Consiglio di Stato sez. VI 13/5/2011 n. 2920

Redazione 13/05/11
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FATTO e DIRITTO
1. Con il ricorso di primo grado n. 2354 del 2008, il sig. ********, odierno appellante, deduceva che nella sua qualità di dipendente della ASL, di Roma A, veniva assegnato a prestare servizio presso il policlinico ******* I, in attuazione di una convenzione stipulata il 27 aprile 1986 tra la Regione Lazio e l’Università degli studi di Roma La Sapienza; a partire dal giugno 1986 e fino alla data del suo collocamento a riposo in data 1° aprile 1998 sarebbe stato adibito, all’interno dell’ufficio amministrativo della farmacia del Policlinico Umberto I, alle funzioni superiori di collaboratore amministrativo (7 qual.) rispetto alle proprie di coadiutore amministrativo (4 qual.).
Egli agiva pertanto in giudizio per ottenere la retribuzione corrispondente alle mansioni superiori effettivamente svolte, oltre a interessi e rivalutazione monetaria.
2. Il Tar adito, con la sentenza in epigrafe, ha respinto il ricorso, in base al duplice argomento che:
a) la spettanza di retribuzione per le mansioni superiori svolte sarebbe comunque esclusa per il periodo anteriore all’entrata in vigore dell’art. 15, d.lgs. n. 387/1998;
b) in ogni caso per il riconoscimento delle spettanze per mansioni superiori occorre che queste ultime siano conferite con atto formale.
3. Ha proposto appello l’originario ricorrente, con cui deduce che:
a) ai sensi dell’art. 79, d.P.R. n. 761/1979, nel settore sanitario per la retribuibilità delle mansioni superiori non occorrerebbe il loro conferimento con atto formale;
b) l’art. 15, d.lgs. n. 387/1998 avrebbe portata retroattiva.
4. L’appello va disatteso.
4.1. La possibilità di conferire al dipendente, in via temporanea e in presenza dei relativi presupposti, mansioni superiori, con conseguente spettanza del relativo trattamento economico, è stata disciplinata in termini generali solo con l’art. 57, d.lgs. n. 29/1993, previsione la cui entrata in vigore è stata differita fino al 1° gennaio 1999, e, in prosieguo, con l’art. 56, d.lgs. n. 29/1993, introdotto dal d.lgs. n. 387/1998.
In precedenza, la regola generale, recata dal t.u. pubbl. imp., era quella del divieto di adibire il dipendente a mansioni superiori, col corollario della non spettanza di emolumenti ulteriori, qualora il divieto fosse stato violato.
4.2. In deroga a tale regola generale, per il personale sanitario l’art. 29, d.P.R. n. 761/1979, aveva già previsto che in caso di esigenze di servizio il dipendente – con la qualifica di medico – può eccezionalmente essere adibito a mansioni superiori. L’assegnazione temporanea, che non può comunque eccedere i sessanta giorni nell’anno solare, non dà diritto a variazioni del trattamento economico.
La giurisprudenza ne ha tratto la duplice conclusione che, ai sensi di tale disposizione:
a) qualora l’assegnazione alle medesime mansioni si protragga oltre il termine di sessanta giorni nell’anno solare, spetta al prestatore di lavoro il trattamento economico corrispondente all’attività concretamente svolta, né rilevano quindi i motivi e le circostanze che hanno determinato l’espletamento delle mansioni superiori (Cons. St., sez. V, 9 marzo 1995 n. 328);
b) l’esistenza in organico di un posto vacante e disponibile è il presupposto indispensabile perché l’esercizio delle funzioni superiori da parte del dipendente U.S.L., dia diritto (dopo 60 giorni) al corrispondente trattamento economico (Cons. St., sez. V, 9 aprile 1994 n. 267).
Per la posizione dell’appellante, non può trovare applicazione il richiamato art. 29, poiché egli risulta in possesso di una qualifica amministrativa e non medica (in quanto inquadrato nel quarto livello, mentre la pretesa riguarda la corresponsione di quanto dovuto al collaboratore amministrativo del settimo livello).
4.3. Oltre a tale decisiva considerazione, va richiamata anche la giurisprudenza per la quale anche in base all’art. 29 d.P.R. n. 761/1979 non è possibile configurare l’esercizio di mansioni superiori retribuibili qualora sia inesistente una determinazione formale, sia pure illegittimamente assunta, con la quale il funzionario sia stato incaricato a ricoprire quel determinato posto e qualora l’interessato non abbia ricoperto un posto vacante di livello superiore (Cons. St., sez. V, 7 aprile 2009 n. 2150; sez. V, 14 gennaio 2009 n. 100; sez. V, 17 settembre 2008 n. 4431; sez. V, 8 maggio 2007 n. 2130; sez. V, 28 gennaio 1998 n. 112).
Nel caso di specie vi sono solo atti dell’amministrazione che ex post operano una ricognizione delle mansioni svolte, in via di fatto, dal dipendente, ma non risulta in alcun modo dimostrato che le mansioni superiori siano state espletate in virtù di un atto di conferimento formale.
E’ bensì vero che sono stati prodotti in giudizio svariati atti con cui l’Amministrazione ha nominato il sig. F. componente di commissioni di aggiudicazione, ma tali atti non si identificano con l’atto formale di conferimento di mansioni superiori, che esige un conferimento per un certo lasso temporale e per un numero indeterminato di compiti inerenti le mansioni superiori, e non l’assegnazione al compimento di singoli atti propri delle mansioni superiori.
4.4. Né può condividersi la tesi della portata retroattiva dell’art. 15, d.lgs. n. 387/1998, atteso che secondo la giurisprudenza di questo Consiglio, che il collegio condivide, lo svolgimento di mansioni superiori nell’ambito del pubblico impiego, anche se protratte nel tempo e assegnate con atto formale su posto vacante e disponibile, è giuridicamente ed economicamente irrilevante, salvo il diritto alle differenze retributive, ove sussistano tutti i relativi presupposti, per il periodo successivo all’entrata in vigore dell’art. 15 d.lgs. n. 387/1998, che ha modificato l’art. 56, d.lgs. n. 29/1993 (Cons. St., sez. IV, 8 giugno 2009 n. 3514).
5. In conclusione, l’appello va respinto.
Le spese del secondo grado seguono la soccombenza e si liquidano in complessive euro cinquecento.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta), definitivamente pronunciando sull’appello n. 219 del 2010, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Condanna l’appellante al pagamento delle spese del secondo grado di lite nella misura complessiva di euro cinquecento.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione