Consiglio di Stato sez. VI 8/3/2010 n. 1332

Redazione 08/03/10
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Svolgimento del processo. – Con ricorso dinanzi al Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania, sede di Napoli, n. 4910/1992, notificato alla U. S. L. n. 41 della Campania (ora ASL Napoli 1) il 29 aprile 1992 e depositato il 20 maggio successivo, il signor F.G. esponeva quanto segue:
– che, in servizio originariamente presso il Comune di Napoli come vigile sanitario, fu assegnato, ai sensi della ******** 6 del 1987, alla USL 41 dall’1 marzo 1987;
che, con ordine di servizio n. 8 del 9/3/1997 del Presidente della predetta USL, ratificato dal Comitato di Gestione e munito di presa d’atto del CO.RE.CO., gli furono conferite le funzioni, tuttora svolte, di coordinatore di Ispettori d’Igiene;
che è stato inquadrato come tecnico d’igiene nel 6° livello;
che con istanza notificata alla USL il 29.12.1990, seguita da rituale diffida notificata il 6.2.1992, chiedeva alla USL che gli fossero applicati i benefici previsti dall’art. 1 della legge n. 207/1985 e gli fosse riconosciuto il trattamento economico connesso alle mansioni superiori svolte.
Tutto ciò esposto, il ricorrente impugnava il silenzio rifiuto formatosi sulla istanza e sulla diffida summenzionate, deducendo i motivi di "Violazione di legge ed eccesso di potere".
Stessa ricostruzione in fatto, analoghe richieste e identici motivi il ricorrente rappresentava con il successivo ricorso n. 4911/1992 dinanzi al medesimo T.A.R., diretto (a differenza del primo, proposto soltanto contro la ASL NA 1) anche contro il Comune di Napoli.
La ASL NA 1 non si costituiva in nessuno dei giudizi introdotti dai due gravami.
Il Comune di Napoli, costituito nel giudizio introdotto dal secondo ricorso, concludeva per la sua inammissibilità e infondatezza.
Con sentenza n. 3128/03, pubblicata in data 1 aprile 2003, la I Sezione del TA.R. Campania rigettava entrambi i ricorsi siccome infondati, previa riunione degli stessi e previa declaratoria di inammissibilità del ricorso n. 4911/92 per la parte in cui era diretto contro il Comune di Napoli, compensando tra le parti le spese di lite.
Con ricorso notificato il 29 gennaio 2004 e depositato il 26 febbraio successivo il sig. F. ha proposto appello avverso la prefata sentenza, deducendone l’erroneità e l’ingiustizia e chiedendone la riforma, con ogni conseguente statuizione, anche in ordine alle spese del doppio grado di giudizio, sulla base di un unico ed articolato motivo, così rubricato: " Violazione di legge – Violazione in particolare dei principi portati dalla L. n. 833/1978 (artt. 47, 66, 68) – Violazione dell’art. 36 Cost. – Violazione dell’art. 2126 Cost. – Eccesso di potere per contraddittorietà tra atti e di comportamento, iniquità, travisamento, sviamento, carente istruttoria e violazione del giusto procedimento ".
Si sono costituiti l’ASL Napoli 1 ed il Comune di Napoli, chiedendo il rigetto dell’appello in quanto infondato nel merito, con conseguente conferma della sentenza impugnata e con vittoria delle spese del grado.
In vista dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie, insistendo per l’accoglimento delle conclusioni già rassegnate nei rispettivi atti difensivi.
Alla pubblica udienza del 27 novembre 2009 la causa è stata trattenuta in decisione.

Motivi della decisione. – L’appello è infondato.
Va, anzitutto, confermata la statuizione della sentenza impugnata in cui è stata riconosciuta la estraneità del Comune di Napoli al giudizio introdotto con il ricorso n. 4911/92, notificato anche al Comune di Napoli (oltre che alla ex USL n. 41), atteso che le pretese "si radicano, per ammissione dello stesso ricorrente, su un servizio da lui prestato alle dipendenze della citata USL, dopo quindi che alla relativa Amministrazione egli era stato trasferito dal Comune di Napoli".
