Corruzione per il consigliere comunale che offre il voto in cambio di uno posto (Cass. pen. n. 29789/2013)

Redazione 11/07/13
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Svolgimento del processo – Motivi della decisione

1. Con sentenza del 21.6.12 la Corte di Appello di Torino – a seguito di gravame interposto dall’imputato A.A. avverso la sentenza resa in sede di giudizio abbreviato in data 10.3.2011 dal G.U.P. presso il Tribunale di Alessandria – ha confermato detta sentenza con la quale l’ A. era stato riconosciuto responsabile del delitto di corruzione propria e condannato a pena di giustizia perchè quale consigliere comunale di minoranza del comune di Sezzadio e al fine di compiere un atto contrario ai doveri di ufficio, consistente nel voto favorevole alla adozione di una delibera consiliare prima di revoca di una precedente delibera sfavorevole e poi di adozione di una delibera favorevole all’aumento di cubatura ammissibile nell’area c.d. (omissis) di proprietà della “Europa Service” partecipata da R.L., riceveva da quest’ultimo la promessa di un’utilità non dovuta consistente nell’offerta di aiutarlo in una progressione in carriera presso l’agenda municipalizzata “AMIU” spa di Alessandria dove lavorava come operaio di terzo livello.

2. Avverso la sentenza propone ricorso per cassazione l’imputato a mezzo del difensore deducendo:

2.1. erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 319 c.p., in ordine al requisito della promessa di utilità non dovuta e ai ruoli degli imputati nonchè omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione in ordine ai medesimi profili. In particolare, secondo il ricorso, l’utilità non dovuta prevista dall’art. 319 c.p., non può consistere in una mera attivazione presso altro soggetto al solo fine di richiedere un’attenzione rispetto al possibile avanzamento di carriera del pubblico ufficiale, il quale mero impegno non costituisce utilità. Nè tale interessamento può qualificarsi antidoveroso e indebito alla stregua di quanto detto dal direttore dell’AMIU. Inoltre, la sentenza non considera che entrambi i protagonisti dell’ipotizzato patto corruttivo sono pubblici ufficiali cosicchè insufficiente è l’avallo ad una accusa che individua nell’ A. il corrotto e nel R. il corruttore. In ogni caso, la condotta oggetto di contestazione rientrerebbe nel c.d. traffico di influenze, all’epoca non previsto dalla legge come reato.

2.2. erronea applicazione della legge penale in relazione all’art. 319 c.p., in ordine al requisito dell’atto contrario ai doveri di ufficio, nonchè omessa, contraddittoria e manifestamente illogica motivazione sul punto. L’argomentazione secondo la quale l’imputato non avrebbe fornito valida giustificazione del suo voto sarebbe in contrasto con il “favor rei” e priva di concretezza. L’altra argomentazione secondo la quale lo stesso imputato avrebbe dovuto discutere la propria personale posizione con i componenti del proprio gruppo consiliare, risulterebbe specioso avendo l’imputato già manifestato il proprio favore al capogruppo. Secondo il ricorrente la contrarietà al dovere d’ufficio deve ricadere sull’atto e non sulle sue motivazioni, il voto liberamente dato non è censurabile non essendovi prova della determinante offerta del R..

2.3. Con motivi aggiunti in ordine alla erronea applicazione dell’art. 319 c.p., la difesa ha dedotto che:

2.3.1. la Corte territoriale sarebbe rifuggita dall’applicazione dell’orientamento di legittimità che esclude dalla nozione di atto di ufficio la “raccomandazione”;

2.3.2. non può ritenersi rilevante la raccomandazione effettuata da un pubblico ufficiale ad altro pubblico ufficiale, non trattandosi nè di un atto contrario al doveri di ufficio nè di una utilità o altro vantaggio patrimoniale;

2.3.3. la natura trilaterale della fattispecie concreta considerata la fa rientrare in quella attualmente prevista dall’art. 346 bis c.p.;

2.3.4. non v’è alcuna prova della illegittimità delle richieste dell’ A., trasmesse tramite il R. al P.. Nè la sentenza motiva l’effettiva contrarietà ai doveri d’ufficio del voto espresso in consiglio comunale dall’ A..

3. Il ricorso è infondato.

4. La sentenza impugnata ha accertato l’intento speculativo perseguito dal R. in ordine alla realizzazione dell’investimento immobiliare da parte della società “Europa Servizi” da lui partecipata mirando alla localizzazione dell’insediamento produttivo nell’area “ex (omissis)” e la duplice manovra da questi posta in essere per raggiungere l’obiettivo prefisso di far approvare dagli organi comunali la richiesta di variante prodotta dalla predetta società. Una di queste è risultata consistere nell’accordo intervenuto con l’ A., consigliere comunale, affinchè quest’ultimo votasse – come in effetti è avvenuto – a favore della variante urbanistica che consentiva un significativo aumento di cubatura ammissibile sull’area c.d. ex (omissis), funzionale all’insediamento produttivo cui mirava la società del R., in cambio dell’interessamento di quest’ultimo a favorire una progressione di carriera in seno all’AMIU spa, ente presso il quale il consigliere comunale lavorava come operaio di terzo livello. Risultano accertati i continui contatti personali tra l’ A. ed il R. – nell’ambito dei quali il primo informa il secondo della vicenda amministrativa “in tempo reale” ed i due si accordano in ordine all’intervento del R. presso il P., direttore generale dell’AMIU spa, nell’interesse dell’ A. – e le contestuali compulsazioni realizzate dal R. nei confronti del P. perchè questi soddisfacesse le richieste dell’ A..

5. Nell’ambito del quadro fattuale delineato il primo articolato motivo – per vari aspetti ripreso nei motivi aggiunti – è infondato.

5.1. Quanto alla natura di “utilità” della prestazione promessa al ricorrente pubblico ufficiale, secondo questa Corte in tema di corruzione per atto contrario ai doveri d’ufficio, ai fini dell’accertamento della controprestazione offerta dal corruttore, la nozione di “altra utilità” quale oggetto della dazione o della promessa al pubblico ufficiale non va circoscritta soltanto alle utilità di natura patrimoniale, ma comprende qualsiasi vantaggio materiale o morale, patrimoniale o non patrimoniale che abbia valore per il pubblico ufficiale (Sez. 6, Sentenza n. 2872 del 23/09/1987 Rv. 177781 Imputato: ********), e quindi anche qualsiasi prestazione di fare o non fare; allo stesso proposito è stato affermato che nella nozione rientrano tutti quel vantaggi sociali le cui ricadute patrimoniali siano mediate e indirette (Sez. 6, Sentenza n. 24656 del 18/06/2010 Cc. Rv. 248001 Imputato: *********).

5.1.1. Cosicchè correttamente la Corte territoriale ha ritenuto rientrare nella nozione di utilità l’interessamento presso il P. promesso dal R. in ordine all’avanzamento lavorativo o la diversa collocazione cui mirava il ricorrente.

5.2. Nè coglie nel segno la deduzione circa la natura non indebita dell’oggetto dell’interessamento promesso dal R., che esula dalla nozione di utilità prevista dalla fattispecie incriminatrice in parola. Invero, nell’ambito del delitto di corruzione propria, è sufficiente la semplice correlazione tra la datìo e l’atto contrario ai doveri di ufficio (Sez. U, Sentenza n. 2780 del 24/01/1996 Rv. 203972 Imputato: Panigoni e altri; Sez. 6, Sentenza n. 3945 del 15/02/1999 Rv. 213886 PG in proc. Di Finto e altri).

5.3. Come pure eccentrico è l’invocato riferimento alla valutazione giurisprudenziale della “raccomandazione”, posto che – nella specie – l’atto di ufficio oggetto di mercimonio è l’espressione del voto consiliare da parte dell’ A..

5.4. Quanto al sinallagma corruttivo è insegnamento costante di questa Corte secondo il quale l’elemento materiale del delitto de quo è costituito dalle condotte convergenti del corruttore e del corrotto (Sez. 6^, sent. n. 3007 del 1983) e che all’azione corruttrice del privato deve far riscontro una effettiva adesione del pubblico ufficiale (Sez. 6^ sent. n. 9457 del 1988). Nell’ambito della prima, perchè sia realizzata la promessa è sufficiente un impegno qualsiasi ad eseguire in futuro la controprestazione, purchè questa sia ben individuata e suscettibile di attuazione. (Sez. 6^ sent. n. 10092 del 1990).

5.4.1. Nell’ambito di tale orientamento la Corte territoriale ha correttamente considerato la confluenza degli obiettivi del R. e dell’ A. in un unico contesto temporale oltre che personale, cosicchè il promesso intervento presso il direttore generale dell’AMIU è stato correttamente qualificato quale controprestazione in favore dell’ A..

5.5. Ancora, manifestamente infondata è la prospettata incongruenza tra l’ipotesi di accusa e le qualità di pubblico ufficiale rivestite da entrambi i soggetti coinvolti nel patto corruttivo, alla stregua della corretta ricostruzione del fatto, esposto nei termini già sopra richiamati, nell’ambito del quale vengono in considerazione l’ A. in ragione del munus publicum rivestito ed esercitato ed il R. quale privato titolare di un personale interesse di natura speculativa.

5.6. Manifestamente infondata è, poi, la censura circa la diversa sussumibilità del fatto nell’ambito della non prevista, all’epoca, ipotesi di traffico di influenze.

5.6.1. Il delitto di traffico di influenze di cui all’art. 346 bis c.p., così come introdotto dalla L. n. 190 del 2012, art. 1, comma 75, è fattispecie che punisce un comportamento propedeutico alla commissione di una eventuale corruzione e non è quindi, ipotizzabile quando sia già stato accertato un rapporto – come nella specie – paritario tra il pubblico ufficiale ed il soggetto privato (v. Sez. 6^ sent. N. 11808 del 11.2.2013, rv 254442, imputato ********). Di tanto è espressiva la clausola di esclusione posta all’art. 346 bis c.p., comma 1, che definisce il rapporto della fattispecie con quelle corruttive di cui agli artt. 319 e 319bls c.p., ponendo la condotta dei due soggetti attivi del traffico di influenze illecite – il “mediatore” ed il “compratore di influenze” – prima ed al di fuori del patto corruttivo, assumendo detta condotta autonomo rilievo penale in ragione di una soglia anticipata di tutela voluta dal legislatore. Dal punto di vista strutturale, elemento differenziale tra la fattispecie corruttiva e quella del traffico di influenze è la connotazione causale del “prezzo”, destinato – nel traffico di influenze – a retribuire l’opera di mediazione, e non potendo detto prezzo, neppure in parte, essere destinato all’agente pubblico, altrimenti realizzandosi un concorso nella corruzione attiva.

5.6.2. Nella specie, la Corte territoriale ha quindi correttamente escluso potersi trattare di traffico di influenze, rilevando che la promessa dell’intervento del R. costituiva la controprestazione nei confronti del pubblico ufficiale che aveva fatto mercimonio del proprio voto.

6. Infondato è il secondo motivo.

6.1. Nell’ambito della nozione di “atto di ufficio”,comprendente una vasta gamma di comportamenti umani, effettivamente o potenzialmente riconducibili all’incarico del pubblico ufficiale (Sez. 6, Sentenza n. 38698 del 26/09/2006 Rv. 234991 Imputato: ********* ed altri), rientra il voto deliberativo reso in sede di consiglio comunale nell’ambito del procedimento di approvazione di una variante urbanistica. Esso è atto endoprocedimentale a contenuto discrezionale ma non assolutamente libero da parametri di riferimento. Questi discendono dalla posizione e condizione del consigliere comunale che, nell’esercizio delle proprie funzioni, è tenuto ad un comportamento che deve essere improntato all’Imparzialità ed al principio di buona amministrazione (D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 78, comma 1).

