Consiglio di Stato sez. IV 10/12/2007 n. 6332; Pres. Salvatore C., Rel. Poli V.

Redazione 10/12/07
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Fatto e Diritto

1. Il comune di Torino ha rilasciato, in favore della signora M.C., permesso edilizio in sanatoria, ex art. 32, d.l. n. 269 del 2003, avente ad oggetto la costruzione di un terrazzo coperto e disimpegno di pertinenza dell’appartamento ubicato al piano sottotetto dello stabile sito in Torino, via Consolata n. 2 (cfr. determinazione n. 1195/2006 del 31 luglio 2006).

2. Avverso tale atto sono insorti innanzi al T.a.r. Piemonte E.S. e S.P., comproprietari di due appartamenti ubicati al quarto e quinto piano dello stabile sito in via Garibaldi n. 39 confinante con quello di via Consolata n. 2, muovendo, nella sostanza, quattro ordini di censure:

a) violazione dei diritti dei terzi ed in particolare delle distanze legali minime fra costruzioni (il terrazzo coperto, abusivamente realizzato, si pone ad una distanza di soli 24 cm. dalla loro proprietà);

b) falsità delle dichiarazioni poste a base della domanda di condono;

c) erronea valutazione dei presupposti per la concessione del condono, difettando l’autorizzazione del condominio di via Consolata n. 2 ai lavori su parti comuni dello stabile (nella specie l’intervento sulla falda del tetto);

d) contrasto delle opere abusive con la legislazione regionale in materia di recupero dei sottotetti (l.r. n. 21/1998), e con le norme comunali che si oppongono alla loro agibilità abitativa.

3. L’impugnata sentenza – T.a.r. del Piemonte, sez. I, n. 24 del 17 gennaio 2007 -:

a) ha accolto il ricorso nel presupposto della mancata acquisizione, da parte del comune di Torino, del consenso del condominio di via Consolata n. 2 alla rimozione della falda del tetto, elemento questo indispensabile per il rilascio della sanatoria;

b) ha respinto la domanda di risarcimento del danno (tale capo non è stato gravato da appello incidentale ed è coperto dalla forza del giudicato interno);

c) ha condannato gli intimati al pagamento delle spese di lite.

4. Con ricorsi ritualmente notificati e depositati, M.C. ed il comune di Torino hanno interposto appello avverso la su menzionata sentenza del T.a.r. deducendo:

a) il difetto di giurisdizione del giudice amministrativo;

b) la necessità di sospendere il giudizio amministrativo, ex art. 295 c.p.c., pendendo, fra le parti private, controversia pregiudiziale in sede civile;

c) il difetto di legittimazione attiva degli originari ricorrenti a sollevare censure che tutelano gli interessi di un soggetto terzo rispetto alla lite (nella specie il condominio di via Consolata n. 2);

d) la presenza di una valida autorizzazione rilasciata dal condomino di via Consolata n. 2 all’esecuzione dei lavori (cfr. delibera condominiale 26 novembre 1998);

e) l’obbligatorietà del rilascio del titolo edilizio in sanatoria straordinaria ex art. 32, d.l. n. 269 del 2003.

5. Si costituivano in entrambi i giudizi E.S. e S.P. deducendo, da un lato, l’infondatezza del gravame in fatto e diritto, dall’altro, riproponendo espressamente una parte dei motivi sollevati in prime cure (gli unici a poter essere esaminati in questo grado ex art. 346 c.p.c., cfr. Cons. Stato, ad. plen., n. 1 del 1999).

6. La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 30 ottobre 2007.

7. I due appelli, in quanto proposti avverso la medesima sentenza, devono essere riuniti a mente dell’art. 335 c.p.c.

Entrambi sono fondati e devono essere accolti.

8. Si può prescindere dall’esame dei mezzi con cui si reiterano le eccezioni pregiudiziali non esaminate dal primo giudice e dianzi descritte, stante l’infondatezza, nel merito, del ricorso di primo grado.

8.1. L’assunto di fondo da cui muove l’impugnata sentenza si regge sulla circostanza che il responsabile dell’ufficio tecnico comunale avrebbe ignorato le deduzioni critiche degli appellati – residenti in uno stabile limitrofo, al civico n. 39 di via Garibaldi – tese ad evidenziare una serie di cause ostative al rilascio del condono, in particolare la mancanza del consenso del condominio di via Consolata n. 2 all’esecuzione dei lavori di rimozione di una parte della falda del tetto, non potendosi all’uopo considerare utile la delibera condominiale del 26 novembre 1998 concernente esclusivamente lavori di manutenzione ordinaria.

La tesi è inaccoglibile.

In primo luogo deve essere rimarcato, in fatto, che la delibera condominiale del 26 novembre 1998 – debitamente acquisita dal comune in sede di istruttoria della pratica di condono – letta nella sua globalità, autorizza (all’unanimità) tutti i proprietari di mansarde a realizzare qualsiasi lavoro di apertura e posa in opera sul tetto, proprio in occasione dei lavori straordinari di rifacimento del tetto medesimo; inoltre, nel corso del giudizio è stata depositata ulteriore delibera condominiale (del 5 marzo 2007) che ribadisce (all’unanimità) l’autorizzazione ai lavori in questione.