Tanto è sostanzialmente riconosciuto dallo stesso appellante, il quale, a pag. 7 dell’atto di appello, ammette che il formale riconoscimento di mansioni da parte del Comune di Napoli "…forse non avrebbe potuto neanche intervenire in quanto, all’epoca della vigenza della normativa in questione, le funzioni erano già state trasferite dai Comuni alle U.S.L." e, pertanto, "il Comune non poteva dar seguito alla tempestiva domanda del ricorrente, non essendo più la materia nella sua disponibilità".
Passando all’esame del merito, dall’oggetto della domanda e della diffida sulle quali si sarebbe formato l’impugnato silenzio rifiuto, entrambe depositate dal ricorrente nel corso del giudizio di primo grado, risulta (cfr. domanda, assunta al protocollo della USL 41 col n. 026525 del 31.12.1990) che il ricorrente chiedeva in termini chiari ed univoci che gli fosse "riconosciuto lo svolgimento delle mansioni superiori svolte, ai sensi della legge n. 207/1985" (richiesta analoga era reiterata con la diffida). Nella domanda il ricorrente precisava altresì di aver prodotto analoga istanza al Comune di Napoli in data 19.6.1985.
Con il ricorso in prime cure l’interessato, oltre a gravarsi contro il silenzio serbato dalla USL intimata, chiedeva anche l’accertamento della pretesa alle differenze retributive per le mansioni superiori asseritamene svolte, premettendo che, originariamente in servizio presso il Comune di Napoli come vigile sanitario, fu successivamente, ai sensi della L.R. n. 6/1987, trasferito alla USL intimata dall’1.3.1987 ed ivi inquadrato, come Ispettore d’Igiene, nel VI livello; il ricorrente fondava entrambe le pretese sull’ ordine di servizio n. 8 del 9.3.1987 del Presidente della USL n. 41, con il quale gli sarebbero state conferite le funzioni di Coordinatore degli Ispettori di igiene.
Il T.A.R. ha ritenuto il ricorso privo di fondamento, sia in relazione alla richiesta di applicazione dei benefici previsti dalla legge n. 207/85 e sia in relazione alla richiesta di riconoscimento economico delle mansioni superiori asseritamene svolte.
Sotto il primo profilo il ricorrente ha prospettato la tesi che con l’avvenuta presentazione della predetta domanda al Comune di Napoli nei termini prescritti dalla legge n. 207/85, egli avrebbe titolo ai benefici previsti da tale legge, ancorché il passaggio effettivo dal Comune di Napoli alla USL n. 41 fosse stato operativo dal marzo 1987. A tale conclusione l’istante è pervienuto nella considerazione che il d.P. R. n. 348/1983 (cioè l’accordo nazionale unico che, ai sensi dell’art. 47 della Legge n. 833 del 23.12.1978 e dell’art. 30 del D. P.R. n. 761 del 20.12.1979, disciplina il trattamento economico del personale delle UU.SS.LL.) sarebbe anche a lui applicabile.
Come correttamente rilevato dal TA.R. l’assunto è privo di consistenza, in quanto il campo di applicazione del predetto accordo è delimitato dallo stesso d. P. R. n. 348/83 che individua i suoi destinatari nel personale dipendente dalle UU.SS.LL. (art. 1) e stabilisce la durata dell’accordo limitandolo al periodo 1.1.198331.12.1984 (art. 3), per cui appare evidente, in mancanza di espressa contraria statuizione, la inapplicabilità del citato testo normativo a chi come il ricorrente non era dipendente dell’USL nel periodo di validità dell’accordo suddetto.
Come fondatamente ritenuto dal Tribunale, infatti, il ricorrente nel periodo 1.1.198331.12.1984 era ancora dipendente del Comune di Napoli e non certamente dipendente della USL, nei cui ruoli è passato, per sua esplicita ammissione, dal 1° marzo 1987.
