Giurisdizione amministrativa e decadenza dall’impiego per falsità dei documenti esibiti

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La decadenza dall’impiego comminata «quando sia accertato che l’impiego fu conseguito mediante la produzione di documenti falsi o viziati da invalidità non sanabile», è tipica ed eccezionale espressione di una potestà pubblicistica, riconosciuta dalla legge alla pubblica amministrazione a fronte di condotte fraudolente o decettive aventi ad oggetto la documentazione, in apparenza attestante l’esistenza di tutti requisiti di partecipazione al concorso, grazie alle quali il pubblico dipendente ha conseguito il proprio impiego.

Si è in presenza di fattispecie che, alla luce dell’impostazione ermeneutica offerta dalla Corte costituzionale (sentenza n. 327 del 27 luglio 2009), attiene ai «procedimenti di selezione per l’accesso al lavoro e di avviamento al lavoro», di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), n. 4), della l. n. 421 del 1992 e, in quanto tali, espressamente escluse dal processo di privatizzazione del pubblico impiego avviato da tale legge, avendo il citato articolo escluso dalla giurisdizione del giudice ordinario «le materie di cui ai numeri da 1) a 7) della presente lettera».

Tali procedimenti sono richiamati dal successivo art. 69, comma 1, del d. lgs. n. 165 del 2001 tra le materie di cui all’art. 2, comma 1, lett. c), della l. n. 421 del 1992, come pure la Corte costituzionale ha ricordato nella citata sentenza, e cioè tra quelle che non costituiscono oggetto della contrattazione collettiva perché afferenti, appunto, alle procedure concorsuali per l’assunzione e alla verifica dei requisiti per l’accesso ai pubblici impieghi, la cui cognizione spetta al giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d. lgs. n. 165 del 2001.

Il potere di decadenza in esame è sul piano generale giustificato, per un verso, dal divieto di instaurare o proseguire rapporti di pubblico impiego con soggetti che abbiano agito in violazione del principio di lealtà, che costituisce uno dei cardini dello stesso rapporto (art. 98 Cost.), e per altro dall’esigenza di tutelare l’eguaglianza dei concorrenti, pregiudicati dalla sleale competizione con chi abbia partecipato alla selezione con documenti falsi e/o viziati (art. 97 Cost.).

In ragione di tale ratio, non vi è dubbio che a fronte del suo esercizio, inteso a sanzionare ex post, una volta che sia emersa, la slealtà e la scorrettezza delle gravi condotte che hanno falsato la selezione, vi sia una situazione di interesse legittimo del pubblico dipendente al corretto esercizio di un simile potere connesso, in modo più o meno diretto, al procedimento di selezione, potere che radica la giurisdizione del giudice amministrativo ai sensi dell’art. 63, comma 4, del d. lgs. n. 165 del 2001 e, comunque, ai sensi dell’art. 7, comma 1, c.p.a.

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Biamonte Alessandro

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