficiente motivazione in ordine alla sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza nonché travisamento degli indizi; d) violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine al motivo sulla carenza del requisito dell’attualità delle esigenze cautelari.

Alla luce di queste doglianze si chiedeva, quindi, l’annullamento dell’ordinanza impugnata.

Le valutazioni giuridiche formulate Corte di Cassazione

Il ricorso veniva dichiarato inammissibile per genericità e per manifesta infondatezza dei motivi essendo state riprodotte le stesse motivazioni del riesame senza motivi specifici di legittimità al provvedimento impugnato mentre, per contro, come dedotto dalla stessa Cassazione in diverse pronunce, che, in tema di misure cautelari personali, quando sia denunciato, con ricorso per cassazione, vizio di motivazione del provvedimento emesso dal Tribunale del riesame riguardo alla consistenza dei gravi indizi di colpevolezza, il controllo di legittimità è limitato, in relazione alla peculiare natura del giudizio e ai limiti che ad esso ineriscono, all’esame del contenuto dell’atto impugnato e alla verifica dell’adeguatezza e della congruenza del tessuto argomentativo riguardante la valutazione degli elementi indizianti rispetto ai canoni della logica e ai principi di diritto che governano l’apprezzamento delle risultanze probatorie (tra le altre, Sez. 4, n. 26992 del 29/05/2013 – dep. 20/06/2013, omissis, Rv. 25546001; Sez. 4, n. 22500 del 03/05/2007, dep. 08/06/2007, omissis, Rv. 237012), senza che possa integrare vizio di legittimità la mera prospettazione di una diversa e, per il ricorrente più adeguata, valutazione delle risultanze delle indagini (tra le altre, Sez. U, n. 19 del 25/10/1994, dep. 12/12/1994, omissis Rv. 199391; Sez. 6, n. 49153 del 12/11/2015 – dep. 11/12/2015, omissis, Rv. 26524401), e fermo restando che, per un verso, detto limite del sindacato di legittimità in ordine alla gravità degli indizi riguarda anche il quadro delle esigenze cautelari, essendo compito primario ed esclusivo del giudice della cautela valutare “in concreto” la sussistenza delle stesse e rendere un’adeguata e logica motivazione (Sez. 1, n. 1083 del 20/02/1998, dep. 14/03/1998, omissis, Rv. 210019), per altro verso, in tema di misure cautelari, in «tema di misure cautelari personali, non è affetta da vizio di motivazione l’ordinanza del tribunale del riesame che conferma in tutto o in parte il provvedimento impugnato, recependone le argomentazioni, perché in tal caso i due atti si integrano reciprocamente, con la conseguenza che eventuali carenze di motivazione dell’uno possono essere sanate con le argomentazioni utilizzate dall’altro» (Sez. 3, n. 8669 del 15/12/2015 – dep. 03/03/2016, omissis, Rv. 26676501).

Posto ciò, la Cassazione, nella pronuncia in commento, osservava, dall’analisi della motivazione dei due provvedimenti (quello impugnato del Tribunale e quello del Giudice delle indagini preliminari), come non si rinvenissero carenze motivazionali e la tesi prospettata dal ricorrente, senza critiche specifiche di legittimità al provvedimento impugnato (carenza di gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 del cod. proc. pen.), non trovasse elementi certi negli atti, e né gli stessi, del resto, sempre a detta della Corte, sarebbero stati indicati nell’atto di impugnazione.

Si riteneva pertanto come gli elementi indicati dai due provvedimenti fossero gravi, univoci e convergenti nell’indicare il ricorrente gravato da indizi di colpevolezza idonei e sufficienti per la misura cautelare.

Per quel che riguarda la prospettata violazione del diritto di difesa per l’assenza di traduzione delle intercettazioni telefoniche in lingua albanese, gli ermellini reputavano questo motivo estremamente generico in quanto la violazione del diritto di difesa sarebbe stata, sempre ad opinione della Corte, solo adombrata ma non sarebbe stato chiaro il perché e come sia stato leso il diritto di difesa.

Ad ogni modo la Corte riteneva come non avrebbe avuto comunque rilevanza tale censura poiché in sede cautelare non risulta necessaria la trascrizione integrale delle registrazioni (e la traduzione) con le forme della perizia (Sez. 1, n. 1003 del 17/02/1995 – dep. 30/05/1995, omissis, Rv. 20144701), anche perché la parte ha sempre il diritto di chiedere ed ottenere dal P.M. copia dei supporti magnetici o informatici delle registrazioni utilizzate per l’adozione della misura cautelare (la prova dei fatti non deriva dal riassunto o dalle interpretazioni della P.G., ma direttamente dalle registrazioni delle conversazioni captate): «In tema di riesame di misure cautelari personali, sussiste il diritto del difensore di chiedere ed ottenere dal pubblico ministero copia dei supporti magnetici o informatici delle registrazioni di video riprese utilizzate ai finì dell’adozione del provvedimento cautelare, siano esse riconducibili alle intercettazioni ovvero, in quanto non effettuate nell’ambito del procedimento penale, ai documenti, poichè la prova dei fatti dalle stesse rappresentati non deriva dal riassunto o dalla interpretazione che di esse si faccia negli atti di polizia giudiziaria, ma dal contenuto stesso delle registrazioni documentate nei relativi supporti, a nulla rilevando che la relativa disciplina non sia rinvenibile negli artt. 266 ss. cod. proc. pen. (Fattispecie relativa all’omesso rilascio al difensore di copia delle registrazioni audiovideo allegate alla querela)» (Sez. 6, n. 37476 del 03/07/2017 – dep. 27/07/2017, S, Rv. 27137101).

Tal che i giudici di legittimità ordinaria addivenivano a formulare il seguente principio di diritto: “La trascrizione integrale delle registrazioni (e la loro traduzione) con le forme e le garanzie previste per l’espletamento delle perizie è necessaria solamente per l’inserimento nel fascicolo per il dibattimento e per la conseguente loro utilizzazione come prove in sede di giudizio e non anche per la valutazione della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ai fini dell’applicazione delle misure cautelari ai sensi dell’art. 273 cod. proc. pen. anche in relazione al diritto del difensore di chiedere ed ottenere dal Pubblico Ministero copia dei supporti magnetici o informatici delle registrazioni utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, poiché la prova dei fatti dalle stesse rappresentati non deriva dal riassunto o dalla interpretazione che di esse si faccia negli atti di polizia giudiziaria, ma dal contenuto stesso delle registrazioni documentate nei relativi supporti”.

La Cassazione giungeva alle medesime conclusioni reiettive per la concretezza ed attualità del pericolo di reiterazione dei reati gravi, e per il pericolo di inquinamento delle prove, considerando l’ordinanza impugnata esaurientemente ed adeguatamente motivata, senza contraddizioni e senza manifeste illogicità. 

Conclusioni

La sentenza in questione evidenzia le chiare difficoltà nel proporre una adeguata impugnazione de libertate avverso i provvedimenti cautelari restrittivi della libertà personale.

E’ necessario difatti procedere a specifiche confutazioni considerando non solo il provvedimento impugnato ma anche quello precedente ove non si proceda, quando ciò è consentito dal nostro codice di rito penale, al ricorso diretto per Cassazione.

Detta decisione, inoltre, affronta una specifica problematica ossia se sia necessario trascrivere integralmente le registrazioni captate tramite apposita perizia affinchè esse possano rilevare per accertare i gravi indizi di cui all’art. 273 c.p.p..

Ebbene la risposta che dà la Corte in questa pronuncia, come appena visto, è negativa non ritenendosi necessario questo incombente probatorio in detta fase procedimentale, e ciò sulla scorta di precedenti emessi in sede di legittimità in subiecta materia.

Va da sé dunque che intraprendere una strategia difensiva di questo genere, perlomeno alla luce di quanto postulato in questa decisione, difficilmente potrebbe sortire un effetto processuale favorevole per il proprio assistito, e pertanto, è sconsigliabile procedere in tal senso.

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