Consiglio di Stato sez. V 10/5/2010 n. 2750

Redazione 10/05/10
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FATTO. – Riferisce l’appellante che a seguito di controversia sorta con il presidio ospedaliero "Ospedale **************" di Torino, il quale gli aveva illegittimamente preferito altri per il conferimento dell’incarico di aiuto di chirurgia plastica, il T.A.R. Piemonte aveva ordinato di assegnargli l’incarico con decorrenza dalla data originariamente fissata, ma che il Comitato di Gestione della U.S.S.L. Torino IV, con deliberazione in data 14 novembre 1984, ha disposto l’assunzione in servizio del dr. con decorrenza giuridica dal 6 maggio 1980, ma con decorrenza economica dall’inizio effettivo del servizio (1 febbraio 1985).
Il dr. M., quindi, ritenendo di aver diritto al risarcimento dei danni conseguenti alla tardiva assunzione in servizio, ha proposto ricorso avanti al Pretore del Lavoro di Torino, chiedendo la condanna della U.S.S.L. al risarcimento dei danni.
Il Pretore del Lavoro di Torino, con sentenza in data 6 luglio 1987, n. 2932, ha accolto la domanda proposta dal dr. M., condannando parte convenuta al pagamento della somma di £. 41.663.461.
Tale giudizio è proseguito innanzi al Tribunale di Torino, che con sentenza 20 febbraio 1989, n. 1061 accoglieva l’appello proposto dall’U.S.S.L. e successivamente innanzi alla Corte di Cassazione, che con sentenza delle Sezioni Unite n. 5432 del 7 maggio 1991, accoglieva il ricorso incidentale dell’U.S.S.L. e dichiarava la giurisdizione del giudice amministrativo, trattandosi di domanda collegata al rapporto di pubblico impiego.
In particolare, la pronuncia delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione ha stabilito: "la giurisdizione esclusiva del Giudice amministrativo si estende alle pretese anche se prospettate come risarcimento del danno, ma che trovano il loro momento genetico diretto nel rapporto di impiego e nell’asserita violazione da parte della P.A. delle norme che lo regolano (o che ne regolano la formazione), onde la domanda ha la sua causa petendi nel rapporto in lutto il suo svolgimento".
Vista la sentenza resa dalla Corte di Cassazione, il dr. M. ha proposto ricorso avanti al T.A.R. Piemonte, richiedendo la corresponsione del trattamento retributivo relativo al periodo compreso tra la decorrenza giuridica dell’assunzione e l’effettivo inizio del servizio, maggiorato di interessi legali e di rivalutazione monetaria.
Il ricorrente, inoltre, ha precisato che la tardiva assunzione era imputabile unicamente all’Amministrazione, con conseguente obbligo di quest’ultima di corrispondere gli emolumenti stipendiali non percepiti nelle more.
Con sentenza n. 481/1997 il T.A.R. Piemonte, Sezione II, ha respinto il ricorso, affermando che la restitutio in integrum agli effetti economici, oltre che giuridici, spetta al pubblico dipendente nel solo caso di illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in corso, e non anche nell’ipotesi di giudicato che riconosca illegittimo il diniego di costituzione del rapporto stesso ed escludendo che la domanda proposta dal ricorrente fosse qualificabile quale azione per i danni patrimoniali conseguenti all’illegittimo comportamento dell’Amministrazione.
Avverso tale sentenza il dr. M. ha proposto ricorso in appello, ritenendo la pronuncia resa dal T.A.R. Piemonte erronea ed ingiusta sotto diversi profili.
Si è costituita in giudizio l’Azienda U.S.L. TO IV (ora A.S.L. 3),chiedendo il rigetto dell’appello in quanto infondato, con conseguente conferma della sentenza impugnata.
Prima dell’udienza di discussione le parti hanno depositato memorie illustrative e la causa è stata trattenuta in decisione alla pubblica udienza del 12 gennaio 2010.

DIRITTO. – L’appello è fondato.
Il T.A.R. ha correttamente richiamato l’orientamento giurisprudenziale secondo cui la in integrum restitutio non spetta nel caso di un giudicato amministrativo il quale riconosca illegittimo il diniego di costituzione di un rapporto non ancora sorto, diversamente dall’ipotesi (che qui non ricorre) dell’illegittima interruzione di un rapporto di lavoro già in corso (in tal senso, ex plurimis: Cons. Stato, Ad. Plen. 12 dicembre 1991, n 10; id, Sez. V, sent. 26 ottobre 2006, n. 6403; id., Sez. V, sent. 30 agosto 2006, n. 5060; id, Sez. VI, sent. 5 giugno 2006, n. 3338).
Nel caso di specie, dunque, è ammessa soltanto la ricostruzione della carriera ai fini giuridici, salva restando l’esperibilità, da parte dell’interessato della tutela risarcitoria (si tratta, del resto, di un approccio concettuale confortato da giurisprudenza ormai consolidata, ex plurimis: Cons. Stato, Sez. VI, sent. 22 ottobre 2002, n. 5816; id, Sez. VI, sent. 26 marzo 2002, n. 1699; id, Sez. VI, sent. 1 settembre 1999, n. 1137).
La sentenza del T.A.R. impugnata in questa sede ha, tuttavia, respinto il ricorso proposto dal dr. M. escludendo che la domanda proposta dal ricorrente fosse qualificabile quale azione per i danni patrimoniali conseguenti all’illegittimo comportamento dell’Amministrazione.
Che la domanda proposta dal ricorrente in primo grado sia una domanda di risarcimento dei danni è stato, invece, esplicitamente affermato dalla sentenza delle Sezioni Unite della Corte di Cassazione (n. 5432 del 1992), intervenuta nella presente controversia, che a pag. 12 ha precisato: "nella presente controversia la considerazione sostanziale che in effetti il postulante, una volta instaurato il rapporto di pubblico impiego, si dolga contro la Pubblica Amministrazione per non averlo assunto in data anteriore anche agli effetti economici (come doveva se non avesse erroneamente valutato le risultanze del concorso di ammissione al posto di aiuto chirurgo) e chiede i danni parametrati agli stipendi non percepiti e contestati, il petitum sostanziale determinante ai fini della elezione della Giurisdizione si risolve in una petizione di arretrati stipendiali per la evidenziale considerazione che il presupposto della pretesa è il rapporto di pubblico impiego che si è ormai costituito tra le parti".
Tale orientamento giurisprudenziale, com’è noto, è stato successivamente ribadito, ritenendosi che nel caso di ritardata assunzione in servizio conseguente ad un comportamento della P.A. dichiarato definitivamente illegittimo con sentenza passata in giudicato, la controversia instaurata dall’impiegato assunto in servizio con effetto retroattivo ai soli fini giuridici e non anche economici, ed avente ad oggetto la pretesa di una somma equivalente alle retribuzioni non percepite, a titolo di risarcimento del danno, appartiene alla giurisdizione amministrativa esclusiva, atteso che la causa petendi si collega pur sempre (e non occasionalmente) al pubblico impiego e che ciò esclude la configurabilità di un diritto patrimoniale consequenziale (in tal senso: Cass. Civ., Sez. Un., sent. 10 maggio 1996, n. 4396).
Premesso, allora, che la formulazione della domanda risarcitoria spiegata in primo grado appare sufficientemente determinata, mercè il riferimento al parametro certo (se pure enunciato in modo sintetico) rappresentato dal differenziale fra le retribuzioni che il ricorrente avrebbe potuto percepire in caso di tempestiva nomina ad aiuto di chirurgia e quelle effettivamente percepite e giungendo, quindi, all’esame dei presupposti per il riconoscimento del danno ingiusto e della relativa quantificazione, viene prioritariamente in rilievo la colpa della P.A., sicuramente riscontrabile nel comportamento tenuto dall’Amministrazione, del resto condividendosi l’approccio giurisprudenziale secondo cui la sola illegittimità attizia, pur non fornendo ex se elementi inconfutabili nel senso della sussistenza di una condotta colposa da parte dell’Amministrazione, nondimeno fornisce rilevanti elementi nel senso di una presunzione (relativa) di colpa dell’Amministrazione per i danni conseguenti ad un atto illegittimo o, comunque, ad una violazione delle regulae agendi ad essa imposte (Cons. Stato, Sez. VI, sent. 3 aprile 2007, n. 1514).
Al riguardo, si osserva che l’Amministrazione intimata in primo grado non ha fornito alcun elemento volto a superare la richiamata presunzione, ovvero ad attestare che la condotta illegittima posta in essere non recasse in se gli elementi di una condotta colposa.
Conseguentemente, il ricorso deve essere accolto per la parte in cui postula l’individuazione della condotta colposa da parte dell’Amministrazione nell’illegittima mancata costituzione del rapporto di impiego e nell’accertamento del diritto alla retrodatazione della nomina, quali elementi costitutivi della fattispecie foriera di danno ingiusto, fonte dell’obbligo risarcitorio.
