Contenzioso tributario e competenza per territorio (Cass. n. 5167/2013)

Redazione 01/03/13
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Svolgimento del processo

1. Con sentenza n. 25/07, depositata il 5.6.07, la Commissione Tributaria Regionale della Toscana rigettava l’appello proposto dall’Agenzia delle Dogane – Ufficio di Livorno avverso la decisione di primo grado, con la quale era stato accolto il ricorso proposto dalla Maimex s.p.a. nei confronti dell’avviso di rettifica dell’accertamento definitivo, emesso dall’Agenzia delle Dogane di Livorno, relativo alla dichiarazione di importazione IM/4 n. 19475/U, emessa dalla Dogana di Milano. L’avviso di rettifica conseguiva ad indagini del Servizio Antifrode della Dogana di Livorno, all’esito delle quali era emerso che, attraverso una duplice fatturazione di capi di abbigliamento, era stata importata merce nell’Unione Europea con evasione di diritti di confine e costituzione di illegittimo credito IVA.

2. La CTR – condividendo il percorso argomentativo seguito dalla decisione di prime cure – riteneva, invero, fondata l’eccezione proposta dalla Maimex s.p.a., di incompetenza della Dogana di Livorno ad emettere l’avviso di accertamento in rettifica, atteso che la revisione dell’accertamento relativo all’importazione definitiva di merce competerebbe, ad avviso del giudice di appello, esclusivamente alla Dogana presso la quale fu effettuato tale accertamento, e presso la quale ebbe origine l’obbligazione tributaria, ossia – nel caso di specie – alla Dogana di Milano.

3. Per la cassazione della sentenza n. 25/07 ha proposto ricorso l’Agenzia delle Dogane affidato ad un solo motivo, al quale la contribuente ha replicato con controricorso. La ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Motivi della decisione

1. Con l’unico motivo di ricorso, l’Agenzia delle Dogane denuncia la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 78 del Regolamento CE 12.10.92 n. 2913 (Codice Doganale Comunitario), D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, D.P.R. n. 43 del 1973, art. 9 bis, D.Lgs. n. 105 del 1990, art. 27, e D.Lgs. n. 300 del 1999, art. 63, art. 97 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

1.1. Osserva l’Amministrazione che erroneamente il giudice di appello avrebbe ritenuto l’illegittimità del provvedimento impugnato dalla società Maimex s.p.a., per essere stato emesso da un Ufficio doganale incompetente. Assume, invero, l’Agenzia delle Dogane che – secondo i principi generali – la competenza rappresenterebbe una ripartizione “a carattere interno” della funzione amministrativa, espressione di potestà organizzativa volta al perseguimento del principio di buon andamento, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa. Nei rapporti esterni con gli altri organismi e con gli operatori economici, invece, l’Amministrazione delle Dogane si relazionerebbe nella “sua intima e globale unitarietà”, per cui la concentrazione di determinate attività presso singoli, determinati uffici locali, rientrerebbe nella discrezionalità ratione materiae della stessa autorità amministrativa, non sindacabile – come tale – dal giudice tributario.

Di più, in materia doganale – come sarebbe dato desumere dal complesso delle disposizioni succitate – la regola generale sarebbe rappresentata dalla competenza per materia, non trovando il criterio della competenza per territorio previsione alcuna nelle norme che disciplinano tale settore dell’Amministrazione finanziaria.

Da quanto suesposto discenderebbe, dunque, – a parere dell’Agenzia delle Dogane – che l’Ufficio che ha accertato il mancato pagamento dei diritti doganali potrebbe legittimamente procedere alla revisione dell’accertamento, divenuto definitivo, inerente ad operazioni di importazione svoltesi presso altre Dogane, e presso le quali ebbe, quindi, origine l’obbligazione tributaria.

1.2. Nella memoria ex art. 378 c.p.c., l’Agenzia delle Dogane ha – dipoi – soggiunto che tale questione, relativa alla competenza dell’organo amministrativo deputato a svolgere le revisioni doganali, sarebbe stata definitivamente risolta nel senso propugnato dall’Amministrazione, a seguito della novella normativa rappresentata dal D.L. n. 16 del 1912, art. 9, comma 3 decies, convertito nella L. n. 44 del 2012. Nè potrebbe dubitarsi – ad avviso della ricorrente – del fatto che la disposizione suindicata sia stata emessa con chiara funzione interpretativa, e che, pertanto, essa sia retroattivamente applicabile anche a casi che hanno preceduto la sua emanazione.

