Decesso per sinistro stradale, risarcimento anche alla famiglia di fatto

Redazione 19/07/18
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La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con ordinanza n. 18568 del 13 luglio 2018,  ha cassato la pronuncia con cui era stato negato ai coniugi conviventi di fatto – qui ricorrenti – di una donna deceduta a seguito di un sinistro stradale, il diritto ad ottenere il risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali iure proprio e iure hereditatis per il decesso medesimo.

Sì al risarcimento del non danno patrimoniale

Tutela risarcitoria dei conviventi di fatto, nel penale e nel civile

Avverso la pronuncia di secondo grado, in particolare, i ricorrenti lamentavano come i giudici territoriali avessero erroneamente ristretto ai familiari di sangue la tutela risarcitoria, senza invece considerare che la vittima in questione era stabilmente inserita, ormai da molti anni, nel nucleo familiare di essi ricorrenti e trattata come un vero e proprio stretto congiunto.

La Corte di Cassazione accoglie la censura, ricordando come nel diritto penale si sia equiparato ai prossimi congiunti – uniformandone la tutela risarcitoria – quei soggetti che, pur non legati da un rapporto di parentela con la persona offesa dal reato, siano alla stessa legati da «relazione affettiva» e da «stabile convivenza».

Passando al settore civile, è stato costantemente affermato che “perché possa ritenersi risarcibile la lesione del rapporto parentale subita da soggetti estranei al ristretto nucleo familiare (quali i nonni, i nipoti, il genero, o la nuora) è necessario che sussista una situazione di convivenza, in quanto connotato minimo attraverso cui si esteriorizza l’intimità delle relazioni di parentela, anche allargate, contraddistinte da reciproci legami affettivi, pratica della solidarietà e sostegno economico. Ed è stato altresì precisato che: «Integra di per sé un danno risarcibile ex art. 2059 cod. civ., il pregiudizio recato al rapporto di convivenza, da intendere quale stabile legame tra due persone connotato da duratura e significativa comunanza di vita e di affetti».

Di tali principi di diritto – chiariscono gli Ermellini – la Corte d’appello non ha fatto buon governo nel caso di specie, nel quale dai testi assunti, risulta per l’appunto come la vittima fosse ormai da anni stabilmente inserita nel nucleo di quella famiglia, nell’ambito della quale era trattata e considerata alla stregua di uno stretto congiunto, vivendo nella stessa abitazione da anni ed essendo socialmente percepita come un effettivo componente della famiglia.

In definitiva, il Collegio Supremo non intende affatto affermare che qualunque forma di convivenza con persona estranea al nucleo familiare consenta il risarcimento, ma tanto ritiene di dover concludere, nel caso de quo, che i coniugi ricorrenti fossero effettivamente legati da stretto, forte e stabile rapporto affettivo con la deceduta, rispetto alla quale – per la comunanza di vita e per la convivenza di tipo relazionale ed affettivo particolarmente intensa – si ponevano come familiari di fatto.

Sì al risarcimento per danno biologico terminale

Accolta anche l’ulteriore censura con cui i ricorrenti lamentavano il mancato riconoscimento, iure hereditatis, del risarcimento dei danni non patrimoniali subiti dalla vittima in conseguenza delle lesioni che ne determinarono poi il decesso. Invero sussisteva nella vittima il diritto ad ottenere il danno biologico terminale (da trasmettere ai ricorrenti quali eredi) configurabile in quanto, tra le lesioni e la morte, era intercorso un apprezzabile lasso di tempo (6/7 ore), durante il quale la stessa era cosciente e sofferente.

Sì al risarcimento del danno patrimoniale

Accolta infine la censura circa il mancato riconoscimento, iure proprio, del diritto al risarcimento del danno patrimoniale subito a seguito della morte della donna, per la perdita del contributo che la stessa apportava al menage familiare con la propria pensione e per le spese funerarie sostenute.

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