Consulenze professionali relative ad attività protette liberamente esercitabili da una s.r.l. (Cass. n. 16578/2012)

Redazione 28/09/12
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Svolgimento del processo

1. Con atto di citazione notificato il 30 novembre l999, la C. s.r.l. convenne in giudizio la C. s.p.a., la C. s.p.a., divenuta, poi, C s.p.a., e S. S., per ottenere il pagamento del saldo del corrispettivo cui sosteneva di avere diritto.
La società attrice espose che in data 2l maggio 1998 S., I. G. e D. S. avevano ad essa conferito (unitamente a tre professionisti} il mandato di formare un comitato tecnico atto a definire tempi e modalità operative della realizzazione dì un programma che si sostanziava in una complessa attività di organizzazione della holding C. s.p.a., delle cui quote societarie erano titolari S. S. nella misura del 37,5 per cento I. S. nella misura del 37,5 per cento, G. S. nella misura del 12,5 per cento.
2. Il Tribunale di Roma, con sentenza in data 27 febbraio 2003, dichiarò l’inesistenza della notificazione della citazione e la conseguente nullità del giudizio.
Avverso detta sentenza propose appello la C. s.p.a.
3. Con sentenza depositata in data 11 aprile 2006, la Corte d’appello di Roma, ritenuta valida la notifica dell’atto di citazione, rigetto la domanda nel merito, ritenendo che l’esecuzione della prestazione d’opera professionale di natura intellettuale per cui era causa era stata effettuata dalla C. s.r.l., che, non essendo un professionista, non era iscritta nel1’apposito albo, previsto dalla legge, e, pertanto, ai
sensi dell’art. 2231 cod. civ., il contratto tra la predetta società ed i S. era affetto da nullità assoluta, rilevabile di ufficio, con la conseguenza che la società attrice non aveva azione per il pagamento del compenso richiesto. In proposito osservava la Corte di merito che la legge 23 dicembre 1939, n. 1815, sulla disciplina giuridica degli studi di assistenza e consulenza, indica le attività che possono, con l’osservanza delle prescrizioni ivi previste, essere svolte in forma societaria, escludendo tale forma per l’esercizio di ogni altra attività che, come quella in esame, richieda negli operatori il possesso di specifici titoli di abilitazione professionale.
4. Per la cassazione di tale sentenza ricorre la C. s.r.l. sulla base di due motivi. Resistono con controricorso sia la S., sia la C. s.p.a. e la s.p.a. C. (nuove denominazione della s.p.a. G., già incorporante, a seguito di fusione, la s.p.a. C.), che propongono altresì ricorso incidentale, cui resiste con controricorso laC che ha anche depositato memoria.

