Correzione di errore materiale: esclusa se comporta una modificazione essenziale dell’atto (Cass. pen. n. 42922/2012)

Redazione 07/11/12
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Ritenuto in fatto

1. – Con sentenza del 2 novembre 2009, il Tribunale di Salerno – sezione distaccata di Amalfi ha – per quanto qui rileva – condannato l’imputato, ritenuta la continuazione, per: il reato di cui all’art. 44, comma 1, lettera c), seconda parte, del d.P.R. n. 380 del 2001, per avere eseguito, quale proprietario di un immobile, in mancanza di permesso di costruire e in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, interventi edilizi consistiti nella realizzazione di una scarpata con riporto di terreno vegetale e pietrame al fine di realizzare una scala per l’accesso al fondo con la realizzazione di una nuova apertura (capo A); il reato di cui agli artt. 146 e 181 del decreto legislativo n. 42 del 2004, per avere eseguito le opere di cui al capo precedente in zona sottoposta a vincolo paesaggistico, senza la prescritta autorizzazione (capo E); il reato di cui all’art. 734 cod. pen., per aver alterato, con le opere di cui al capo A, le bellezze naturali di una località soggetta a vincolo paesaggistico (capo F).
2. – Con sentenza del 5 aprile 2012, depositata il 20 aprile 2012, la Corte d’appello di Salerno ha parzialmente riformato la sentenza del Tribunale, assolvendo l’imputato dal reato di cui al capo A, perché il fatto non sussiste, e rideterminando la pena per le residue imputazioni, per le quali ha confermato la condanna. Con ordinanza depositata il 20 aprile 2012, la stessa Corte d’appello ha disposto la correzione della sentenza e del relativo dispositivo, “nel senso che, dove è erroneamente indicato capo A), si legga, invece, capo F)”.
3. – Avverso la sentenza e l’ordinanza della Corte d’appello l’imputato ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione.
3.1. – Con un primo motivo di doglianza, si prospetta la nullità dell’ordinanza di correzione, sul rilievo che da essa discende una modificazione essenziale della sentenza, perché l’imputato, inizialmente assolto per il capo A e condannato per il capo F, risulterebbe, invece, condannato per il capo A ed assolto per il capo F.
3.2. – A tali considerazioni la difesa aggiunge, con un secondo motivo di impugnazione, che l’ordinanza di correzione è datata 19 aprile 2012 ed è stata, dunque, adottata prima del deposito della motivazione della sentenza da correggersi, avvenuto il successivo 20 aprile, con la conseguenza che vi sarebbe prevalenza del dispositivo sulla motivazione.
3.3. – Si rilevano, in terzo luogo, la violazione delle norme incriminatrici e la carenza di motivazione, perché la Corte d’appello non avrebbe tenuto conto del fatto che le opere realizzate dovevano essere ricondotte all’ambito di quelle pertinenziali, per le quali, vista la loro modestia, non occorrerebbe il permesso di costruire. L’affermazione della Corte d’appello secondo cui l’accessorietà si potrebbe avere solo per opere che si riferiscono ad altro edificio preesistente edificato legittimamente dovrebbe essere ritenuta errata – ad avviso della difesa – sia perché si pone in contrasto con la definizione di pertinenza dell’art. 817 cod. civ., sia perché nel fondo servito dall’opera realizzata si trova un fabbricato, sia perché anche gli interventi di nuova costruzione possono essere qualificati come pertinenziali. Tale ricostruzione trova conferma – prosegue la difesa – nel D.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, che avrebbe differenziato, ai fini del regime dell’atto di assenso ambientale, la natura e le dimensioni delle opere da realizzare, eliminando inutili aggravi per quelle di minori dimensioni, quale quella realizzata nel caso di specie.
3.4. – Con un quarto motivo di doglianza, si rilevano la violazione dell’art. 133 cod. pen. e la mancanza di motivazione sulla determinazione della pena, la quale sarebbe eccessiva in relazione allo stato di incensuratezza del ricorrente e alla modesta entità del preteso abuso.
3.5. – Si lamenta, in quinto luogo, la violazione dell’art. 165 cod. pen., perché la Corte d’appello avrebbe confermato la demolizione delle opere e ordinato il ripristino dello stato dei luoghi, condizionando il beneficio della sospensione condizionale della pena all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato. Ad avviso della difesa, tale condizione non avrebbe potuto essere apposta, perché la legge riserva all’autorità comunale la determinazione della tipologia di intervento sugli immobili abusivi, con la conseguenza che il giudice ordinario non avrebbe il potere di ordinare la demolizione delle opere abusive, né di fissare un termine entro il quale questa deve essere eseguita.