2. Premesso quanto precede, osserva la Corte che deve essere, anzitutto, esclusa l’applicabilità della normativa sopravvenuta, di cui alla L. n. 44 del 2012, alla fattispecie in esame, verificatasi ben prima della sua entrata in vigore.

2.1. Va rilevato, invero, che la norma del D.L. n. 16 del 2012, art. 9, comma 3 decies, convertito nella L. n. 44 del 2012, si limita, invero, a stabilire – aggiungendo un ulteriore comma al D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 9, – che “l’ufficio doganale che effettua le verifiche generali o parziali con accesso presso l’operatore è competente alla revisione delle dichiarazioni doganali oggetto del controllo anche se accertate presso un altro ufficio doganale”.

L’art. 14 del medesimo decreto 16/12 stabilisce, poi, che il provvedimento normativo in questione “entra in vigore il giorno stesso della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana”, senza operare, dunque, riferimento alcuno ad una possibile retroattività delle disposizioni in esso contenute.

2.2. Nè può ritenersi – contrariamente a quanto sostenuto dall’Avvocatura dello Stato – che tale retroattività debba discendere dalla pretesa natura di norma di interpretazione autentica del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, comma 9, che la disposizione di cui al D.L. n. 16 del 1912, art. 9, comma 3 decies, rivestirebbe, per la tecnica legislativa adoperata dal legislatore (integrazione del testo della norma che regola la materia) e per la finalità di risolvere, in via definitiva, una questione dibattuta in giurisprudenza.

2.2.1. A tal riguardo deve – per vero – anzitutto osservarsi che la norma della L. n. 212 del 2000, art. 1, comma 2, (statuto dei diritti del contribuente) limita, in materia tributaria, a casi eccezionali l’emanazione di norme di interpretazione autentica, richiedendo, inoltre, che la natura interpretativa della disposizione risulti da un’espressa qualificazione legislativa (Cass. 24192/06), qualificazione che – peraltro – nel caso di specie manca del tutto nella norma di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 9, comma 3 decies, (per la necessità di un’espressa qualificazione di una disposizione di legge come norma di interpretazione autentica, v. pure, più in generale, Cass. S.U. 9941/09).

E tuttavia, quand’anche volesse desumersi siffatta connotazione della norma succitata come disposizione di legge a carattere interpretativo in via ermeneutica, ovverosia di esegesi del suo contenuto precettivo, prescindendo da testuali riferimenti alla natura interpretativa della norma stessa, non si perverrebbe, in ogni caso, al risultato interpretativo auspicato dalla difesa erariale. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che il carattere interpretativo autentico di una legge dipenda esclusivamente dal suo contenuto, caratterizzato, anzitutto, dall’enunciazione di un apprezzamento interpretativo circa il significato di un precetto antecedente, al quale la norma si ricollega nella formula e nella ratio, dipoi, da un momento precettivo, con il quale il legislatore impone questa interpretazione, con esclusione di ogni altra. E tale operazione ermeneutica compiuta a livello legislativo deve essere effettuata dal legislatore medesimo – in modo espresso – non soltanto per il futuro, ma anche per il passato, in modo da far regolare dalla nuova normativa anche fattispecie che siano venute in essere anteriormente alla sua entrata in vigore (cfr. Cass. S.U. 1622/83,Cass. 9895/03).

Ciò premesso in via di principio, deve – per contro – rilevarsi, con riferimento al caso concreto, che non è ravvisabile in alcun modo, nel contenuto della disposizione di cui al D.L. n. 16 del 2012, art. 9, comma 3 decies, la compresenza dei due connotati (enunciativo e precettivo) suindicati, volti – al contempo – al passato ed al futuro. La disposizione in esame si presenta, invero, nel suo contenuto precettivo, come un’ordinaria norma integrativa di quella preesistente, ed è pertanto diretta, come di regola, a disporre – in materia di competenza dell’autorità doganale – esclusivamente per l’avvenire, ai sensi dell’art. 11 preleggi. Sicchè la natura di norma di interpretazione autentica va, senza dubbio, esclusa in relazione a tale disposizione.