6.2. Secondo la dottrina prevalente, per determinare se un atto discrezionale sia contrario ai doveri di ufficio occorre accertare la violazione delle regole inerenti l’uso del potere discrezionale, che si verifica quando l’agente pubblico non persegue l’interesse concreto per il quale il potere gli è stato conferito dalla legge o non rispetta i precetti di logica e di imparzialità sempre sottesi all’azione amministrativa.

6.3. E questa Corte di legittimità insegna che deve ritenersi violato il dovere di ufficio di agire con imparzialità nella ricerca dell’interesse pubblico quando, a fronte, della possibilità di adottare più soluzioni, il pubblico ufficiale operi la sua scelta in modo da assicurare il maggior beneficio del privato a seguito del compenso promesso o ricevuto, poichè in tal caso l’atto trova il suo fondamento prevalentemente nell’interesse del privato (Sez. 6^, 15.12.1997, n. 11462). Cosicchè, ai fini della integrazione del delitto di corruzione, il compimento dell’atto contrario ai doveri d’ufficio deve essere stato la causa della prestazione dell’utilità e della sua accettazione da parte del pubblico ufficiale (Sez. 6, Sentenza n. 34417 del 15/05/2008 Rv. 241082 P.M. in proc. ***** ed altro; Sez. 6, Sentenza n. 24439 del 25/03/2010 Rv. 247382 Imputato: ***** e altri).

6.4. Così, rientrano nello schema concettuale degli elementi costitutivi, materiale e psicologico, del reato di corruzione per un atto contrario ai doveri di ufficio, di cui all’art. 319 c.p., comma 1, la dazione e la promessa di denaro e altre utilità effettuate nei confronti di consiglieri comunali affinchè costoro, compiendo un atto contrario al loro dovere di votare nel consiglio comunale in piena libertà, secondo scienza e coscienza, esprimano un voto già determinato e precostituito (Sez. 6, Sentenza n. 2841 del 03/06/1987Rv. 177779 Imputato: Priorini.). Ancora, in tema di corruzione propria, le dimissioni da una carica politica elettiva possono rappresentare un atto contrario ai doveri di ufficio, quando violano il dovere di imparzialità, ossia risultano poste in essere non già per una scelta discrezionale legittima, di natura squisitamente politica, ma a fronte del compenso promesso o ricevuto, con lo scopo di assicurare ad un soggetto privato il maggior beneficio, configurando quindi una “totale svendita” delle funzioni pubbliche (Sez. 6, Sentenza n. 36780 del 02/07/2003 Rv. 226803 Imputato: *******). Infine, in relazione all’esercizio della pubblica funzione legislativa, è stato affermato che può ipotizzarsi il mercanteggiamento della funzione, qualora venga concretamente in rilievo che la scelta discrezionale non sia stata consigliata dal raggiungimento di finalità istituzionali e dalla corretta vantazione degli interessi collettività, ma da quello prevalente di un privato corruttore (Sez. 6, Sentenza n. 21117 del 30/11/2005 Rv. 234495 P.M. in proc. Castiglione, non massimata sul punto).

6.5. Ebbene, la Corte territoriale si è posta nell’alveo del richiamato concorde orientamento correttamente qualificando l’esercizio del voto da parte del ricorrente come contrario ai doveri di ufficio trovando la sua causa nel patto illecito che ha realizzato l’asservimento del munus publicum all’interesse privato. E a tal fine anche considerando – con incensurabile valutazione in fatto delle emergenze dichiarative ed intercettive – l’assenza di lecite ragioni del voto espresso dal ricorrente e la condotta da questi tenuta nei confronti del dissenziente gruppo di appartenenza, verificando l’assenza di qualsiasi considerazione da parte del ricorrente dell’interesse pubblico nell’esercizio della propria funzione pubblica.

7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2013.

Redazione