Pur riconoscendo che il suo passaggio dal Comune di Napoli alla USL 41 è "effettivamente" avvenuto nel marzo del 1987 il ricorrente argomentava tuttavia che la sua richiesta dei benefici della legge n. 207/85 presentata al Comune di Napoli il 19.6.1985 gli avrebbe fruttato l’attrazione della sua posizione nell’ambito normativo della legge n. 207/85, rendendolo destinatario dei relativi benefici. Ciò, aggiunge il T.A.R. "nel riflesso di una supposta operatività retroattiva del suo trasferimento alla USL con decorrenza anteriore al 1 marzo 1987 e comunque utile per permettergli di proporre domanda dei benefici previsti dalla legge n. 207/85 nel termine di 30 giorni dalla sua entrata in vigore così come previsto dall’art. 1 della stessa legge".
Anche questa ulteriore argomentazione è stata giustamente disattesa dai primi giudici.
E, infatti, dalla documentazione versata in giudizio (cfr. delibera n. 911 del 15 luglio 1987 del Comitato di Gestione della USL n. 41), è risultato che il trasferimento dei funzionari e del personale già appartenente al Comune di Napoli (e quindi anche del ricorrente) è stato disposto con decreto n. 3127del 26.2.1987 dell’Assessore regionale dell’Igiene e sanità a seguito della delibera della Giunta Regionale n. 8060 del 16/12/1985, "a decorrere dall’1.3.1987". Ora, come correttamente rilavato dal giudice di prime cure, se questa era la decorrenza "è lecito presumere che il ricorrente fino a quella data ha fruito, come dipendente comunale, della normativa di cui al D. P. R. n. 347/83 che, valido dal 1° gennaio 1983 al 30 giugno 1985, ha come destinatario il personale dipendente dei Comuni". Il ricorrente, dunque, non aveva titolo a chiedere i benefici previsti dalla legge n. 207/85, in quanto, essendo, come dipendente comunale – fino alla data del suo trasferimento alla USL (1.3.1987) – destinatario della normativa dettata dal d. P. R. n. 347/83, egli non poteva evidentemente essere soggetto anche al d. P. R. n. 348/83, relativo al personale delle UU. SS. LL.
Sullo specifico versante della legge n. 205/85, il Tribunale ha poi correttamente osservato – a conferma della non estensibilità al ricorrente di detta legge – che la stessa ha una sfera di efficacia soggettiva limitata al personale che: a) alla data del 30 giugno 84 ricopriva un posto di organico vacante nelle piante organiche delle unità sanitarie locali; b) avesse inoltrato domanda entro 30 giorni dalla data di entrata in vigore della legge (pubblicata nella gazzetta U. 28 maggio 1985).
Orbene, conclude giustamente il T.A.R., "sotto le date anzidette il ricorrente né era dipendente della USL (essendovi stato trasferito dal 1° marzo 1987), né aveva presentato alla Amministrazione della USL domanda di concessione dei benefici previsti dalla legge n. 207 (l’istanza presentata dal ricorrente al Comune il 19.6 1985 era tamquam non esset, essendo egli a quella data, dipendente del Comune, e non della USL e quindi non destinatario della legge n. 207/85)".
Priva di fondamento è stata inoltre ritenuta la pretesa al riconoscimento economico delle mansioni superiori asseritamene svolte ed al pagamento delle differenze retributive a tale titolo.
Il TA.R., premesso che per giurisprudenza costante il diritto alle differenze retributive per lo svolgimento di mansioni superiori da parte di dipendenti delle Unità sanitarie locali presuppone, oltre al previo incarico formale, anche l’esistenza di un posto in organico, vacante e disponibile, al quale le mansioni esercitate siano connesse.(cfr. ex multis, Cons. St., Sez. V, 23. 2. 2001, n. 1040), ha rilevato, con riferimento alla fattispecie in esame, che "né nel citato ordine di servizio del Presidente della USL n. 41 indicato dall’interessato come fonte dell’incarico ricevuto, né nella delibera del 15 luglio 1987, con la quale il Comitato di gestione della stessa USL prendeva atto di detto ordine di servizio, si rinviene alcun elemento dal quale possa desumersi che l’incarico sia stato conferito al ricorrente in relazione ad un posto vacante e disponibile".