2.2.2. D’altro canto, va soggiunto che costituisce un principio da tempo consolidato, sia nella giurisprudenza di questa Corte che nella giurisprudenza amministrativa, quello secondo cui la legittimità di un atto amministrativo – anche sotto il profilo soggettivo – va valutata alla stregua delle norme vigenti al momento della sua emanazione (tempus regit actum), non assumendo rilievo alcuno, al riguardo, la normativa sopravvenuta che può applicarsi solo alle fasi procedimentali che – nelle singole e specifiche ipotesi – non siano ancora definitivamente concluse (cfr. Cass. 11268/1994, ****** 4163/04).

3. Alla stregua dei rilievi che precedono, dunque, il caso di specie non può che essere risolto sulla base del quadro normativo previgente, in relazione al quale, e con specifico riferimento alla questione relativa alla competenza per territorio dell’Agenzia delle Dogane, questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi (cfr. Cass. 14786/11, 14805/11). E deve ritenersi – per le ragioni che si passa ad esporre – che tale indirizzo interpretativo debba essere confermato in questa sede.

3.1. A tal fine, va premesso che – in forza del sistema delineato dal Codice Doganale Comunitario (CDC), di cui al regolamento CE n. 2913/92, dal Testo Unico delle disposizioni legislative in materia doganale di cui al D.P.R. n. 43 del 1973, nonchè delle disposizioni in materia di revisione delle procedure di accertamento e controllo di cui al D.Lgs. n. 374 del 1990 – la procedura di applicazione dei dazi all’importazione (diritti di confine) – ipotesi che interessa in questa sede (ma il procedimento è il medesimo per le esportazioni) – ha inizio con la presentazione in dogana di una dichiarazione, che può essere fatta verbalmente, per iscritto, o mediante un sistema informatico, e che dovrà contenere le indicazioni relative al dichiarante, al proprietario della merce ed agli importi da pagare.

Una volta accettata la dichiarazione, si apre la fase dell’accertamento, nella quale le autorità doganali possono controllare le dichiarazioni ed i documenti allegati, ed hanno facoltà di visionare le merci importate. In caso di esito positivo dell’accertamento – essendo stata accertata la conformità delle merci a quelle descritte in dichiarazione – si procede, poi, alla liquidazione dei diritti dovuti sulla base di una tariffa comunitaria, ed una volta avvenuto il relativo pagamento, la merce viene svincolata dalle autorità doganali, mediante rilascio di una bolletta doganale, consistente in un’annotazione della dogana sulla dichiarazione, attestante la chiusura della procedura.

Tuttavia, l’accertamento divenuto definitivo, e ancorchè le merci che ne hanno costituito l’oggetto siano state lasciate alla libera disponibilità dell’operatore, può essere ancora sottoposto a revisione dall’ufficio doganale, ai sensi dell’art. 78 CDC e D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11. Se dalla revisione emergono inesattezze, omissioni, o errori, relativamente agli elementi presi a base dell’accertamento, l’Ufficio provvede alla relativa rettifica, mediante notifica di apposito avviso all’operatore interessato, e procede, quindi, una volta che la rettifica sia divenuta definitiva, al recupero dei maggiori diritti dovuti dall’operatore, ovvero promuove la procedura per il rimborso di quelli pagati in eccedenza.

3.2. Così ricostruita – in sintesi – la procedura dell’accertamento doganale in relazione all’importazione di merci, va rilevato che, nel caso sottoposto all’esame di questa Corte, l’avviso di rettifica è conseguito ad indagini del Servizio Antifrode della Dogana di Livorno, all’esito delle quali veniva appurato che, attraverso una duplice fatturazione di capi di abbigliamento, era stata importata merce nell’Unione Europea con evasione di diritti di confine e costituzione di illegittimo credito IVA. Il problema che si è posto, tuttavia, discende dal fatto che tale atto impositivo – oggetto di impugnazione da parte della Maimex s.p.a. – è stato emesso dalla Dogana di Livorno in relazione all’accertamento definitivo effettuato dalla Dogana di Milano sulla dichiarazione di importazione di merce presentata per l’importazione a tale ufficio doganale, presso il quale ha, pertanto, avuto origine l’obbligazione doganale in contestazione. Identica operazione di revisione risulta, dipoi, avere effettuato la Dogana di Livorno, anche in relazione alle importazioni operate dalla contribuente presso le Dogane di Genova, Napoli ed Alessandria.