In particolare, appare del tutto irrilevante, nel caso in esame, l’assenza del nesso sinallagmatico tra l’avvenuta prestazione e l’obbligo di pagamento delle retribuzioni da parte della P.A.
Infatti, il mancato svolgimento delle prestazioni lavorative non è certo imputabile al ricorrente, ma unicamente all’Amministrazione, ed in particolare ad un atto illegittimo adottato da quest’ultima ed annullato con effetto retroattivo dal giudice amministrativo.
Gli effetti del giudicato sono pacificamente retroattivi, dal che il diritto dell’appellante di ottenere il risarcimento del danno, in quanto il mancato svolgimento delle prestazioni lavorative deriva esclusivamente da un atto illegittimo dell’Amministrazione.
Del resto questo Consiglio, in fattispecie analoga, ha ritenuto risarcibile il danno patito per l’illegittima, ritardata immissione in ruolo di un professore universitario (cfr. Cons. St., Sez. VI, 17.10.2008, n. 5042).
Peraltro, si rileva che lo stesso Pretore di Torino, Sezione Lavoro, con sentenza n. 2932/1987 (citata nella parte in fatto), ha ritenuto che la pretesa azionata dal dr. M. avesse natura risarcitoria.
Di conseguenza, il Pretore – precisando che il riferimento alle retribuzioni richieste dal dr. M. costituisce mero parametro di calcolo del quantum rivendicato – ha condannato l’Amministrazione convenuta al pagamento della somma di £ 41.663.461, sulla base del conteggio analitico prodotto in corso di causa dall’allora ricorrente e non contestato dalla controparte.
Quanto disposto in tale pronuncia, pur non avendo avuto seguito, in quanto -come si è visto – il Giudice Ordinario nei successivi gradi di giudizio ha declinato la propria giurisdizione, tuttavia può costituire un utile parametro di riferimento ai fini della quantificazione del danno da risarcire.
Ad avviso del Collegio, ribadito che il riconoscimento in favore del dr. M. di un quantum pecuniario in conseguenza dell’illegittimo, ritardato inquadramento non possa essere accordato a titolo di in integrum restituito, bensì (sussistendone nella specie i presupposti) a titolo risarcitorio, la quantificazione del danno risarcibile può essere determinata in via equitativa, non potendo essere provata nel suo preciso ammontare (conformemente alla previsione di cui all’art. 1226 cod. civ., applicabile anche per l’ipotesi in cui si propenda per la configurazione extracontrattuale del danno di cui trattasi, mercè la previsione di cui all’art. 2056 cod. civ.). In via di principio (e nell’ambito della richiamata valutazione equitativa) il danno patito nella specie non può essere fatto coincidere tout-court con l’importo differenziale fra le retribuzioni, ma tale differenziale va in qualche misura decurtato in considerazione del dato incontestabile della mancata prestazione lavorativa nella qualifica (solo tardivamente) conseguita.
Conseguentemente, in riforma della sentenza appellata, l’istanza risarcitoria formulata in prime cure deve essere accolta con conseguente condanna dell’Amministrazione a corrispondere in favore del dr. M. il ristoro pecuniario per il danno cagionato, da determinarsi secondo i criteri che seguono:
– in primo luogo, va determinato il differenziale fra le retribuzioni effettivamente conseguite nella qualifica e quelle che sarebbero state conseguite in caso di tempestivo inquadramento nella qualifica di aiuto di chirurgia (ossia, in assenza degli atti illegittimi che hanno determinato il ritardo nell’inquadramento), nella misura liquidata dal Pretore del Lavoro di Torino in £. 41.663.461 (importo da convertire in euro);
– l’importo differenziale in questione andrà decurtato di un ammontare che il Collegio ritiene in via equitativa (art. 1226 cod. civ.) di determinare nella misura del venti per cento;
– il medesimo importo andrà incrementato della rivalutazione monetaria nonché degli interessi legali, nei limiti di legge.
In base a quanto esposto, il ricorso in appello deve essere accolto e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, deve essere condannata la U.S.S.L. Torino IV (ora A.S.L. 3) al pagamento delle somme dovute, determinate come sopra in motivazione.
Le spese del doppio grado di giudizio seguono la regola della soccombenza e vengono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M. – Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, Sezione Quinta, accoglie l’appello e, per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, condanna l’Amministrazione appellata al pagamento delle somme in favore dell’appellante, nei sensi e nei limiti di cui in motivazione.
Condanna l’Amministrazione appellata al pagamento delle spese, competenze ed onorari del doppio grado di giudizio, che liquida complessivamente in euro 5.000,00, oltre I.V.A. e C.P.A.
Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’autorità amministrativa.

Redazione