Tale statuizione di rigetto del T.A.R merita di essere confermata.
L’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato – con insegnamento dal quale la Sezione non ritiene di doversi discostare – ha, infatti, negato l’applicabilità dell’art. 56 del d.lgs. n. 29 del 1993 al periodo precedente il 22 novembre 1998 (cfr. Ad. Plen., 24.3.2006, n. 3).
Il legislatore, dopo avere introdotto all’art. 57 del d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 29 una disciplina generale del conferimento di mansioni superiori, valida per tutte le pubbliche amministrazioni – quale fenomeno eccezionale e temporaneo (limitato a tre mesi e rinnovabile per eguale periodo, ma con riferimento ad altro dipendente) – ne ha subito rinviato l’applicazione, subordinandola all’emanazione, in ogni amministrazione, dei provvedimenti di ridefinizione delle strutture organizzative. E ha poi rinnovato più volte la proroga sino all’abrogazione della norma (il citato art. 57 è stato abrogato dall’art. 43 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 80 senza avere avuto mai applicazione).
La disciplina delle mansioni superiori di cui al citato art. 57 non è stata ritenuta espressione di un principio generale di più ampia portata e tanto meno applicabile – in aperto conflitto con la contraria volontà espressa dal legislatore con i ripetuti rinvii – a decorrere dalla sua emanazione o, perfino, da data anteriore (cfr. Cons. St., Ad. Plen., 28.1.2000, n. 10).
La materia è stata poi disciplinata dall’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993 (nel testo sostituito dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998) che ha regolamentato, in maniera innovativa, l’istituto dell’attribuzione temporanea di funzioni superiori nell’ambito del pubblico impiego. È così stata affermata – per la prima volta in un testo normativo di portata generale per il pubblico impiego – che al lavoratore spetta la differenza di trattamento economico con la qualifica superiore anche nel caso di assegnazione nulla per violazione delle condizioni ivi previste (comma 5).
Pure questa volta l’operatività della norma veniva rinviata. In particolare, l’art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29/1993 stabiliva che:
a) "le disposizioni del presente articolo si applicano in sede di attuazione della nuova disciplina degli ordinamenti professionali prevista dai contratti collettivi e con la decorrenza da questi stabilita";
b) "i medesimi contratti collettivi possono regolare diversamente gli effetti di cui ai commi 2, 3 e 4";
c) "fino a tale data, in nessuno caso lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza può comportare il diritto a differenze retributive o ad avanzamenti automatici nell’inquadramento professionale del lavoratore".
In seguito, l’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 ha soppresso le parole "a differenze retributive o". In tal modo il legislatore ha manifestato la volontà di rendere anticipatamente operativa la disciplina di cui all’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, almeno con riguardo al diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, a conseguire il trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore.
Attualmente la disciplina è contenuta nell’art. 52 del d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165 ("norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche"), a seguito dell’abrogazione del d.lgs. n. 29/1993 (disposta dall’art. 72 del d.lgs. n. 165/2001).
La giurisprudenza amministrativa ha ritenuto che, per effetto della modifica apportata dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, il diritto del dipendente pubblico, che ne abbia svolto le funzioni, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore vada riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 (22 novembre 1998). Il riconoscimento legislativo di siffatto diritto possiede, infatti, evidente carattere innovativo e non riverbera in alcun modo la propria efficacia su situazioni pregresse.