Ebbene, è con specifico riguardo alla revisione operata sugli accertamenti definitivi espletati da Uffici diversi da quello di Livorno, che si è posto il problema di competenza, risolto in senso sfavorevole all’Amministrazione dalle sentenze di merito di prime e seconde cure, che hanno concordemente affermato l’incompetenza della predetta Dogana di Livorno ad emettere, nel caso di specie, l’avviso di accertamento in rettifica in relazione all’accertamento definitivo effettuato dalla Dogana di Milano. Le suddette pronunce hanno considerato, di conseguenza, illegittimo, e pertanto annullabile, l’atto impositivo impugnato-dalla contribuente in sede contenziosa.

4. Ciò premesso, va rilevato che il suindicato quadro normativo di riferimento, applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame, evidenzia – come già rilevato da questa Corte nelle decisioni nn. 14786/11 e 14805/11 – che il sistema di accertamento delle violazioni doganali presuppone una precisa articolazione della competenza sul territorio, prevedendo, per ogni attività o situazione considerata, una precisa Dogana territorialmente competente. Il che smentisce decisamente l’assunto dell’Amministrazione ricorrente, secondo la quale in materia doganale la regola generale sarebbe rappresentata dalla competenza per materia, avendo quella per territorio una rilevanza meramente interna, quale criterio di riparto degli affari, al fine assicurare il più efficiente andamento dell’amministrazione di settore.

4.1. A tal fine, giova – per vero – anzitutto rilevare che il CDC non prevede espressamente criteri di riparto della competenza, da valere in ambito comunitario; e tuttavia, lo stesso codice opera un chiaro riferimento ad una competenza per territorio degli uffici doganali, laddove, all’art. 60, prevede che “se la normativa doganale non prevede disposizioni particolari, gli Stati membri definiscono la competenza dei vari uffici doganali sul loro territorio”. La norma comunitaria, dunque, rimette alla discrezionalità dei legislatori nazionali di individuare i criteri di determinazione della competenza per territorio degli uffici doganali, all’interno dei singoli Stati.

Ebbene, va osservato, al riguardo, che nel nostro ordinamento, il D.P.R. n. 43 del 1973, art. 3, (testo unico delle disposizioni in materia doganale) stabilisce che “agli effetti dell’ordinamento amministrativo dei servizi doganali, il territorio della Repubblica è suddiviso in compartimenti. Ciascun compartimento è ripartito in due o più circoscrizioni doganali; ciascuna circoscrizione comprende una o più dogane”. Ed è di chiara evidenza che la previsione di un’articolazione territoriale degli uffici facenti capo ad un unico plesso amministrativo, in quanto operata con norma di legge – e non con norma interna, ispirata da una mera esigenza tecnica di riparto del lavoro – non può che tradursi, stante l’inequivoco disposto dell’art. 97 Cost., commi 1 e 2, in una predeterminazione degli uffici ai quali è attribuita una competenza per territorio nella trattazione degli affari, come tale avente rilevanza esterna, quale strumento di garanzia nei confronti dei soggetti che interagiscono con l’Amministrazione nella materia de qua.

D’altro canto, siffatta conclusione trova precise conferme in diritto positivo. Va considerato, in particolare – come già rilevato da Cass. 14805/11 e 14786/11) – il disposto del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 6, secondo il quale “nelle circoscrizioni doganali comprendenti più dogane la competenza territoriale di ciascuna dogana è stabilita dal capo della circoscrizione”. Ed è appena il caso di rilevare che tale precisazione non avrebbe senso alcuno se non presupponendo che, nei casi in cui la circoscrizione doganale abbia una sola dogana, quest’ultima sia dotata di una propria competenza territoriale, determinabile direttamente in base ai criteri di collegamento desumibili dalla legge stessa, come di qui a poco si dirà. Va considerato, inoltre, la disposizione di cui all’art. 326, comma 1, dello stesso decreto, a tenore del quale “i processi verbali contenenti le violazioni del presente testo unico e di ogni altra legge nei casi in cui l’applicazione di essa è demandata alle Dogane, quando riguardino violazioni accertate fuori degli spazi doganali (…. ) sono trasmessi, a cura dei pubblici ufficiali che li hanno redatti, alla dogana competente per territorio”. La configurabilità di una competenza territoriale degli uffici doganali, alla stregua del quadro normativo succitato, appare, dunque, un dato positivamente acquisito.

4.2. Nè può condividersi, al riguardo, – come dianzi detto – l’assunto della difesa erariale, secondo la quale la suddetta articolazione territoriale sarebbe finalizzata a consentire una ripartizione degli affari con rilevanza meramente interna, mentre nei rapporti esterni con gli altri organismi e con gli operatori economici l’Amministrazione delle Dogane si relazionerebbe nella sua unitarietà. Per il che del tutto indifferente, nei rapporti esterni, sarebbe la concentrazione di determinate attività presso singoli, determinati, uffici locali, posto che essa rientrerebbe – a parere dell’Avvocatura dello Stato – nella discrezionalità ratione materiae della stessa autorità amministrativa, non sindacabile, come tale, dal giudice tributario.

4.2.1. Ben al contrario, va – per vero – osservato che nell’art. 97 Cost., comma 1, non può ravvisarsi una semplice direttiva, rivolta prevalentemente agli organi dell’Amministrazione, ne1 il suo contenuto può considerarsi limitato alla riserva di legge da esso disposta. Il comma in parola va, difatti, collegato con il successivo, il quale prescrive che “nell’ordinamento degli uffici siano determinate le sfere di competenza, le attribuzioni e le responsabilità proprie dei funzionari”. Tali determinazioni – operate sulla base di disposizioni di legge – sono state, dipoi, considerate dal Costituente, nel raccordo tra i primi due commi della disposizione in esame, come condizioni per assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’Amministrazione, ravvisandosi in esse i mezzi per raggiungere una razionale, predeterminata e stabile distribuzione di compiti, nell’interesse del servizio. Al contempo – in una prospettiva chiaramente garantistica, a fronte dell’espletamento di poteri autoritativi da parte dell’Amministrazione – il riparto di competenze, sia per materia che per territorio, è finalizzato a far sì che il cittadino, nel rivolgersi alla pubblica Amministrazione, conosca con esattezza quale sia l’ufficio competente per il suo caso, quali ne siano le attribuzioni, quali le responsabilità di colui che vi è preposto e che rappresenta, nei suoi confronti il pubblico potere (cfr., in tal senso, C. Cost. 14/62).

Nè può revocarsi in dubbio che il rispetto della riserva di legge – che non è assoluta, ma relativa – di cui all’art. 97 Cost., nella sua valenza anche di criterio di determinazione delle sfere di competenza nella duplice valenza suindicata, possa essere assicurato – come, nella specie, ha disposto il fondamentale D.P.R. n. 43 del 1973, art. 6, u.c., – anche mediante la delega della determinazione della competenza territoriale, sulla base di disposizioni di legge, ad una autorità amministrativa di vertice, o comunque sovraordinata rispetto ad altre del medesimo settore.

4.2.2. Se ne deve necessariamente inferire che, la determinazione delle sfere di competenza degli uffici sul territorio operata per legge, in quanto funzionale, non soltanto ad esigenze organizzative dell’Amministrazione, onde assicurare il buon andamento e l’imparzialità dell’attività da essa svolta, ma anche ad esigenze di garanzia del cittadino, non può che avere una chiara e specifica rilevanza anche nei rapporti esterni. Ed alla stessa, duplice, esigenza risultano ispirati anche i riferimenti che la L. n. 241 del 1990, art. 1, opera, per un verso, ai criteri di economicità efficacia ed imparzialità, per altro verso a quelli di pubblicità e trasparenza, dai quali l’attività amministrativa – nel rispetto dei fini predeterminati dalla legge – deve essere sempre regolata.

4.3. Stando così le cose, è – pertanto – del tutto evidente l’erroneità dell’assunto dell’Amministrazione ricorrente, secondo la quale, attesa la rilevanza meramente interna del riparto di attribuzioni tra gli uffici doganali, il giudice tributario non potrebbe sindacare la concentrazione – avvenuta nella specie – di una determinata attività presso un singolo determinato ufficio.