Da questi elementi si ricava con assoluta evidenza che né il condominio di via Consolata n. 2 né alcuno dei condomini si è mai opposto ai lavori in questione.

In quest’ottica appaiono irrilevanti le critiche mosse dagli appellati (pagine 7 ss. della comparsa di costituzione), circa la validità della seconda delibera condominiale – mai impugnata nella sede propria da alcun condomino – e comunque volta solo a ribadire, per quanto ve ne fosse bisogno, la portata della precedente delibera del 1998.

8.2. La tesi propugnata dall’impugnata sentenza è errata anche in linea di diritto.

Quanto agli ostacoli di carattere civilistico che possono essere introdotti nel procedimento di rilascio del permesso di costruire la sezione osserva quanto segue.

L’art. 11, u.c., t.u. edilizia – secondo cui "il rilascio del permesso di costruire non comporta limitazione dei diritti dei terzi" – ha cristallizzato a livello positivo una prassi amministrativa e giurisprudenziale assolutamente pacifica che aveva ricevuto un primo riconoscimento legale nell’art. 2, comma 37, lett.c), l. n. 662 del 1996 (che ha novellato l’art. 39, l. n. 724 del 1994, successivamente si veda l’art. 32, co. 31, d.l. n. 269 cit. in materia di condono straordinario).

L’ordinamento giuridico ammette, in via generale, limitazioni di varia natura al diritto di costruire a presidio dei diritti dei terzi controinteressati.

Nell’ambito del diritto civile si distinguono limiti legali dell’attività edificatoria (sempre concernenti i rapporti tra proprietari di fondi finitimi), essenzialmente rivenienti nella disciplina contenuta nel libro terzo, capo secondo, del c.c. (si tratta delle prescrizioni in materia di distanze, luci e vedute); e limiti che discendono non direttamente dalla legge ma dall’esercizio dell’autonomia negoziale: fra questi spiccano gli iura in re aliena di godimento (usufrutto, servitù ecc.) cui corrispondono altrettante restrizioni del diritto di proprietà riguardanti lo jus aedificandi dei confinanti, che può risultare semplicemente inciso o del tutto sottratto.

I su menzionati limiti operano diversamente sul piano dei controlli esercitabili dall’amministrazione in sede di rilascio del permesso di costruire.

I limiti legali, trovando applicazione generalizzata e conservando sempre il medesimo contenuto, concorrono a formare lo statuto generale dell’attività edilizia e non pongono problemi di conoscibilità all’amministrazione che è tenuta a considerarli sempre.

Diversamente per le limitazioni negoziali del diritto di costruire (cui possono ricondursi anche quelle scaturenti dall’art. 1117 c.c., oggetto del presente giudizio).

Circa l’ambito di operatività di tali limiti la giurisprudenza oscilla fra due soluzioni che costituiscono un corollario della clausola di salvezza dei diritti dei terzi ed hanno in comune l’inesistenza, in capo all’amministrazione, di un autentico obbligo di ricerca di tali limiti, prodromico al diniego di permesso.

La prima ne esclude ogni rilevanza nel presupposto che all’amministrazione sia inibito qualsiasi sindacato anche indiretto sulla validità ed efficacia dei rapporti giuridici dei privati (cfr. Cons. Stato, sez. V, 20 dicembre 1993, n. 1341); la seconda ammette che il comune verifichi il rispetto dei limiti privatistici, purché siano immediatamente conoscibili, effettivamente e legittimamente conosciuti nonché del tutto incontestati, di guisa che il controllo si traduca in una semplice presa d’atto (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV,12 marzo 2007, n. 1206).

Coerenti, ma non recepibili nel caso di specie, sono le conclusioni cui è giunta la giurisprudenza più recente in ordine agli oneri del comune di verificare la legittimazione dei singoli condomini ad eseguire opere su parti comuni (cfr. sez. IV, 14 settembre 2005, n. 4744, che ritiene in contrasto con l’art. 11 t.u. cit., il titolo edilizio rilasciato in mancanza dell’assenso condominiale); anche in tali casi il comune si limita a verificare, puramente e semplicemente, la presenza di una autorizzazione senza ovviamente poterne vagliare la validità.

Le conclusioni rimangono immutate quando il comune sia chiamato a rilasciare un titolo edilizio in sanatoria ordinaria (ex art. 36 t.u. edil.) o straordinaria (da ultimo ex art. 32, d.l. n. 269 del 2003).

Nel primo caso si richiede, specie in caso di contrasto conclamato fra condomini, che l’istruttoria del comune sia particolarmente accurata (cfr. sez. V, 21 ottobre 2003, n. 6529, fattispecie relativa all’art. 13, l. n. 47 del 1985 oggi trasfuso con modificazioni nell’art. 36, t.u. edil.; sez. V, 20 settembre 2001, n. 4972); in tal caso doverosamente si acquisisce la delibera di autorizzazione condominiale che esonera il comune da ogni altro tipo di accertamento.