Motivi della decisione

1. Deve, preliminarmente, procedersi, ex art. 335 cod. proc. civ., alla riunione del ricorso principale con i ricorsi incidentali, siccome proposti nei confronti della medesima sentenza.
2.1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. cod. civ. e degli artt. 1 e 2 della legge 23 novembre 1939, n. 1815. Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su fatti decisivi per il giudizio (artt. 360 nn. 3 e 5 c.p.c.)”. Avrebbe errato la Corte capitolina nel negare il diritto della C. s.r.l. di ottenere il saldo del compenso per l’attività svolta in
esecuzione del mandato ad essa conferito in data 21 maggio 1998, ritenendo che ad essa sarebbe stato precluso l’esercizio dell’attività professionale oggetto del mandato e che, pertanto, il contratto di mandato sarebbe affetto da nullità assoluta. Tale conclusione sarebbe stata il frutto dell’erroneo convincimento che le prestazioni oggetto del mandato in questione fossero riconducibili ad attività professionale c.d. protetta, che, in quanto tale, non potrebbe essere demandata società di capitali: convincimento che la Corte di merito avrebbe raggiunto senza esaminare il contenuto del contratto. La sentenza di merito avrebbe, dunque, violato tutti i canoni ermeneutici di cui agli artt. 1362 e seguenti cod. civ., ed, in particolare, la disposizione dell’art. 1362, che impone al giudice di interpretare il contratto verificando la comune intenzione delle parti, anche alla luce del loro comportamento successivo alla conclusione del contratto; la disposizione dell’art. 1363, non avendo la sentenza impugnata esaminato il senso letterale delle parole che individuavano l’oggetto del mandato; le regole ermeneutiche poste dagli artt. 1367 e 1368, avendo scelto di interpretare il contratto nel senso della nullità anziché in quello della conservazione dei suoi effetti, e senza riferirsi alla pratica generale, anche in relazione alla tipologia dell’attività oggetto dello stesso: tutto ciò avrebbe impedito al giudice di secondo grado di pervenire alla univoca conclusione che
l’attività oggetto del mandato trascendeva, per contenuto e finalità, quella demandabile a soli professionisti iscritti all’albo, e che le parti avevano inteso conferire mandato allo svolgimento di tale attività anche alla C. Secondo la ricorrente, l’oggetto dell’attività stessa, consistente sostanzialmente nel coordinamento e pianificazione ai fini della realizzazione di un programma, non comporterebbe direttamente la esecuzione di alcuna prestazione intellettuale “protetta”.
2.2. La illustrazione del motivo si conclude con la formulazione, a norma dell’art. 366-bis cod. proc. civ., dei seguenti quesiti di diritto: “Se incorra in violazione dei canoni interpretativi di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. la sentenza che, dovendo procedere alla interpretazione del contratto al fine di individuarne l’oggetto, omette di esaminarne il contenuto e ciononostante pervenga alla affermazione che questo riguardi prestazione d’opera intellettuale c.d. protetta”: “Se ricorra il vizio di motivazione della sentenza che afferma l’appartenenza di una determinata attività al novero delle prestazioni d’opera intellettuale senza dar conto dell’esame della suddetta attività e quindi senza consentire l’individuazione dell’iter logico seguito per attribuire tale qualificazione; “Se sia consentito ad una società di capitali assumere mandato avente ad oggetto attività di consulenza ed assistenza che per natura, caratteristiche e finalità non si risolvono esclusivamente nell’esercizio di professioni intellettuali (c.d. protette), ma in servizi che per la loro originalità e complessità non costituiscono prerogativa esclusiva di una determinata categoria professionale, risultandone un prodotto non interamente ricompreso nell’attività professionale protetta”.
3.1. La censura e fondata nei termini e nei limiti di seguito specificati.
3.2. Secondo il costante orientamento di questa Corte, l’interpretazione di un atto negoziale e tipico accertamento in fatto riservato al giudice di merito, incensurabile in sede di legittimità, se non nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica contrattuale, di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ., o di motivazione inadeguata, in guanto non idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto, onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle regole legali di interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai principi in esse contenuti, ma occorre, altresi, precisare in qual modo e con quali considerazioni il giudice del merito se ne sia discostato.
Nella specie, tale onere e stato adempiuto in modo puntuale dalla ricorrente, che ha compiutamente indicato le norme di ermeneutica che ha ritenuto obliterate, specificando le parti della sentenza impugnata nelle quali, a suo avviso, e riscontrabile tale violazione. Ne consegue l’ammissibilità dell’ingresso nel presente giudizio di legittimità della doglianza, in quanto non risolventesi nella mera richiesta di un interpretazione diversa da quella adottata dal giudice di merito, ma nella censura di concreta violazione di specifiche norme ermeneutiche.
3.3. Ciò posto, deve rilevarsi, nel merito, che la Corte territoriale ha in modo del tutto apodittico, e senza procedere ad alcuna verifica, sostenuto che il mandato conferito alla C. s.r.l. avesse ad oggetto una prestazione d’opera professionale c.d. protetta e pertanto non esercitabile da società di capitali a norma dell’art. 2 della legge n. 1815 del 1939. In realtà, a prescindere dalla considerazione che tale divieto e stato abrogato dall’art. 24 della legge 7 agosto 1997, n. 266, vale il rilievo che, a fronte del tenore testuale del mandato, che faceva riferimento, quale oggetto dello stesso, alla definizione di “tempi e modalità operative necessari alla realizzazione” del programma definito nello stesso contratto, la motivazione della sentenza, totalmente carente sul punto, non consente di ricostruire l’iter logico-giuridico attraverso il quale il giudice di secondo grado e pervenuto al convincimento che si trattasse di prestazione interamente ricomprese nell’attività tipica di una delle professioni protette, cioè esercitabili in via esclusiva da professionisti iscritti ad un albo.
In definitiva, la Corte di merito non ha compiuto alcun accertamento in ordine alla annoverabilità dell’attività oggetto del mandato di cui si tratta nella categoria delle professioni intellettuali per le quali si richiede l’iscrizione in un albo.
4. Resta assorbito, dall’accoglimento della predetta censura, l’esame del secondo motivo del ricorso principale, in tema di spese processuali.
5. Resta, del pari, assorbito l’esame dei ricorsi incidentali, che deducono l’errore in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata nel ritenere che il mandato del maggio 1998 fosse stato conferito alla C. s.r.l., piuttosto che alla persona fisica.
6. In definitiva, deve essere accolto il primo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo ed il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va, conseguentemente, cassata, e la causa rinviata ad un diverso giudice – che viene designato in altra sezione della Corte d’appello di Roma, cui e demandato altresì il regolamento delle spese del presente giudizio – che riesaminerà la controversia compiendo gli accertamenti di cui sub 3.3.

 

P.Q.M.

La Corte, riuniti i ricorsi, accoglie il primo motivo del ricorso principale, assorbiti il secondo ed i ricorsi incidentali. Cassa la sentenza impugnata e rinvia, anche per le spese del presente giudizio, ad altra sezione della Corte d’appello di Roma.
Cosi deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione civile, il 17 gennaio 2012.

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