Divieto di intercettare colloqui col difensore, non per tutte le conversazioni

Redazione 06/06/18
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Solo per conversazioni professionali

Il divieto di intercettazioni relative a conversazioni o comunicazioni dei difensori, non riguarda indiscriminatamente tutte le conversazioni di chi riveste tale qualifica, e per il solo fatto di possederla. Riguarda invece le sole conversazioni professionali, che attengono ossia alla funzione esercitata, in quanto la ratio della regola posta dall’art. 103 c.p.p., va rinvenuta nella tutela del diritto di difesa.

Lo ha chiarito la Suprema Corte di Cassazione, seconda sezione penale, con sentenza n. 24451 del 30 maggio 2018, respingendo il ricorso di due imputati, condannati per estorsione. Questi ultimi lamentavano in particolare l’inutilizzabilità, quali prove, delle intercettazioni relative alla conversazione intercorsa tra uno di essi ed un avvocato. Detta conversazione, contrariamente a quanto sostenuto dai giudici di merito, non avrebbe assunto contenuto amicale, bensì professionale, non rilevando il fatto che il mandato difensivo all’epoca non fosse stato ancora conferito e che gli stessi imputati non fossero ancora iscritti nel registro degli indagati.

Divieto non vale per le conservazioni di natura amicale

Censura tuttavia respinta dalla Cassazione. Trattasi difatti, nella specie, di intercettazione d’un colloquio tra l’indagato e l’avvocato, legati da uno stretto rapporto di amicizia, per la cui utilizzabilità in giudizio la Corte di merito ha correttamente valutato: a) se quanto detto dall’indagato fosse finalizzato ad ottenere consigli difensivi e professionali o non costituisse piuttosto una mera confidenza fatta all’amico; b) se quanto detto dall’avvocato avesse natura professionale oppure consolatoria ed amicale a fronte delle confidenze ricevute. Orbene, al riguardo, entrambi i giudici di merito hanno convenuto che la conversazione de quo avesse natura amicale e non professionale. Una valutazione poi confermata in Cassazione e non scalfita dalle doglianze difensive, orientate a qualificare il contenuto della conversazione come professionale, sebbene la stessa si fosse risolta nella mera apprensione del problema da parte dell’avvocato e nell’indicazione di un altro professionista competente a gestire la situazione processuale dell’indagato. La conversazione in esame risulta dunque pienamente utilizzabile in giudizio, non rientrando nel divieto sancito dall’art. 103 c.p.p.

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