Nel caso di condono straordinario la giurisprudenza registra una maggiore varietà di posizioni.

Secondo una minoritaria tesi la concessione del condono straordinario è impedita qualora l’abuso consista non già nella inosservanza di prescrizioni dirette principalmente a soddisfare finalità di interesse pubblico, ma nella violazione delle norme che tutelano in modo diretto ed immediato lo specifico interesse dei proprietari confinanti (cfr. Cons. Stato, sez. V, 9 dicembre 1997, n. 1487, relativa a fattispecie di condono governata dall’art. 39, l. n. 724 del 1994).

Di contro, ed in linea con quanto illustrato circa il controllo esigibile da parte del comune in sede di rilascio del permesso di costruire ex art. 11, t.u. edil., si ritiene che la rilevanza giuridica del condono straordinario si esaurisca nell’ambito del rapporto pubblicistico, senza estendersi ai rapporti fra privati, essendo il condono rilasciato con salvezza espressa dei diritti dei terzi, il che consente:

– all’autore dell’abuso di fruirne anche se l’illecito consista nella violazione delle distanze legali;

– al comune di disinteressarsi delle relative vicende, fermo restando che il terzo leso potrà ottenere satisfattiva tutela davanti al giudice civile non subendo alcun pregiudizio dal rilascio del titolo (cfr. da ultimo Cons. Stato, sez. IV, 30 dicembre 2006, n. 8626).

Coerentemente si ritiene possibile accogliere le istanze di sanatoria di opere edilizie che creano limitazioni di tipo urbanistico alle proprietà finitime qualora le eventuali limitazioni di tipo urbanistico o regolamentare (come nel caso di specie) possano essere rimosse attraverso la disponibilità del vicino o del condominio a cedere in uso o in vendita porzioni di terreno (o di parti comuni di edificio), oppure medinate stipula da parte degli stessi proprietari confinanti di atti di asservimento di dette aree al lotto contiguo, o ancora attraverso la creazione di servitù permanente; non vi sono dubbi, infatti, che il nostro ordinamento giuridico riconosce un potere dispositivo alle parti in ordine alle norme in materia di distanze tra edificazioni e fra queste ed i confini, potendo i privati rinunciare al diritto di pretendere l’osservanza delle norme in materia (cfr. Cons. giust. amm., sez. cons., 16 luglio 1996, n. 467/1996).

La sezione deve dare atto che al momento del rilascio del permesso in sanatoria non solo era assolutamente controversa, fra le parti confinanti, la questione concernente la reintegra delle distanze violate (pendendo relativa controversia in sede civile), ma che non vi era pacificamente alcuna opposizione da parte del condominio di via Consolata n. 2; bene ha fatto, pertanto, l’amministrazione a disinteressarsi degli aspetti civilistici della vicenda, vagliando esclusivamente quelli urbanistici.

8.3. Passando ad esaminare le doglianze di carattere urbanistico, riproposte dagli appellati con la comparsa di costituzione del 2 maggio 2007, ne emerge la completa infondatezza.

Del tutto irrilevante è la asserita erronea definizione degli oneri di urbanizzazione, determinati dal comune in sede di rilascio del condono, stante la carenza di interesse a dolersi di tale aspetto che non ostacolerebbe de futuro (all’esito di un eventuale annullamento giurisdizionale), il conseguimento del titolo in sanatoria.

L’affermazione è per altro del tutto indimostrata.

Parimenti irrilevanti, in quanto non si pongono ex art. 32, d.l. n. 269 del 2003 quali ostacoli al rilascio del condono, appaiono le seguenti circostanze:

a) la violazione della disciplina urbanistica regionale e comunale in materia di agibilità dei sottotetti (che costituisce anzi il presupposto del rilascio del condono);

b) la formula conclusiva del giudizio penale instaurato a carico della signora C. e di suo marito (estinzione del reato per intervenuto condono);

c) l’esatta individuazione della superficie del terrazzo abusivamente realizzato (7 oppure 8,58 mq) in quanto ampiamente all’interno dei limiti massimi di condonabilità previsti dal più volte menzionato art. 32.

9. In conclusione gli appelli devono essere accolti con la conseguente riforma dell’impugnata sentenza ed il rigetto del ricorso di primo grado.

Nel particolare andamento del processo e nel suo specifico oggetto, il collegio ravvisa giusti motivi per compensare integralmente fra le parti le spese di ambedue i gradi di giudizio.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (sezione quarta), definitivamente pronunciando sui ricorsi riuniti meglio specificati in epigrafe:

– accoglie gli appelli e per l’effetto, in riforma della sentenza impugnata, rigetta il ricorso di primo grado;

– dichiara integralmente compensate fra le parti le spese di entrambi i gradi di giudizio.

Ordina che la presente decisione sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Redazione