Consiglio di Stato sez. VI 17/4/2009 n. 2342; Pres. Barbagallo G.

Redazione 17/04/09
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Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con il ricorso di primo grado, era stato chiesto dall’odierno appellante l’annullamento del decreto del Questore del l’11.8.2005, di rigetto dell’istanza di rinnovo del permesso di soggiorno e degli atti connessi: erano state dedotte le censure di eccesso di potere sotto vari profili in quanto era mancante nel provvedimento impugnato la indicazione degli estremi dell’oggetto e dello stesso oggetto, il vizio di eccesso di potere per travisamento in quanto i requisiti e i presupposti per l’assunzione del citato provvedimento non sussisterebbero a causa della diversa fattispecie da considerarsi, carenza di idonea motivazione; si lamentava altresì la sospetta incostituzionalità dell’ art. 26, c. 7 bis e dell’art. 4 del T.U. del 1998 poiché la pericolosità sociale non sarebbe aprioristicamente presumibile, dovendosi, invece, ponderare caso per caso ed in concreto, la sussistenza della stessa.

Il Tar adito ha respinto il ricorso richiamando numerose pronunce della Consulta che avevano esaminato funditus la medesima questione sollevata dall’appellante, evidenziando che l’oggetto del provvedimento era costituito dalla stessa istanza dell’appellante, e rilevando la neutralità della circostanza che il precedente permesso di lavoro atteneva allo svolgimento di attività a titolo subordinato.

L’odierno appellante ha proposto una articolata critica alla sentenza in epigrafe, sotto tutti i versanti motivazionali suindicati ribadendo le censure già esposte in primo grado e chiedendo la riforma dell’appellata decisione.

Ha rievocato il pregiudizio penale dal quale era stato attinto (sentenza del Tribunale di Roma del 27.11.2003, divenuta irrevocabile nel 2005, concernente fatti verificatisi nel 2001), facendo presente che gli erano state concesse le circostanze attenuanti generiche di cui all’art. 62 bis cp: peraltro, i fatti contestatigli (artt. 171 bis e ter della legge n. 633/1941, e ricettazione, concernenti violazioni alle disposizioni in materia di diritto d’autore) non erano dimostrativi di pericolosità sociale.

L’Amministrazione aveva acriticamente citato il precedente penale in oggetto, ed omesso ogni effettiva indagine sulla pericolosità sociale dell’appellante e sul grado di inserimento del medesimo in Italia: la sentenza impugnata mutuava tali vizi e, in quanto erronea, meritava di essere annullata.

L’appellata Amministrazione, costituitasi nell’odierno giudizio d’appello ha depositato una articolata memoria chiedendo di respingersi l’appello in considerazione della condanna subìta dall’appellante ed al conseguente giudizio di pericolosità che ne è disceso.

DIRITTO

Stante la completezza del contraddittorio e la mancata opposizione delle parti presenti la causa può essere decisa nel merito, tenuto conto della fondatezza dell’appello.

Invero deve premettersi che il riferimento normativo alle condanne per delitti in materia di c.d. "tutela del diritto d’autore", quale automatico dato preclusivo della possibilità per lo straniero di ottenere/mantenere il titolo abilitativo della propria presenza in Italia è contenuto nella disposizione di cui all’art. 26 comma 7 bis del D. lvo n. 286/1998.

Detto articolo del testo unico disciplina la posizione dello straniero richiedente il permesso di soggiorno per lavoro autonomo.

La fattispecie in oggetto non si attaglia, pertanto, alla posizione dell’odierno appellante, richiedente un titolo abilitativo motivato dal rapporto di lavoro subordinato.

Parte della giurisprudenza di primo grado (si veda T.A.R. Toscana, sez. I, 22 novembre 2007, n. 4176) patrocina una interpretazione testuale della disposizione in oggetto, quanto all’ambito applicativo della medesima.

Non ignora il Collegio, peraltro, che recente giurisprudenza di primo grado (T.A.R. Lazio Roma, sez. II, 08 marzo 2007, n. 2237) abbia ritenuto di ampliare lo spettro di operatività della disposizione in oggetto, affermando che "l’applicazione dell’art. 26 comma 7, d.lg. 25 luglio 1998 n. 286 che prevede per il cittadino extracomunitario che commetta un reato legato alla tutela del diritto d" autore e dei marchi industriali, la revoca del permesso di soggiorno e l’espulsione del medesimo con accompagnamento alla frontiera a mezzo della forza pubblica, deve essere consentita anche nell’ipotesi in cui lo straniero che sia già titolare del permesso per lavoro subordinato alla scadenza ne chieda il rinnovo dopo aver riportato condanna per reato concernente il falso d’autore; ciò perché non è da escludere che il titolare di un rapporto di lavoro subordinato possa nel tempo libero (e cioè dopo l’orario di lavoro, nel fine settimana o nei periodi di ferie) dedicarsi alla vendita di articoli contraffatti."

Detto arresto, che muove dalla condivisibile esigenza di evitare la perpetrazione di una disparità di trattamento a cagione di truffaldine iniziative dei richiedenti – anche a volerne affermare la condivisibilità- non appare al Collegio tuttavia applicabile al caso di specie.

Ciò perché, avuto riguardo alla sede ove si rinviene la disposizione medesima, e nella considerazione che analoga disciplina non è stata dettata con riguardo alla posizione del richiedente un permesso di lavoro subordinato, ciò che appare impossibile è da essa farne discendere una preclusione assoluta ad ottenere il titolo abilitativo (per lavoro subordinato), in carenza di alcuna valutazione in ordine alla pericolosità del medesimo.

E’ indubbio che il legislatore, mercè la disposizione in oggetto, abbia espresso un penetrante disfavor verso la commissione di simili reati; ed altresì incontestabile appare che abbia voluto dettare una disciplina preclusiva automatica per lo straniero richiedente un permesso di lavoro autonomo.

Si è anche richiamata la giurisprudenza volta ad evitare interpretazioni fraudolente della apparente lacuna normativa in oggetto, di guisa che ogni soggetto attinto da precedenti penali afferenti la violazione delle disposizioni poste a tutela del c.d "diritto d’autore" eviti di cadere sotto l’applicazione della preclusione soprarichiamata, semplicemente richiedendo il permesso di soggiorno a titolo di lavoro subordinato.

Il Collegio ritiene però che ciò non possa avvenire estendendo puramente e semplicemente l’ambito applicativo della disposizione medesima oltre quanto previsto dal dato testuale.

Tale elemento, invece, può -e deveessere valutato dall’Amministrazione quale elemento che, unito ad eventuali altri, possa eventualmente comprovare la pericolosità del richiedente.

Nel caso di specie è stato del tutto omesso ogni accertamento sulla pericolosità dell’appellante; ci si è acriticamente richiamati al precedente penale in oggetto facendone discendere un effetto preclusivo automatico non discendente dalla disposizione di legge.

La sentenza non resiste alle censure contenute nel ricorso in appello che, pertanto, merita accoglimento, con conseguente riforma della sentenza di primo grado ed accoglimento del ricorso di primo grado proposto dall’appellante.

La particolarità delle questioni esaminate trattate consente di disporre l’integrale compensazione delle spese sostenute dalle parti per entrambi i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione VI, accoglie il ricorso in appello e, per l’effetto, in riforma dell’appellata decisione, accoglie il ricorso di primo grado ed annulla il provvedimento reiettivo impugnato.

Spese del giudizio compensate.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Redazione