Consiglio di Stato sez. VI 3/9/2009 n. 5190; Pres. Varrone C.

Redazione 03/09/09
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FATTO E DIRITTO

1) – Con la sentenza appellata il TAR ha accolto il ricorso proposto dall’odierno appellato per l’annullamento del provvedimento n. K10C/127112/R del 15.2.2005, con cui il Ministro dell’Interno ha rigettato la sua istanza volta ad ottenere la concessione della cittadinanza italiana.

Il TAR ha accolto il ricorso avendo osservato che nessuno degli atti di causa era obiettivamente tale da far presumere che l’inserimento dell’interessato nel "corpo" nazionale potesse costituire un serio pericolo per la sicurezza dello Stato (così come era precisato, in buona sostanza, nelle premesse del provvedimento impugnato, basato su quest’unico presupposto); dalle risultanze della disposta istruttoria era – infatti – emerso soltanto che il ricorrente (circa dieci anni addietro) era stato oggetto di superficiali accertamenti di polizia nell’ambito di una non meglio precisata inchiesta (che aveva comportato la messa sotto controllo di numerose utenze telefoniche intestate a cittadini mediorientali ritenuti simpatizzanti del gruppo armato G.I.A.).

Ebbene, hanno rilevato i primi giudici, posto che tali accertamenti non avevano evidenziato il benché minimo coinvolgimento dell’interessato in attività lato sensu eversive (altrimenti non spiegandosi il perché al medesimo, in possesso di una "fedina" penale pulita, fosse stata, poi, rilasciata una regolare carta di soggiorno valevole sino all’ottobre del 2011), era inevitabilmente da convenirsi sul fatto che la P.A. si era determinata a rigettare l’istanza sulla base della sola constatazione che il ricorrente era stato (per così dire) "chiamato" da cellulari intestati a due individui in contatto con un gruppo integralista felsineo; senza, però, che fosse dato sapere alcunché sul contenuto di queste conversazioni (che potrebbero, al limite, non essersi neppure verificate) né circa l’effettiva identità dei soggetti (che, come insegna la comune esperienza, possono esser ben diversi dagli intestatari delle singole utenze) tra cui le conversazioni stesse si sarebbero svolte.

In conclusione, ha osservato il TAR, dalla mera circostanza di cui si è testé fatto cenno, l’amministrazione – che non aveva fatto alcun riferimento ad una non intervenuta assimilazione dell’interessato, in possesso di un reddito autonomo e decoroso, al "corpo" nazionale o ad una sua pretesa mancanza di sentimenti di italianità – ha ritenuto di poter desumere (adeguandosi, acriticamente, a quanto sostenuto dalla Questura di Bologna) che anche il ricorrente fosse legato al "G.I.A." o ne fosse, quanto meno, un simpatizzante; ciò che, peraltro, no0n è risultato suffragato da alcun elemento indiziario degno di questo nome; donde l’accoglimento del ricorso e l’annullamento del provvedimento impugnato.

2) – Per l’amministrazione appellante la sentenza sarebbe erronea e dovrebbe essere riformata in quanto, nella specie, sarebbero sussistiti sufficienti elementi atti a giustificare l’atto impugnato, così come ritenuto, del resto, da questo stesso Consiglio in sede di consultazione.

Con ordinanza 10 ottobre 2006, n. 5299, la Sezione ha accolto l’istanza cautelare di sospensione dell’efficacia della sentenza appellata.

Non si è costituito in giudizio l’appellato.

3) – Con decisione interlocutoria n. 576 del 3 febbraio 2009 la Sezione ha ritenuto di dover acquisire, ai fini della completezza istruttoria, copia della nota "riservata" n. 400/C/7732/J4/2002/1140/04/R del 9 aprile 2004 sulla quale poggia il parere della Sezione I di questo Consiglio 6 ottobre 2004, n. 9117/2004 (parere richiamato tra i presupposti dell’atto impugnato).

4) – L’appello è fondato.

Il provvedimento impugnato poggia essenzialmente sulla nota 8 marzo 2002, n. 377, della Questura di Bologna (richiamata, ob relationem, negli altri atti impugnati facenti parte dell’iter procedimentale e citati nell’anzidetto parere di questo Consiglio) ove, con riguardo all’interessato, si riporta quanto segue:

"nell’inverno 1997 fu oggetto di labili accertamenti….nel contesto di un’articolata indagine sul conto di numerosi cittadini mediorientali vuolsi legati/simpatizzanti del GIA; accertamento operato nell’ambito dello sviluppo di svariate utenze telefoniche composte, in uscita, da cellulari rispettivamente intestati a Bhari e ******, soggetti, questi, in contatto con il gruppo integralista felsineo "pro GIA" (il Bhari ha operato anche occupazione abusiva di case popolari)"; con la stessa nota si esprimeva anche l’avviso che, in quanto legato a detti ambienti, la richiesta di cittadinanza fosse legata solo a "motivi di opportunità", sicché potevano nutrirsi dubbi sull’affidabilità democratica e sui sentimenti di italianità richiesti dalla legge.

Ciò posto, è da ritenere che di comprovato, nella specie, vi era l’esistenza di rapporti telefonici (ancorché di contenuto ignoto) con individuati personaggi legati al terrorismo internazionale.

Ebbene, ciò giustifica, in definitiva, l’adozione del provvedimento impugnato; stante l’ampia discrezionalità di cui gode l’amministrazione in sede di naturalizzazione e i delicati principi operativi che attengono alla sicurezza dello Stato, è da ritenere che la sussistenza dei detti elementi costituisca sufficiente presupposto ai fini dell’adozione del provvedimento di diniego oggetto del presente giudizio.

L’art. 6 della legge n. 91 del 1992, recante "nuove norme sulla cittadinanza" ha previsto, invero, alla lettera c) del comma 1, che l’acquisto della cittadinanza è precluso quando emerge "la sussistenza, nel caso specifico, di comprovati motivi inerenti alla sicurezza della Repubblica"

Rientra certamente, tra tali motivi, l’ipotesi in cui vi siano ragionevoli e comprovati elementi tali da indurre a ritenere che il richiedente abbia contatti con appartenenti ad organizzazioni estremistiche (cfr., tra le altre, la decisione della Sezione29 luglio 2008, n. 3783); e, nell’operare le proprie valutazioni, l’Amministrazione ben può limitarsi – anche per evidenti ragioni di sicurezza di coloro che hanno compiuto gli accertamenti – a ravvisare semplicemente la sussistenza dei presupposti di pericolosità, senza esporre le specifiche circostanze che abbiano indotto a siffatta valutazione; il che è appunto avvenuto nella specie con la comunicazione del provvedimento impugnato in prime cure; e, del resto, gli accertamenti riservati non sono stati posti a base di misure limitative della libertà o di altri diritti costituzionalmente garantiti, ma hanno dato luogo alla formulazione di una valutazione riferibile al potere sovrano dello Stato di ampliare il numero dei propri cittadini (e che può essere risollecitata dopo cinque anni dall’emanazione del diniego, ai sensi dell’art. 8, comma 1, della legge n. 91 del 1992).

5) – Per tali motivi l’appello in epigrafe appare fondato e va accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, va respinto il ricorso di primo grado.

Sussistono giusti motivi per compensare integralmente tra le parti le spese del doppio grado.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Sesta, accoglie l’appello in epigrafe e, per l’effetto, respinge il ricorso di primo grado.

Spese compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Redazione