Trattandosi, invero, – per le ragioni suesposte – di competenza per territorio stabilita per legge, in sede di determinazione delle sfere di competenza degli uffici ai sensi dell’art. 97 Cost., ne discende che il vizio dell’atto impositivo, derivante dall’incompetenza dell’ufficio che lo ha adottato, è sicuramente censurabile dal giudice tributario, nell’esercizio della giurisdizione attribuitagli dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 2, allo stesso modo in cui tale vizio determina l’annullamento di qualsiasi altro provvedimento della pubblica amministrazione da parte del giudice amministrativo.

L’incompetenza è – per vero – ai sensi della L. n. 241 del 1990, art. 21 octies, uno dei tre vizi (oltre alla violazione di legge ed all’eccesso di potere) che – sul piano generale – possono inficiare la validità di un qualsiasi provvedimento amministrativo. L’atto adottato da un ufficio incompetente, infatti, non è nè semplicemente inefficace, nè meramente produttivo di conseguenze sul piano sanzionatorio-disciplinare – come quando si tratta di violazione dei criteri di riparto delle attribuzioni, adottati dall’Amministrazione con norme interne (Cass. 14805/11) – ma è illegittimo, per violazione delle norme che definiscono le attribuzioni del soggetto autore dell’atto (****** 5142/07, 934/10).

Per il che, l’accertamento del vizio di incompetenza non può che comportare l’eliminazione dal mondo giuridico del provvedimento illegittimo da parte del giudice amministrativo, ovvero – nell’ambito della giurisdizione demandatagli – da parte del giudice tributario (cfr., in motivazione, Cass. 14805/11, 14786/11).

5. Ebbene – una volta acclarato che, nel regime giuridico applicabile alla specie ratione temporis, la regola rica-vabile dal sistema è quella della competenza per territorio degli uffici doganali – deve considerarsi che il sistema stesso ha avuto cura di prevedere, per ogni attività o situazione considerata, una precisa Dogana competente per territorio, individuabile in ragione di un criterio di collegamento, esplicitamente o implicitamente indicato, e, per lo più, corrispondente al luogo in cui si è radicato un rapporto, ovvero è sorta un’obbligazione, o è accaduto un fatto produttivo di determinate conseguenze sul piano dell’imposizione doganale.

5.1. Con specifico riferimento alla revisione dell’accertamento definitivo – impugnata, nella specie, dalla società contribuente – in mancanza di espresse disposizioni di segno diverso (adottate solo con il D.L. n. 16 del 2012, come detto, non applicabile alla fattispecie concreta), deve ritenersi competente territorialmente per la revisione la Dogana presso la quale è sorta l’obbligazione tributaria, ovverosia quella dove si sono svolte le sopra descritte operazioni di importazione (Cass. 14687/11, 14805/11).

A tanto induce, invero, anzitutto la considerazione del tenore letterale dell’art. 78 CDC, laddove dispone che “dopo aver concesso lo svincolo delle merci, l’autorità doganale può procedere alla revisione della dichiarazione, d’ufficio o su richiesta del dichiarante”. Significativo, poi, è anche il tenore del D.Lgs. n. 374 del 1990, art. 11, ai sensi del quale “l’ufficio doganale può procedere alla revisione dell’accertamento divenuto definitivo, ancorchè le merci che ne hanno formato oggetto siano state lasciate alla libera disponibilità dell’operatore o siano già uscite dal territorio doganale”. Orbene, la lettera delle disposizioni succitate evidenzia, in modo palese, che l’autorità che può procedere alla revisione non può che essere quella stessa che ha concesso lo svincolo della merce (“dopo aver concesso lo svincolo della merce, l’autorità doganale..”, ovvero “l’ufficio doganale”, che ha provveduto a lasciare le merci alla libera disponibilità dell’operatore), ossia l’autorità che ha emesso la bolletta doganale, all’esito dell’accertamento definitivo della dichiarazione di importazione. Il che equivale a dire che l’autorità competente alla revisione è quella presso la quale è sorta l’obbligazione tributaria, ovve-rosia la Dogana dove si sono svolte le operazioni di importazione.

