Cessazione della convivenza, il partner recupera quanto versato per la casa comune

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Principio di diritto

In caso di cessazione di una convivenza di fatto e della sottostante relazione sentimentale, al convivente deve essere riconosciuto, ai sensi dell’art. 2041 c.c., il diritto a recuperare il denaro che ha versato sul conto cointestato e ad essere indennizzato per le energie lavorative volontariamente impiegate per la costruzione di una casa comune.

Descrizione della fattispecie concreta

Di recente, la Corte Suprema di Cassazione (ord. 14732/2018) ha avuto modo di soffermarsi sulla disciplina delle conseguenze economiche della cessazione di un rapporto sentimentale stabile, con riferimento al profilo della sorte delle spese sostenute in vista della futura convivenza. Nello specifico, l’ordinanza che qui si commenta ha avuto per oggetto la relazione sentimentale intercorsa tra due soggetti tra il 1987 e il 2001, relazione che si è caratterizzata per l’essersi articolata in due fasi. In un primo periodo di tempo, compreso tra il 1987 e il 1997, i due partners hanno vissuto separatamente, contribuendo, a far data dal 1995 e con il denaro e il lavoro di entrambi, alla costruzione, in vista di una futura convivenza, di una casa comune su un terreno di esclusiva proprietà dell’uomo. A partire dal 1997, e veniamo alla seconda fase, la coppia decideva di instaurare una convivenza nella casa che, con lo sforzo congiunto di entrambi, era stata costruita nel biennio precedente; sempre in questo secondo periodo, i conviventi, entrambi lavoratori subordinati, versavano i loro stipendi su un conto corrente cointestato. Quattro anni dopo la relazione sentimentale cessava e l’uomo tratteneva a sé i risparmi versati da entrambi sul conto cointestato, nonché la casa, bene frattanto entrato nella sua proprietà esclusiva in ragione della sua proprietà esclusiva del terreno sul quale la casa era stata costruita e dell’operatività del principio dell’accessione.

Decisione della Cassazione

Sul punto, la Corte Suprema di Cassazione ha statuito che, scioltosi il rapporto sentimentale, alla donna deve essere riconosciuto il “diritto a recuperare il denaro che ha versato e ad essere indennizzata per le energie lavorative impiegate volontariamente” per la costruzione della casa comune. Più precisamente, la Corte regolatrice ha ritenuto corretta la sussunzione della descritta fattispecie concreta in parola sotto lo schema legale astratto delineato dall’art. 2041, co. 1, c.c., che, nel disciplinare il caso in cui taluno, senza una giusta causa, si sia arricchito a danno di un’altra persona, ha stabilito che quest’ultima debba essere indennizzata della correlativa diminuzione patrimoniale.
Venendo alle motivazioni che hanno sorretto la decisione in commento, può dirsi che la Corte di Cassazione non ha ritenuto di individuare nelle prestazioni della donna gli estremi vuoi di un “atto di liberalità” vuoi dell’adempimento di una “obbligazione naturale” che, in quanto “giusta causa” ai sensi e per gli effetti di cui all’art. 2041, co. 1, c.c., escluderebbero il diritto all’indennizzo previsto dalla medesima disposizione. Quanto alla prima ipotesi, la Corte ha escluso il profilarsi di un “atto di liberalità”, dal momento che “il conferimento di denaro e del proprio tempo libero […] non è stato effettuato dalla donna in favore esclusivo del partner, per aiutarlo a costruire la sua casa, bensì è stato effettuato dalla donna in favore ed in vista della costruzione di un futuro comune”. A proposito della seconda ipotesi, invece, i giudici di legittimità hanno efficacemente puntualizzato, da un lato, che alla ravvisabilità nel caso di specie di obbligazioni naturali ostava la circostanza che, al momento dell’esecuzione da parte della donna delle prestazioni di cui trattasi, la coppia non formava ancora una famiglia di fatto e, dall’altro lato, che “i conferimenti in denaro e in lavoro per la costruzione della casa comune non sarebbero in ogni caso riconducibili alle obbligazioni naturali perché è stato accertato in fatto, dalla corte d’appello, che essi fossero ben superiori al normale tenore di vita della (donna), proprio perché finalizzati non ad una liberalità e non al normale contributo alle spese ordinarie della convivenza, ma a realizzare quella che avrebbe dovuto essere la casa della coppia”.

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Sentenza collegata

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Dott. Enzo Rosa

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