In tal senso si è espressa più volte – costantemente – l’Adunanza Plenaria (23.2.2000, nn. 12 e 11; n. 10/2000; 18.11.1999, n. 22 e, da ultimo, l’Adunanza Plenaria n. 3 del 2006 cit.) e la giurisprudenza delle Sezioni semplici (cfr., ex multis: a) Sez. IV: nn. 5799, 5798, 5797 e 5796 del 200514 settembre 2005;, nn. 4768, 4767 e 4755; 22 giugno 2004, n. 4433; 7 giugno 2004, n. 3606; 30 giugno 2003, n. 3920; b) Sez. V: 5 ottobre 2005, n. 5323; 29 agosto 2005, n. 4398; n. 3699/2005; 8 febbraio 2005, n. 333; 3 febbraio 2005, n. 264; 19 febbraio 2004, n. 665; 9 giugno 2003, n. 3235; 22 novembre 2001, n. 5924; c) Sez. VI: n. 5632/2005; n. 3365/2005; 16 giugno 2005, n. 3189; 7 giugno 2005, n. 2915; 26 aprile 2005, nn. 1888 e 1887).
L’adunanza plenaria n. 3 del 2006 ha ritenuto che non vi siano motivi per discostarsi da siffatto orientamento malgrado un diverso indirizzo della Corte di Cassazione (cfr. Cass., Sez. lav., 4 agosto 2004, n. 14944; 8 gennaio 2004, n. 91; 25 ottobre 2003, n. 16078).
Secondo la Corte di Cassazione la novella di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 ha effettuato una sorta di intervento correttivo per adeguare il sistema ai principi costituzionali e attenuare le più stridenti differenze con il regime del lavoro privato. Con la conseguenza che la ratio adeguatrice ai principi costituzionali del predetto art. 15 giustificherebbe il carattere retroattivo del medesimo.
La Corte di Cassazione ha precisato che l’assoluta esclusione, a opera del nuovo art. 56, comma 6, del d.lgs. n. 29/1993, del diritto a differenze di retribuzione nel caso di svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica di appartenenza, è giustificatamente apparsa al legislatore delegato, a un più meditato esame, come una norma in contrasto con i principi costituzionali, da espungere quindi in occasione del primo intervento correttivo. Tale essendo la ratio della disposizione correttiva, è giustificata l’interpretazione che attribuisce alla medesima la sua massima potenzialità rispetto alla sua ragione e alla sua funzione, e cioè un’efficacia retroattiva. In sostanza, l’attribuzione dell’efficacia retroattiva alla disposizione correttiva di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998 assicura – diversamente dell’opposta interpretazione – la conformità ai principi costituzionali della normativa vigente precedentemente, e quindi è rispettosa del criterio interpretativo secondo cui deve preferirsi l’interpretazione che comporta un quadro normativo compatibile con le prescrizioni costituzionali.
L’Adunanza Plenaria ha ribadito che la norma di cui all’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, non avendo carattere interpretativo, non può che disporre per il futuro. Il carattere di norma di interpretazione autentica va riconosciuto soltanto alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero a escludere o a enucleare uno dei sensi tra quelli ragionevolmente ascrivibili alle norme interpretate; mentre, nel caso della disposizione di cui trattasi, la scelta assunta dalla norma, che si assume interpretativa, non rientra in nessuna delle varianti di senso compatibili con il tenore letterale del combinato disposto dei pregressi artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993.
Così interpretato, l’art. 56 del d.lgs. n. 29/1993, nel testo modificato dall’art. 15 del d.lgs. n. 387/1998, con riguardo al periodo precedente l’entrata in vigore di quest’ultimo, non consente che lo svolgimento di mansioni superiori rispetto alla qualifica ricoperta formalmente comporti il pagamento delle differenze retributive eventualmente pretese dal pubblico dipendente.
La norma statale – così come quelle regionali (L.R. Veneto 3.5.1988, n. 25 art. 49 e L.R. Veneto 10.6.1991, n. 25 art 40), denunciate dall’appellante di incostituzionalità in via incidentale e subordinata, per violazione degli artt. 3, 36, 97 e 98 Cost. – non appare incostituzionale, non essendo, sotto l’aspetto dello svolgimento di mansioni superiori da parte del dipendente, il rapporto di pubblico impiego assimilabile al rapporto di lavoro privato, in quanto nell’ambito del rapporto di pubblico impiego concorrono, con l’art. 36 Cost. (il quale afferma il principio di corrispondenza della retribuzione dei lavoratori alla qualità e quantità del lavoro prestato), altri principi di pari rilevanza costituzionale; quali quelli previsti dall’art. 98 Cost. (il quale, nel disporre che i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione, vieta che la valutazione del rapporto di pubblico impiego sia ridotta alla pura logica del rapporto di scambio) e dall’art. 97 Cost., contrastando l’esercizio di mansioni superiori rispetto alla qualifica rivestita con i principi di buon andamento e imparzialità dell’amministrazione, nonché con la rigida determinazione delle sfere di competenza, attribuzioni e responsabilità dei funzionari.