Tale conclusione è, per vero, avvalorata – come rilevato anche dalle, più volte menzionate, precedenti decisioni di questa Corte – dall’uso, in entrambe le norme succitate, dell’articolo determinativo in luogo di quello indeterminativo, che induce a ritenere che, non di “una” qualsiasi “autorità doganale” o in “un” qualsiasi “ufficio doganale” si tratti, bensì proprio di quell’autorità o di quell’ufficio doganale competenti per territorio, alla stregua del criterio di collegamento suindicato. Non può revocarsi in dubbio, infatti, che il sintomo di capacità contributiva colpito dalle imposte doganali debba essere individuato – in via di principio – nella dichiarazione per l’importazione, con la quale il contribuente manifesta la volontà di rendere liberamente commerciabile la merce in un mercato diverso da quello di origine, determinandone la destinazione al consumo all’interno del territorio doganale.

5.2. A quanto fin qui esposto va, peraltro, ancora soggiunto che lo stesso fatto che il legislatore abbia inteso introdurre, con il D.L. n. 16 del 2012, una nuova disciplina della competenza territoriale per la revisione dell’accertamento doganale definitivo, non attribuendo, tuttavia, alla stessa efficacia retroattiva, vale ad evidenziare la consapevolezza del legislatore medesimo in ordine all’esistenza di un diverso, preesistente, criterio di riparto, non derogabile se non – stante il disposto dell’art. 97 Cost. – per espressa disposizione di legge. E tale diverso criterio – come sopra delineato – le nuove norme hanno inteso mantenere per i casi precedenti la loro entrata in vigore.

5.3. L’accentramento in un unico Ufficio doganale delle pratiche relative alla revisione di accertamenti doganali effettuati da uffici diversi non potrebbe, dunque, alla luce dei criteri desumibili dalla normativa applicabile alla fattispecie ratione temporis, essere operato per il mero fatto che una delle Dogane – nella specie quella di Livorno – abbia effettuato attività investigativa su delega dell’autorità giudiziaria.

A tal fine, interpretando estensivamente il citato disposto del D.P.R. n. 43 del 1973, art. 6, (che si riferisce al riparto di competenza di più Dogane nell’ambito di un’unica circoscrizione), sarebbe stato, invero, necessario un apposito, e motivato (L. n. 241 del 1990, art. 3), provvedimento del capo dell’unità territoriale sovraordinata o dell’organo di vertice dell’amministrazione doganale (trattandosi della competenza di Uffici situati in più circoscrizioni), derogativo della competenza territoriale dei singoli Uffici per ragioni di connessione, o per altre specifiche ragioni, da comunicarsi ai soggetti interessati, nella duplice, menzionata, ottica desumibile dall’art. 97 Cost.. La necessità – insita nella previsione costituzionale succitata – di rispettare il modello organizzativo prefigurato dal D.P.R. n. 43 del 1973, art. 3, (cfr., per una affermazione di principio al riguardo, Cass. 23397/04), induce, difatti, ad escludere la possibilità di deroghe alla competenza territoriale delle Dogane su basi diverse da quella dettata, nella specifica materia dell’organizzazione amministrativa, dalla normativa di settore. E’ fin troppo evidente, pertanto, che siffatta deroga non potrebbe in alcun modo essere automaticamente operativa, per il solo fatto che in unico Ufficio possano essersi concentrate – per delega dell’autorità giudiziaria, motivata da ragioni di connessione intrinseche al processo penale – le indagini concernenti reati finanziari, in relazione a dichiarazioni di importazione accertate da più Uffici. La competenza per il processo penale – per vero – opera su piani diversi e segue regole differenti da quelle dell’organizzazione amministrativa, condizionata, per una prescrizione cogente di rango costituzionale (art. 97 Cost.), al rispetto delle specifiche norme di legge in materia di organizzazione dei pubblici Uffici.

6. Per tutte le ragioni esposte, pertanto, il ricorso deve essere rigettato.

7. Concorrono giusti motivi, tenuto conto della complessità e peculiarità delle questioni trattate, per dichiarare compensate fra le parti le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione;

rigetta il ricorso; dichiara compensate fra le parti le spese del presente giudizio.

Redazione