 

Considerato in diritto

4. – Il ricorso è parzialmente fondato.
4.1. – I primi due motivi di impugnazione – con cui si lamenta, in sostanza, che l’ordinanza del 20 aprile 2012 non avrebbe effettuato una mera correzione di errore materiale, ma avrebbe invece modificato in modo essenziale la sentenza – sono fondati.
Non vi è dubbio che dalla lettura della motivazione della sentenza impugnata emerge che la Corte d’appello ha ritenuto non sussistente il reato di cui alla lettera F dell’imputazione, relativo alla violazione dell’art. 734 cod. pen., perché ha affermato che nel caso di specie non può dirsi realizzato il concreto deturpamento dell’ambiente circostante, richiesto dalla disposizione incriminatrice. Deve, nondimeno, rilevarsi che, nel dispositivo della sentenza impugnata, la condanna pronunciata in primo grado quanto al capo F risulta confermata, mentre l’imputato viene assolto dal reato di cui al capo A, perché il fatto non sussiste.
La correzione dell’errore materiale disposta con ordinanza ha avuto per oggetto proprio tale statuizione del dispositivo, risolvendosi nell’inversione dei capi (A e F) per i quali sono intervenute, rispettivamente, la condanna l’assoluzione.
Non vi è dubbio che una tale modificazione si ponga in contrasto con il disposto dell’art. 130 cod. proc. pen., il quale, escludendo la correzione di errori materiali o di omissioni la cui eliminazione comporti una modificazione essenziale dell’atto, impedisce evidentemente di utilizzare tale rimedio per modificare il dispositivo della sentenza nel senso che l’imputato debba intendersi condannato per un reato per il quale era stato assolto e, corrispondentemente, assolto per un reato per il quale era stato condannato.
Ne consegue che, in accoglimento delle doglianze difensive, l’imputato deve ritenersi assolto, perché il fatto non sussiste, sia con riferimento al capo A, per il quale era stata pronunciata assoluzione con il dispositivo della sentenza d’appello poi illegittimamente corretta in malam partem, sia con riferimento al capo F, per il quale l’assoluzione dell’imputato è intervenuta a seguito dell’ordinanza di correzione di errore materiale, favorevole sul punto all’imputato stesso (oltre che sostanzialmente conforme, come visto, alla motivazione della sentenza), e non impugnata dal pubblico ministero. Residua la sola condanna per il capo E, in relazione alla quale il procedimento deve essere rinviato alla Corte d’appello di Napoli, perché provveda alla nuova determinazione della pena, con conseguente assorbimento del motivo di ricorso sub 3.4., relativo, appunto, alla pena irrogata.
4.3. – Il terzo motivo di censura – con cui si sostiene che le opere realizzate, per la loro natura pertinenziale, sarebbero sottratte alla necessità di dotarsi di titoli abilitativi urbanistici e paesaggistici, anche in forza della previsione del d.P.R. 9 luglio 2010 numero 139 – è genericamente formulato e, comunque, manifestamente infondato.
Il ricorrente si limita, infatti, ad asserire che le opere hanno carattere pertinenziale perché consistono nella realizzazione di una scala pedonale di accesso al fondo più comoda di quella preesistente e sostiene che nel fondo in questione si trova anche un fabbricato, senza specificare – neanche in via di prospettazione – in cosa consista, in concreto, l’asserita accessorietà di detta scala rispetto al fondo e al fabbricato.
E ciò, a prescindere dall’assorbente considerazione che, poiché l’opera non risulta adiacente al fabbricato stesso, ma semplicemente realizzata nel fondo dell’imputato, trova applicazione, nel caso in esame, il principio, costantemente affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo cui le pertinenze, ai fini urbanistici, non sono configurabili rispetto a terreni, ma soltanto rispetto a edifici contigui (sez. 3, 22 ottobre 2010, n. 41518, Rv. 248744; sez. 3, 24 marzo 2010, n. 24241).
Né può trovare applicazione, nel caso di specie, il d.P.R. 9 luglio 2010, n. 139, richiamato dal ricorrente, perché entrato in vigore in epoca successiva ai fatti contestati e non dotato di efficacia retroattiva.
4.4. – Del pari manifestamente infondato è il motivo di ricorso sub 3.5., con cui si sostiene che il giudice non avrebbe potuto sottoporre la sospensione della pena alla condizione del ripristino dello stato dei luoghi.
Infatti, secondo il noto e consolidato orientamento di questa Corte, è consentito al giudice penale subordinare il beneficio della sospensione condizionale all’eliminazione delle conseguenze dannose del reato, a norma dell’art. 165 cod. pen., anche nell’ipotesi della realizzazione di opere edilizie abusive o edificate in mancanza di autorizzazione per il vincolo paesaggistico, lesive di per sé dell’ordinato assetto del territorio e del paesaggio, beni giuridici tutelati dalle norme incriminatrici (ex plurimis, sez. 3, 13 maggio 2009, n. 23840).
5. – La sentenza impugnata deve, dunque, essere annullata, limitatamente ai capi A e F, perché il fatto non sussiste, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Napoli per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato di cui al capo E. Il ricorso deve essere rigettato nel resto.

 

P.Q.M.

Annulla la sentenza impugnata limitatamente ai capi A ed F, perché il fatto non sussiste, e rinvia alla Corte d’appello di Napoli per la rideterminazione della pena in ordine al residuo reato di cui al capo E. Rigetta nel resto il ricorso.

Redazione