In ogni caso, il generale riconoscimento del diritto dei pubblici dipendenti alle differenze retributive per lo svolgimento delle mansioni superiori svolte solo a decorrere dall’entrata in vigore del d.lgs. n. 387/1998 trova la sua ratio con l’organica disciplina delle mansioni introdotta dall’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, che ha sostituito e abrogato le disposizioni apportate in materia, rispettivamente, dagli artt. 56 e 57 del d.lgs. n. 29/1993.
L’art. 25 del d.lgs. n. 80/1998, una volta delineata la completa disciplina della materia in parola in un quadro di armonico rispetto dei principi costituzionali ricavabili dagli artt. 51, 97 e 98 della cost., ha consentito di recepire nell’ordinamento del pubblico impiego il pur primario valore di cui all’art. 36 della cost.; disponendo che, per il periodo di effettiva prestazione delle mansioni superiori, il lavoratore ha diritto al trattamento economico previsto per la corrispondente qualifica. Il che non fa dubitare della costituzionalità della pregressa disciplina, dato che essa tende – in maniera razionale, in assenza di un compiuto quadro di regolamentazione dell’istituto e in vista dell’equo contemperamento dei principi costituzionali sopra enunciati – soltanto a evitare che le attribuzioni delle mansioni e del relativo trattamento economico potessero, nel pubblico impiego, essere oggetto di libere determinazioni da parte dei funzionari (cfr. Cons. St., Sez. VI, 8 gennaio 2003, n. 17, 19 settembre 2000, n. 4871 e 11 luglio 2000, n. 3882; Ad. Plen., n. 11/2000).
Il principio di retribuibilità delle mansioni superiori infatti è stato introdotto con efficacia differita alla data che sarebbe stata stabilita dai contratti collettivi.
Nel caso in esame il ricorrente asserisce di aver svolto le mansioni superiori a decorrere dal luglio del 1987.
Va quindi rilevato che il diritto del dipendente pubblico, che abbia svolto mansioni superiori, al trattamento economico relativo alla qualifica immediatamente superiore, va riconosciuto con carattere di generalità solo a decorrere dalla data di entrata in vigore dell’art. 15 d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387 (dal 22 novembre 1998), atteso il carattere innovativo delle disposizioni in esso contenute.
Non ha natura di norma di interpretazione autentica la disposizione contenuta nell’art. 15 d.lg. 29 ottobre 1998 n. 387, poiché tale natura va riconosciuta solo alle norme dirette a chiarire il senso di quelle preesistenti, ovvero, in caso di interpretazioni polisense, ad enuclearne il senso ad esse più ragionevolmente ascrivibile.
Ciò acclarato nella specie si deve fare applicazione dell’insegnamento tradizionale – affermato dalla Adunanza Plenaria n. 3 del 2006 – secondo il quale le mansioni svolte dal pubblico dipendente, eventualmente superiori rispetto alla qualifica rivestita, sono del tutto irrilevanti sia ai fini della progressione in carriera sia ai fini retributivi, non essendo il rapporto di lavoro pubblico assimilabile a quello privato (cfr., da ult., Cons. St., Sez. V, 19.11.2009, n. 7234).
L’appello, pertanto, deve essere respinto, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Stante la particolarità della vicenda e le oscillazioni giurisprudenziali in materia, sussistono giusti motivi per disporre la compensazione integrale fra le parti delle spese, competenze ed onorari del presente grado di giudizio.

P.Q.M. – Il Consiglio di Stato, Sezione Quinta, respinge l’appello.
Spese del grado compensate.

Redazione